Una vita nel teatro: un Mamet un po’ tra parentesi

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di Alessandro Paesano

Una vita nel Teatro è una commedia scritta da David Mamet nel 1977.
Mamet vi racconta del rapporto fra due attori, uno, Robert (Edoardo Sani), giovane e alle prime armi, l’altro, John (Duccio Camerini), un veterano che al teatro ha già dato tanto.
La progressione delle scene mostra i due attori sia sul palcoscenico (alcune scene li ritraggono mentre recitano) che dietro le quinte, mostrando cambiamenti ed evoluzioni delle loro vite professionali e dei loro rapporti personali.

Tra una digressione sulla recitazione, sullo scopo del teatro, sulla dizione, assistiamo a prove, lettura esegetica dei testi, esecuzione di scene madri ma anche a tanti piccoli dettagli, conflitti, distinguo, critiche e adulazioni, che restituiscono attimi diversi di quanto può accadere a chi lavora nel teatro, sulla scena e non.
La commedia è composta da 26 scene, alcune delle quali molto corte, giusto qualche battuta, che costituiscono le tante tessere di un mosaico di momenti diversi che, insieme, restituiscono la vita nel teatro dei due protagonisti. Mamet mentre si diverte a mettere alla berlina certo teatro di Broadway (l’eroismo militare; il dramma del naufragio) e certo teatro classico (il dramma storico à la Shakespeare) compie al tempo stesso un omaggio all’arte della recitazione.

Duccio Camerini, che firma anche la messinscena, approccia il testo in maniera decisamente personale.
Intanto fonde diverse scene tra di loro, modificando alcune di quelle più brevi che diventano momenti di una scena diventata più grande. La scansione narrativa, invece di procedere per salti, con scene brevissime che si alternano a scene più lunghe, si dipana così in una scansione più consueta. Il testo ne guadagna in fruibilità ma si perde un po’ il senso del piccolo momento, del lacerto strappato al teatro. Invece di tanti momenti diversi in un certo lasso di tempo si ha l’impressione di assistere a un qui e ora allargato.

Per coadiuvare questa cucitura tra le scene Camerini sceglie di aggiungere due personaggi, due giovani tecnici del teatro (Marcello La Bella e Lorenzo Rossi, quest’ultimo, nella replica cui abbiamo assistito, sostituito da Francesco Di Cesare), compiendo un piccolo gioco metateatrale: sono in scena come personaggi (interagendo anche con i due protagonisti) e, al contempo, spostano gli oggetti di scena che caratterizzano i vari momenti della rappresentazione, per esigenze di regia e non solo di copione.  La loro presenza conferisce una continuità all’azione, concertata in un meccanismo scenico che richiede un grande sforzo che non trapela dall’esecuzione,  perfetta. Certi interventi dei due tecnici come personaggi però (i commenti sulla qualità delle scene provate, l’indicazione su cosa ripetere e quando), stonano un po’ dette da dei factotum e non da un attore, un regista o un direttore di scena.

