La “Hanna Arendt” di Anna Gualdo: una “banalità” ancora attuale

0
512

di Alessandro Paesano

La banalità del male nasce nell’ambito del progetto “Arendt al plurale”, voluto e immaginato da Paola Bigatto, per il quale Anna Gualdo ha approntato una riedizione del libro di Hannah Arendt esplorandolo con un approccio drammaturgico personale il cui risultato è lo spettacolo andato in scena al Teatro Belli di Roma.

Hannah Arendt nel 1961 segue il processo Eichmann  a Gerusalemme come inviata del The New Yorker, pubblicando prima diversi articoli sul settimanale e poi riunendo i testi in un volume, pubblicato nel 1963.
Il titolo scelto da Arendt è Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil (t.l. Eichmann a Gerusalemme: resoconto sulla banalità del male), Feltrinelli che lo pubblica in Italia nel 1964, pensa bene di invertire l’ordine del titolo che diventa  La banalità del male Eichmann a Gerusalemme. Nel libro Arendt fa il resoconto sui risvolti politici del processo Eichman, uno dei responsabili della deportazione e delle uccisioni d massa del popolo ebraico, che riparato n Argentina ai tempi del processo diNorimberga, viene catturato dal Mossad nel 1960 e condotto in Israele dove verrà processato e condannato a morte per impiccagione…

Arendt analizza la statura morale dell’uomo Eichman, che non è né malato di mente né un mostro ma un uomo che non pensa e che, in mancanza di un pensiero, ha potuto organizzare le deportazioni di centinaia di migliaia di ebrei ed ebree senza avere mai un dubbio o un’esitazione. Nel libro Arendt ritiene che  le atrocità commesse da Eichman e dagli altri nazisti sono mosse non da una eccezionalità criminale ma da un male che viene commesso con facilità, superficialità, mancanza di pensiero critico,  e per questo viene definito banale.
Questa lettura critica è, naturalmente, precisa e condivisibilissima.
Credere nella eccezionalità dei crimini commessi dai nazisti conferma la bontà del genere umano deresponsabilizzato dalle atrocità naziste che sarebbero delle eccezioni straordinarie.
Se invece analizziamo i meccanismi che hanno portato intere nazioni allo sterminio degli ebrei (e non solo) ci rendiamo conto che la quotidianità di chi ha compiuto l’olocausto non è affatto  eccezionale ma appunto banale. 

Alla sua uscita il libro fece scandalo, non solamente per aver definito banale l’olocausto, d’altronde si trattava di un fraintendimento così stupido da non dover essere nemmeno controbattuto.
Arendt venne avversata da alcune istituzioni ebraiche, in Israele e nella Germania Federale, perchè aveva additato alcune scomode verità: la continuità tra nomenclatura nazista e repubblica federale tedesca (circa un terzo della magistratura che operava negli anni sessanta nella RFT avevano operato in tribunali nazisti), e, soprattutto il fatto che molti ebrei avevano contribuito alla deportazione di altri ebrei convinti così di tutelare la comunità. 

Anna Gualdo e Paola Bigatto nel loro lavoro di riscrittura, espungono queste parti del testo, e si concentrano su Eichmann, sulla disamina che Arendt fa dell’uomo, sulla sua biografia, la sua carriera, sulle frasi fatte con cui risponde durante il processo e anche prima di essere impiccato. E mentre ci presenta questo uomo che costituisce il paradigma del nazismo sottolineano le considerazioni di Arendt sulla mancanza di un pensiero autonomo, come caratteristica di ogni totalitarismo (perché chi pensa può cambiare idea).

Le considerazioni tratte dal libro di Arendt sono proposte e restituite da Gualdo come l’argomento di una lezione frontale fatta da una professoressa a un classe scolastica. Gualdo entra in scena da una delle porte del teatro, scusandosi del ritardo, e sale sul palco  dove campeggiano una cattedra e una lavagna trovando in questo modo l’interfaccia perfetta per restituire la sequela di dati e di considerazioni che Arendt fa nel suo libro al pubblico in sala.

Gualdo sa approntare una lezione vera con tanto di date scritte alla lavagna, fotografie mostrate alla classe mentre le arance che campeggiano nella locandina sono usate come metafora dello sterminio:  messe prima sul bordo del palco e poi fatte cadere giù.

Mentre interpreta questa professoressa Gualdo dà alle parole di Arendt una indignazione sotterranea che scorre sotto pelle che a tratti sembra richiedere  energia per non venire in superficie a tratti sembra invece dare la forza al personaggio per continuare la sua lezione. Con una recitazione misuratissima che esprime il dolore e la rabbia non nell’intensità della voce ma nella sua articolazione sonora, come quando scende di un tono per sottolineare un aspetto grave, terribile, dalle conseguenze mortali, Gualdo si concede l’unico tono strozzato, alterato, a fine lezione, quando, scesa dal palco/aula è giù in platea verso l’uscita, e  ricorda che in un regime totalitario la  maggioranza si adegua e non si oppone ma qualcuno no e lo ribadisce con tutta l’energia del caso, infondendo nel pubblico quel sentimento di responsabilità collettiva alla quale ci inchioda con un’energia travolgete. E per essere sicura che il messaggio arrivi forte e chiaro ricorda che chi si oppone lo fa non perché crede così di contribuire a un mondo migliore ma perché solamente così resta se stesso. Perché chi commette un omicidio deve convivere per il resto con un assassino: se stesso.

Anche se il bene non vince sempre, la memoria del male rimane sempre viva perché nel mondo ci sono troppe persone perché lo si possa davvero dimenticare o cancellare.
Anche quando si tratta di un male banale.

 

LA BANALITA’ DEL MALE
Tratto dall’opera di Hannah Arendt
riduzione e adattamento di Paola Bigatto e Anna Gualdo
aiuto regia Elisa Menchicchi
con Anna Gualdo

Visto per voi al Teatro Belli di Roma il 4 febbraio 2024.

 

 

 

(9 febbraio 2024)

©gaiaitalia.com 2024 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

(9 febbraio 2024)

©gaiaitalia.com 2024 – diritti riservati, riproduzione vietata