Pirandelliana 2023: L’altro figlio, L’imbecille, La verità, La patente

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di Alessandro Paesano

Mentre le consuete note del Bolero annunciano l’imminente inizio dello spettacolo, scrutiamo il palco a vista allestito dietro i giardino della Basilica di S.Alessio all’Aventino. Due uscite di quinta, un velatino che tradisce la presenza della giara (ma quell’atto unico non è di scena oggi). In fondo al palco alcuni elementi decorativi geometrici neri, rossi e bianchi, di gusto futurista, ricordano gli anni in cui le commedie di Pirandello vennero messe in scena per la prima volta.

Stiamo per assistere alla seconda serata di Pirandelliana, la rassegna teatrale estiva che Marcello Amici dedica a Luigi Pirandello da ben ventisette anni. 

Per l’edizione 2023 Amici ha scelto di mettere in scena 10 atti unici, accorpati in tre programmi diversi, che si alternano nell’arco della settimana. Stasera gli atti unici in programma sono ben quattro, ma vi anticipiamo che il programma volerà senza intoppi,  senza nemmeno sentire la lunghezza della programmazione, anzi, quanto tutto sarà finito verrebbe spontaneo chiedere il bis. Il primo atto unico è L’altro figlio, tratto dalla struggente novella  pubblicata prima su La lettura, nel 1905 e poi in Erma bifronte nel 1906, inclusa infine nella raccolta In silenzio del 1923, adattata per il teatro lo stesso anno, e messa in scena per la prima volta sempre nel 1923 al Teatro Nazionale di Roma dalla Compagnia Raffaello e Garibalda Niccòli (in vernacolo toscano, riduzione di Ferdinando Paolieri).

L’altro figlio presenta una delle madri più inquietanti di tutta la letteratura Pirandelliana. la vecchia Mariagrazia (La faccia giallastra era un fitto reticello di rughe, in cui le palpebre sanguinavano, rovesciate, bruciate dal continuo lacrimare; ma, tra quelle rughe e quel sangue e quelle lagrime, gli occhi chiari apparivano come lontani, quelli d’un’infanzia senza memorie) si fa scrivere continue lettere per i due figli migrati negli Stati Uniti 14 anni prima. Legata ai due figli assenti Mariagrazia rifiuta l’offerta di aiuto del figlio rimasto al paese, nato da uno stupro. Il ragazzo non ha nessuna colpa, ammette Mariagrazia ma non è colpa sua se il sangue le si ribella

Nella novella il racconto viene fatto da Mariagrazia nello studio del medico, al quale la donna chiede la cortesia di scriverle l’ennesima lettera, in una intima confessione.
Nella versione teatrale invece Pirandello fa fare la confessione al medico davanti a tre popolane, dando alla confessione privata una dimensione pubblica che ne smorza parte della potenza drammatica. Amici affida il ruolo di Mariagrazia a Tiziana Narciso che ci regala una interpretazione magnifica, toccando tutti i registri del dolore e dell’orrore, come quando racconta di avere visto i briganti giocare a bocce con le teste mozze di alcuni uomini, tra cui riconosce quella del marito che era andata a cercare. Perfetto anche Francesco Meriano nel ruolo del giovi dottore, un po’ fuori fuoco le tre popolane che, nonostante i costumi d’epoca, hanno una presenza troppo moderna e contemporanea. 

La messinscena è comunque riuscitissima, Amici dimostra tutte le sue doti di regista.

E’ poi la volta di L’imbecille, pubblicata sul corriere della sera nel 1912 e poi ne La Trappola nel 1915, inclusa nella raccolta La Rallegrata del 1922. La riduzione teatrale è dello stesso anno, portata in scena per la prima volta lo stesso anno Al Quirino di Roma dalla compagnia di Alfredo Sainati.

Nella novella, con un meccanismo narrativo un po’ farraginoso, almeno all’inizio, vede gli avventori di un bar commentare il suicidio di Lulù Pulino, giovane malato terminale, in termini denigratori (viene tacciato di essere imbecille da Leopoldo Peroni) mentre un forestiero chiede lumi a Luca Fazio, uno dei presenti.  Fazio anche lui aspirante suicida perchè malato terminale di tisi, punisce la boria di Peroni che aveva additato come imbecille Pulino, perchè prima di suicidarsi non ne aveva “approfittato” per uccidere un avversario politico (Ah, siamo imbecilli per te, se non ci rendiamo strumento, all’ultimo, del tuo odio o di quello d’un altro, delle vostre gare e delle vostre buffonate?), costringendolo a scrivere una lettera nella quale dichiara di essere lui l’imbecille. Nella novella, e nella pièce,  sono presenti tutte le faziosità velleitarie degli schieramenti politici dell’epoca, che apriranno la strada all’imminente marcia su Roma e al fascismo, descritte con lucida anticipazione.

La commedia si svolge tutta nella casa di Peroni dove è più facile intuire dinamiche e statura dei personaggi. 

Nella messinscena di Amici il lato grottesco viene sviluppato a discapito dell’afflato etico che scorre sotterraneo tanto nella novella quanto nell’atto unico. Il pubblico ride di Peroni (grazie anche all’interpretazione tutta comica e buffa di Federico Giovannoli) e non coglie come dovrebbe la potenza politica di Fazio (un bravo Francesco Meriano splendido attor giovane d’altri tempi). 

