di Alessandro Paesano #Teatro twitter@gaiaitaliacomlo #Vistipervoi
Memorie di Adriana è una libera rivisitazione di Ricordare e dimenticare, un piccolo (solamente nel numero di pagine) libro di memorie nel quale Asti passa dai ricordi più intimi e profondi a commenti sottili e umanissimi. Il libro, scritto con René de Ceccatty, è stato pubblicato in francese, nel 2011 e poi in italiano, nel 2016.
L’anno scorso poi, per i tipi della Mondadori, Adriana Asti ha pubblicato un altro libro di memorie dal titolo Un futuro infinito stavolta di più ampio respiro (ci riferiamo sempre al numero delle pagine) che è anch’esso confluito nello spettacolo.
Memorie di Adriana si sviluppa su una bellissima intuizione drammaturgia: l’assenza della diva Asti che fa i capricci, rimane nel camerino e non si degna di fare lo spettacolo. A darne la notizia è il direttore del teatro che cerca di scusarsi col pubblico, mentre un macchinista chiede quando smontare la scena e un pianista continua a suonare nonostante i capricci della diva.
Poi sulla scena appare lei, Adriana, la donna e non l’attrice, che la conosce bene, e che conosce i fatti perché era presente.
Così quest’altra donna inizia a raccontare al pubblico di Adriana, insomma di se stessa, mentre direttore artistico chiede al pubblico se gradisce e il pubblico interviene.
All’inizio qualcuno che crede davvero all’annuncio del direttore (ce ne sono sempre di persone distratte che si siedono senza avere letto nemmeno il programma di sala nel quale il gioco era anticipato) poi qualcun altro, dalla voce bene impostata, si rivolge al direttore di scena, presentandosi come fan esperto della diva e cercherà di salire sul placo per raccontare quello che sa. Ci riuscirà a metà rappresentazione.
Intanto la diva, Adriana Asti, quella rimasta in camerino, lascia qualche segno della propria presenza, ascoltando musica, cantando anche, lasciando credere fino all’ultimo che verrà e invece niente.
L’altra Adriana, la donna e non l’attrice, la persona e non il personaggio, sgranare intanto ricordi d’infanzia, tra molestie subite da una domestica (quando aveva appena 4 anni), e una madre non proprio accogliente che si irritava che la bambina fosse così allegra, ricordi d’attrice di teatro (al quale arrivò priva di talento, così dice lei, solamente per sottrarsi alla vita familiare), e d’attrice di cinema (dopo un inizio incerto dovuto a qualche produttore sprovveduto che cercava in Adriana una fisicità da lei non posseduta ma come?! E’ tutta qui?).
Asti nei due libri usa un a narrazione a levare, di una efficacia e intensità uniche («Luchino cercava solo me (…) Morì il 17 marzo 1976. Io non c’ero. Stavo recitando Rosa Luxenburg a Genova. Ricevetti la notizia appena usciti di scena. Ancora risuonavano gli applausi»).
Un registro che rimane anche nella trasposizione teatrale dove, giocoforza, si perde un po’ l’intimità del racconto a due, tra scrittrice e chi legge, della pagina scritta.
La drammaturgia permette però l’evocazione, la confidenza, l’omaggio.
Non solo memorie da dimenticare ma anche testi scritti da Asti, da rileggere e declamare dal testo teatrale Caro professore, dedicato a Musatti, suo psicoterapeuta, pettegolo e fan, del quale assistiamo a un lacerto, alle pagine – bellissime – di un romanzo pubblicato a puntate su L’espresso tra il 1978 e 1979, nel quale racconta l’amore tra l’aquila Gino e il Gallo Mario (lo potete leggere cliccando qui).
Non mancano alcune foto della sua carriera cinematografica, film a volte poco in linea con la filmografia di una attrice impegnata, come quel Io Caligola di Tinto Brass nel quale appare completamente nuda. Lo stesso accadrà con Buñuel e poi con Visconti a teatro.
Foto videoproiettate dal fan, un poco invadente e fin troppo zelante, che conosce la diva idolatrata a menadito (e l’altra Adriana lo guarda con aria infastidita quando lui chiosa i racconti di lei con nomi e date non richiesti).
Forse a tratti dispersiva, la drammaturgia non riesce a sollevarsi dal canovaccio e ad assumere una forma definita, come quella che Asti raggiunge nei due libri, ma Adriana Asti, una e bina, riesce a dare forza e credibilità a ogni situazione che si viene sviluppando sulla scena con una padronanza scenica che suscita ammirazione, e invidia.
All’altezza del ruolo richiesto gli altri interpreti.
Come nei due libri la vita raccontata, reinterpretata, di e da Adriana Asti sulla scena non è un monumento al passato, da lei aborrito, ma un attestato di fiducia nel presente e nell’immediato futuro, l’unico tempo nel quale Asti vuole muoversi.
E con quale eleganza.
Lo spettacolo è in scena al Teatro Quirino fino al 25 febbraio.
(23 febbraio 2018)
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