“Lettera a un giovane amico” di Vanni Piccolo alla rassegna “I solisti del teatro”

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di Alessandro Paesano

Che cosa ci fai in prima fila col pugno alzato? ci ha chiesto Vanni Piccolo, quando siamo tornati a vedere il suo splendido Lettera a un giovane amico, lo scorso lunedì 7 agosto  spettacolo di chiusura della settimana Rainbow, la proposta di spettacoli a tematica LGBTQIA+,  alla rassegna I solisti del teatro di Roma, dopo averlo visto e recensito su queste pagine alla sua prima lo scorso 3 aprile all’Off-Off Theatre. 

Si torna a vedere uno spettacolo che si ama perché anche lo si vuole rivedere, invece di rinunciare perché lo si è già visto. Questo imperativo consumistico non vale per le canzoni (come ricordava Peter Greenaway) eppure per il teatro e i film ci sembra sensato. Certo il tempo di fruizione di una canzone è minore di quello di uno spettacolo teatrale, o di un film, ma il principio del l’ho già visto resta comunque paradossale.
Si torna a vedere uno spettacolo che si è amato,  per rinnovare il piacere della visione, per scoprirne nuovi dettagli che si erano ersi alla prima visione, o magari, essendo diversi dagli spettatori della prima volta che lo si è visto lo si guarda con un punto di vista diverso. 

In qualità di critici però, dobbiamo forse qualche spiegazione in più, se non a Vanni, al pubblico al quale proponiamo una seconda recensione sullo stesso spettacolo.
Vanni Piccolo appartiene a quella generazione di militanza LGBTQIA+ che ha vissuto, ha contribuito, alla nascita del movimento di liberazione omosessuale italiano, ha inanellato una serie di indovinatissime proteste e azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, fino alla battuta d’arresto dell’hiv, usato come grimaldello omofobo per tornare a discriminare chiunque non ottemperasse all’eteronormatività, mentre l’Aids decimava due intere generazioni di persone. Ha vissuto e ha testimoniato la resilienza di una comunità allargata e varia che, pure, ha saputo reagire  ad attacchi anche omicidi (come quello di Salvatore Pappalardo, ucciso a Monte Caprino perché omosessuale, e all’ondata di proteste che ne scaturì, che Vanni ricorda con emozione durante lo spettacolo). 

Vanni Piccolo ricorda tutti questi momenti col piglio del testimone, di chi ha memoria diretta di quei fatti (e dei tanti altri che racconta nello spettacolo) una memoria personale, intima, incompleta, e non potrebbe essere altrimenti, che dedica alle nuove generazioni incarnate da Orazio Rotolo Schifone, che ha il difficilissimo compito di rappresentarle con la sola presenza, il suo personaggio essendo quasi privo di battute. Una rappresentatività cui cui il giovane e avvenente attore (non sono considerazioni nostre ma di Vanni Piccolo che a più riprese ne commenta la bellezza e la gioventù con un gusto camp misurato ma vivido) sa dare corpo con una presenza scenica notevole e non stiamo parlando del physique du rôle.
Una nuova generazione alla quel Vanni Piccolo passa il testimone, lasciando in dono la testimonianza del suo vissuto come gesto disinteressato, del quale, Piccolo lo ricorda a fine spettacolo mentre si prende i meritati applausi, la nuova generazione può fare quel che crede, l’importante è ribadire la necessità di una militanza che non si arresta mai.

In un periodo storico nel quale qualunque memoria storica è praticamente inesistente Lettera a un giovane amico è un esempio di resistenza, antifascista e inarrestabile, da tenere come riferimento non solamente per la difesa dei diritti negati alle persone arcobaleno, ma come esempio di buona pratica per protestare e dare testimonianza di sé di tutte le persone che non si uniformano, che non abbracciano il conformismo. Ecco perché siamo tornati a vedere lo spettacolo e ne scriviamo ancora, per celebrare la memoria storca, per ritrovarsi insieme e reagire, resistere e resiliere.

Rivisto per voi a Roma il 7 agosto 2023.

 

(13 agosto 2023)

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