Eumenidi, e la regia?

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di Alessandro Paesano

Nelle Eumenidi di Eschilo, terza tragedia del gruppo dell’Orestiade, viene celebrato il passaggio da una giustizia atavica e vendicativa, quella di Dike e della vendetta, alla giustizia democratica, basata sul giudizio del tribunale, l’Areopago,  cambiando procedure e orizzonte etico. Mai come in questa tragedia è chiaro il procedimento culturale tramite il quale si elabora collettivamente il cambio di paradigma, in questo caso legale.

Oreste, reo di avere ucciso sua madre Clitemnestra per vendicare la morte di suo padre Agamennone ucciso da Clitemnestra (insieme all’amante di lei Egisto) per punirlo della morte della loro figlia più piccola Ifigenia, sacrificata da Agamennone agli dei, è perseguitato dalle Erinni, che chiedono vendetta e difeso da Apollo che gli aveva vaticinato sventure nefaste se non avesse vendicato la morte del padre.

Chiamata Atena come arbitra, la figlia di Zeus istituisce un tribunale composto dai cittadini di Atene e si rimette al loro giudizio. Dinanzi la parità dei voti Atena col suo voto fa prevalere il verdetto di assoluzione stabilendo che in ogni causa futura in caso di parità prevalga sempre l’assoluzione. Le Erinni si lasciano convincere da Atena che le ammansisce proponendo una alleanza con la città di Atene dove le dee figlie della notte saranno venerate dall’intera città, diventando così le Eumenidi, anche se la parola non compare mai nel testo di Eschilo (il titolo è d’epoca alessandrina).

Il testo verte su un cambio epistemico del concetto di giustizia e contiene al suo interno uno degli elementi più maschilisti di tutto il teatro attico. Per dimostrare che Oreste non ha ucciso un consanguinea (la madre) Apollo afferma che la donna non è vera consanguinea della prole perché è esclusivamente il contenitore del seme maschile, unico vero legame di sangue, secondo una nuova teoria (sic) medica di Anassagora che sarà poi ripresa da Aristotele.

Questa argomentazione per il  pubblico dell’epoca acquisiva i connotati di un cambiamento della legge di cittadinanza ateniese che Pericle modificherà asserendo che si era ateniesi quando lo erano entrambi i genitori in contrapposizione alla legge allora in vigore che stabiliva la patrilinearità della cittadinanza. 

Dei temi suggeriti dalle Eumenidi, che qui non possiamo che riportare per sommi capi, Vanessa Gasbarri, che firma regia e riduzione dell’edizione messa in scena al teatro Arcobaleno di Roma, si sofferma su quello della giustizia, affrontandola dal versante populistico o se si preferisce popolare, come dice un personaggio extra tragedia che spiega le dinamiche narrative della trilogia al pubblico in sala, chiamandolo  a esprimere un voto – tramite un sassolino blu dato in biglietteria-  sulla colpevolezza o innocenza di Oreste (voi siete la giuria popolare).

Populista perché naturalmente, quale che sia il verdetto della sala (nella replica ci abbiamo assistito prevalevano i voti di colpevolezza) non può andare contro quello già stabilito nel testo che vede l’assoluzione di Oreste. 

Più che simbolo di giustizia questo finto voto ci sembra il suo esatto contrario, lontano sia dalla sensibilità contemporanea che da quella dell’epoca di Eschilo.
Dai vari tagli effettuati al testo sembra quasi che Atena si avvalga del giudizio del tribunale come fosse una istituzione già esiste mettendo tra parentesi sia il fatto narrativo che è lei ad averlo istituito per la prima volta proprio in questa occasione sia il fatto simbolico che da quel momento in poi l’areopago avrà voce in capitolo sui fatti di sangue, che è l’elemento mitopoietico centrale delle Eumenidi.

La messinscena e la riduzione del testo semplificano i luoghi della tragedia il   tempio di Apollo a Delfi nella prima parte e quello di Atena ad Atene nella seconda diventano un luogo solo, dove le Erinni occupano la parte sinistra del palco, Apollo ed Oreste la parte destra e al centro, una Atena sin troppo statuaria.

Interessanti i costumi: esotici e post tecnologici quelli delle Erinni, con dei copricapi metallici con irte e composte punte, e corredati da piume,  che si rinnovano quando le Erinni si trasformano in Eumenidi. Le Erinni all’inizio sono tenute al guinzaglio da Clitemnestra che ha un ruolo più importante che in Eschilo, dove compare solamente per un attimo come fantasma.
Atena veste un peplo moderno e argentato mentre Oreste, Apollo e il personaggio extra tragedia, portano una giacca militare. Apollo,  invece degli stivali,  porta delle scarpe dall’alta suola e dei tacchi vertiginosi, e sotto la giacca un corsetto nero stretto in vita.
A che serve chiedersi perché?
La regia che non sa come far muovere i personaggi che rimangono statici e fermi.
I movimenti delle Erinni che dovrebbero essere scosse dall’ira e dalla sete di vendetta sono titubanti e impacciati. L’idea di farle recitare vicine come parti diverse di un unico corpo pur se interessante è resa vana dall’impaccio con cui le interpreti si muovono e restituiscono le proprie battute. Non agiscono e non recitano come corpo unico ma come singole individualità incapaci di sostenersi l’un l’altra.
Anche il personaggio extra-tragedia, quello che introduce la trama al pubblico e raccoglie i voti in platea, è interpretato con gli stessi difetti: mancanza di dizione, di intenzione, scarsa capacità di stare in scena. 

Del tutto privo di una idea di regia anche il momento in cui questo personaggio interviene in platea, mentre l’azione sul palco si arresta per raccogliere i voti del pubblico con una azione che appare improvvisata e troppo lenta (una sola persona non basta a prendere i voti di un’intera platea).

Anche Beatrice Fazi che interpreta Atena è alquanto in impaccio, mentre tacciamo sull’interprete di Oreste che non sa cosa cosa significhi stare su un palco. 

L’unico a distinguersi è Patrizio Cigliano l’interprete di Apollo ma anche lui è costretto nelle indicazioni di una regia che è l’unica responsabile nel fare andare in scena attrici e attori così impreparati. 

Nonostante questi difetti esiziali lo spettacolo mantiene una sua tenuta a riprova che Eschilo, anche se così mal servito, sa farsi ascoltare e seguire, nonostante tutto.

 

(14 gennaio 2024)

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