Camerini interviene anche dando enfasi agli spetti comici del testo. In Mamet la comicità scaturisce sempre da una sottile ironia, Camerini invece insiste, senza calcare mai la mano, in alcuni dettagli, comici di per sé, come quando John entra in scena coi soli calzini, o quando Robert entra in scena con una lampada che gli è stata data spenta.
Questi incidenti finiscono per cambiare senso anche alla scena in sala chirurgica dove un Robert, evidentemente in difficoltà di memoria, chiede la battuta senza riuscire a recuperare e poi chiede scusa al pubblico.
In Mamet è l’unico errore di esecuzione cui assistiamo nella rappresentazione, presentandocelo come difficoltà umana. In Camerini, dopo tutte le aggiunte comiche, tra dimenticanze e imprecisioni,  rischia di diventare il segno di una cialtroneria insita nel personaggio (impressione corroborata dai commenti derisioni fatti alle spalle di Robert da John e i due tecnici, assente in Mamet).
Queste aggiunte sono elementi spassosissimi da vedere sulla scena ma cambiano un poco la levatura dei personaggi, facendo di John e Robert due attori distratti e un poco (solo un poco) imprecisi, a differenza di Mamet dove non c’è nulla da eccepire  nella loro professionalità.
La comicità passa insomma  dal ridere del teatro a ridere del teatro eseguito male (o poco bene).
Un teatro scritto anche male.
Una delle scene dove i protagonisti sono ritratti mentre recitano, nella quale il giovane soldato della seconda guerra mondiale perde la vita in un gesto eroico fine a se stesso (che in Mamet avviene fuori scena e capiamo la sua morte attraverso il rumore di uno sparo) che ha un suo senso drammatico, viene trasformata da Camerini in una spassosissima parodia delle scene di film hollywoodiani, con tanto di ralentì e musica di commento che sovrasta i rumori, che, per quanto irresistibile, non ha molto a che fare col teatro e cambia registro alla scena.
Un’altra piccola modifica (Robert scopre che John ha una foto autografata dell’attrice che lui tanto mal sopporta e teme che John ci sia finito a letto) cambia la natura del rapporto trai due attori. In Mamet John è ancora timido e alle prime armi, e si beve un po’ tutto quello che Robert gli dice, in Camerini invece ha già delle sue opinioni e non ha il fegato di sostenerle. Questa mancanza di franchezza finisce per mettere in discussione la sincerità del loro rapporto professionale dando un’ombra di ipocrisia che in Mamet non c’è.

Sono picciole aggiunte, quasi sempre indolore, tranne un paio di occasioni.

Nella prima quando Robert sparla di una collega che secondo lui recita male insinuando che abbia successo perchè sfrutta la sua bellezza (e questo è in Mamet) Camerini gli fa dire che sculetta sulla scena, con un commento sessista davvero poco felice e, tutto sommato, inutile. 

L’altra è quando a Robert si rompe la lampo dei pantaloni subito prima di andare in scena e John si offre di cucirgliela lui (e questo è in Mamet): Camerini ci aggiunge il gesto di John di tagliare il filo con cui ha cucito la patta coi denti e Robert si preoccupa che qualcuno possa vederli.
Si aggiunge una malizia al testo, divertente ma un po’ vetusta, che cambia il punto di vista dal quale si chiede al pubblico di guardare al dietro le quinte: se in Mamet si chiede al  pubblico di apprendere e comprendere, in Camerini ci si limita a dire “guarda quant’è buffo e imbarazzante” mantenendo la distanza tra pubblico e teatro che Mamet cerca per tutta la pièce di accorciare.

Una vita nel teatro di Camerini è uno spettacolo recitato splendidamente (che emozione il momento in cui Robert ricorda il testo di uno spettacolo recitato anni prima; impeccabile Sani nel monologo dal discorso di San Crispino), con una scena sempre in movimento che richiede ai suoi interpreti tanta precisione e attenzione, uno spettacolo che fa ridere e che commuove, nel quale pubblico e interpreti si ritrovano nello stesso amore per il teatro, un amore cui Camerini celebra un tributo sentito e sincero anche se Mamet rimane un po’ tra parentesi.

 

UNA VITA NEL TEATRO
di David Mamet
traduzione di Roberto Buffagni
con Duccio Camerini e Edoardo Sani
e con Marcello La Bella e Lorenzo Rossi
musiche Paolo Vivaldi
costumi Benedetta Nicoletti
elementi di scena e luci Eugenio Razzeca
aiuto regia Marcello La Bella e Lorenzo Rossi
ambienti sonori Samuel Desideri
fotografie Alberto Martinangeli
regia Duccio Camerini

 

Visto per voi all’Off/Off Theatre di Roma il 5 Gennaio 2024.

 

 

(9 gennaio 2024)

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