di Alessandro Paesano
La sala dell’Off Off Theatre è gremita, tra la fola ci sono anche facce note quelle che fanno muovere la fotografa del teatro che si aggira guardinga nel Foyer.
L’occasione è importante, la prima del nuovo spettacolo di Urbano Barberini, che, forte del successo dello corso anno con Sulle Spine, torna in scena con Barbari, Barberini e Barbiturici, che firma a quattro mani con Falleri, il suo regista di sempre.
Appena in scena Barberini ferma la musica e dice che non vuole fare lo spettacolo, che non ce la fa, che ha accettato sperando che poi qualcosa sarebbe successo (Falleri guida il motorino, a Roma…). Poi dopo un moto d’orgoglio che gli fa dire che lui ce la fa benissimo fa ripartire la musica e inizia a raccontare con una ironia sempre sottile, intelligente, colta e mai volgare (come leggete nel programma di sala… che non c’è) della famiglia storica dei Barberini, quella che ha riempito Roma con il simbolo delle api, e dunque di sé affermando che dirà la verità (come fece Orson Welles in F For Fake) tranne un paio di cosettine.
Barberini gioca con la letteratura e comincia il racconto della sua vita citando Collodi (e le biografie regalate al discount…). Tra fermate della metro, cinema, e le 10mila api sparpagliate in tutta Roma che in realtà erano tafani prima che Maffeo Barberini, Papa Urbano VIII, le cambiasse in api (se non fosse stato per lui io mi chiamerei Urbano Tafani e voi stasera non sareste qui perchè chi viene a vedere uno che si chiama Urbano Tafani?) Urbano Barberini imbastisce così lo scenario immaginario della città di Roma sullo sfondo della quale restituirci il suo vissuto di principe senza corona, con una sfilza di cognomi ereditati dal padre e dalla madre: Riario Sforza Barberini Colonna di Sciarra (provate a scriverli tutti quando firmate un assegno). Inizia un regesto di situazioni rievocate con arguzia, da Nonna Nadia (che chiamava mamma) che lo strappò ai genitori che avevano divorziato e lo accompagnava a comperare le camice al negozio Bises di Piazza Argentina (lo aiuti a scegliere della camicie che non ha il padre, delle camicie da uomo) chiedendo lo sconto, ai tempi della scuola alla quale veniva accompagnato dall’autista della Nonna con i capelli che erano un incrocio tra quelli di Branduardi e quelli di Minnie Minoprio, alle apparizioni sporadiche della madre che veniva sempre da posti chic (atterrava dal Sudamerica, da Rio dalle Hawaii mai da Frascati o da Vetralla…).
Sullo sfondo degli anni di piombo racconta con una verve comica incredibile il rapimento di Giovanna Amati figlia del noto produttore cinematografico che poi fu liberata e divenne una delle poche donne pilota di formula uno (il fatto è vero come ha promesso Urbano Barberini a inizio spettacolo). E poi inizia a ricordare la sua carriera di attore cinematografico grazie all’interessamento di Duccio Tessari sottolineando senza pietà le sue figuracce come attore male in arnese (dicono azione… io non so che vuol dire) inanellando una serie di film che sono rimasti nel nostro immaginario collettivo.
Quando dopo il disastroso debutto (disastroso sul set non al botteghino) qualcuno gli dice studia che non del tutto negato Barberini si sente rincuorato e prosegue nella sua carriera (non senza aver fatto una digressione sulle conferme date dai genitori ai figli e sulla sua competizione con il figlio piccolo col quale corre senza lasciarlo vincere, ironizzando che certe sconfitte rafforzano, come diceva Montessori o era Maria de Filippi?).
Poi c’è l’incontro con Mastroianni sul set di Miss Arizona di Pál Sándor che, durante una ripresa gli racconta sottovoce di una piacevole avventura femminile avuta la sera prima e quando Urbano va nel panico e non ricorda la sua battuta – se ne vada – è Mastroianni a restituirgliela dicendo non mi dica di andarmene). E tra un film e l’altro arrivano gli insight del suo essere padre a 60 anni (come quando racconta del figlio che vomita nel letto mentre dormiva con lui e il giorno dopo doveva stare sul set) e riconsidera sua madre che non voleva lui la chiamasse mamma…
Fino ad approdare al finale quando l’impersonificazione di sua madre riempie la scena e critica il figlio del fatto sia diventato padre in tarda età, e come saluto dice ci vediamo in qualche aeroporto.
La magnificenza di questo testo, di questo spettacolo, sta nella profonda umanità con cui Barberini racconta avvenimenti della sua vita, belli, brutti, misti, che segnano e feriscono i quali però, riconsiderandoli in tralice, mentre vengono esorcizzati con piglio ironico, costituiscono sempre occasione per una riflessione, per un pensiero, diventando uno strumento con cui muoversi nella vita.
Poco importa che spesso Barberini legga il testo su dei piccoli copioni posti su dei leggii, perchè la sua statura immensa d’attore fa entrare anche la lettura nello spettacolo (ogni tanto commenta qualche aggettivo del testo che non gli appare adeguato, o, quando sbaglia e legge calli invece di carri, non si limita a correggersi ma rende l’errore parte dello show), uno spettacolo che Barberini non si limita ad eseguire seguendo le intelligenti indicazioni di regia di Falleri, ma che veste come un abito, dirigendone a sua volta l’andamento (basta con il rumore delle api, ma non c’era una musica qui?) senza rinunciare mai all’intrattenimento mostrando senza darlo a vedere che nonostante le ingerenze di una famiglia che, come tutte, non è sempre all’altezza la sua Resilienza lo ha portato a vivere una vita bella proprio come, mutatis mutandis, sono le nostre.
Il pubblico ringrazia con applausi interminabili.
Noi siamo pronti al prossimo spettacolo, speriamo presto.
Barbari, Barberini e Barbiturici
Tragedie ridicole di un principe sulle spine
di Daniele Falleri e Urbano Barberini
con Urbano Barberini
regia Daniele Falleri
Visto per voi all’Off Off Theatre il 17 gennaio 2025
(21 gennaio 2025)
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