Un po’ tirati via gli altri personaggi, Amici sembra avere fretta di arrivare alla scena madre dell’umiliazione goffa di Pulino, per la quale sacrifica gli altri spunti drammaturgici che, pure, il testo offre. Ogni capocomico ha il diritto di scelta finale, Amici ha fatto la sua.

Dopo una breve pausa è la volta di La verità, che non è tratta da un atto unico ma direttamente dalla novella del 1912 (i cui temi narrativi verranno rielaborati per Il berretto a sonagli), nella quale Saru Argentu, detto Tararà, è processato per l’omicidio della moglie (uccisa a colpi d’accetta) per adulterio (Nella beata incoscienza delle bestie, non aveva neppur l’ombra del rimorso. Perché dovesse rispondere di ciò che aveva fatto, di una cosa, cioè, che non riguardava altri che lui, non capiva. Accettava l’azione della giustizia, come una fatalità inovviabile. Nella vita c’era la giustizia, come per la campagna le cattive annate).

Il racconto nella novella, tra dettagli veristici (il vestito di Tararà, il puzzo che viene dalla parte popolare del pubblico che assiepa l’aula) è sostenuto da un tono comico (in senso pirandelliano) che vede il contadino Tararà dover riparare l’onore del tradimento, del quale era a conoscenza,  una volta che la moglie dell’uomo con cui la signora Tararà lo tradiva rende pubblica la relazione, lasciando cadere così le attenuanti del delitto d’onore (che deve essere immediato e non posticipato) ricevendo una condanna a 13 anni di carcere (comunque pochi). Amici usa le descrizioni e i commenti della novella a a una voce narrante in scena che rimane celata dietro il velatino, e lascia ai personaggi le parti dialogate. Una messinscena elegante e perfettamente riuscita.
Nel ruolo di Tararà, convincentissimo, Amici stesso, nel ruolo del Presidente del tribunale Massimiliano Ferretti, autorevole e bravo anche lui, nel ruolo dell’avvocato della difesa un Federico Giovannoli perfettamente male in arnese come richiede il suo ruolo.

Quarta e ultima pièce, la Patente che, nell’immaginario collettivo nazionale, è legata a Totò che la portò sul grande schermo per la regia di Luigi Zampa. 

L’atto unico, del 1917, prima nella stesura in siciliano, poi in quella in italiano, viene portata in scena da Angelo Musco al Teatro Alfieri di Torino, in siciliano, il 23 marzo 1918 e al Teatro Argentina di Roma. La storia è nota: Chiàrchiaro, considerato all’unanimità uno iettatore, ha perso il lavoro e sfrutta la sua nomea per farsi pagare da chi crede nella superstizione. Per questo chiede una patente per esercitare la iettatura. Amici interpreta Chiàrchiaro dando al suo personaggio una consapevolezza di sé incredibilmente autorevole,  superando pure la grandezza di Totò, che ne fa comunque una maschera comica, mentre Amici impone l’umanità del suo personaggio in maniera seria. Non c’è grottesco nel Chiàrchiaro  di Amici ma lucida determinazione, di chi, emarginato esercita il suo diritto a vivere. Amici lascia il comico agli altri personaggi i cui interpreti sono diretti e dirette con grande misura e il comico non trascende mai in farsa nemmeno quando i magistrati indulgono i gesti apotropaici.

Chiàrchiaro compare in scena bardato di viola, proprio il colore tabù del teatro, interdizione di origine quaresimale che collegava il divieto di rappresentazioni teatrali durante la quaresima al numinoso della superstizione, in un gioco sublime di rispecchiamento tra superstizione e teatro, depotenziando la iettatura camera credenza, mentre Pirandello la fa accadere anche in scena (il cardellino del giudice che muore per un incidente). Vederlo in scena mentre esige la sua patente è un momento di puro teatro del quale ci reputiamo fortunati (il gioco di parole non è voluto) aver assistito. 

Anche il resto della compagnia sa restituire con misura un racconto che si conosce ma mai abbastanza, facendo riflettere nei confronti di una credenza superstiziosa purtroppo ancora così attuale nel mondo dello spettacolo e non solo. Appagato e grato il pubblico applaude la compagnia che agisce un teatro senza tempo, schietto, verace e artigianale del quale c’è ancora un disperato bisogno.

 

Visto per voi il 15 luglio 2023

 

PIRANDELLIANA 2023
XXVII Edizionedal 4 luglio al 6 agosto 2023

GIARDINO DI SANT’ALESSIO ALL’AVENTINO
Piazza Sant’Alessio 23 – Roma

La Compagnia teatrale
LA BOTTEGA DELLE MASCHERE
presenta

DIECI ATTI UNICI

BELLAVITA L’ALTRO FIGLIO LA MORSA
SGOMBERO L’IMBECILLE L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA
LA GIARA LA VERITA’ ALL’USCITA
LA PATENTE e ENRICO IV

di Luigi Pirandello

con
Marcello Amici, Tiziana Narciso, Massimiliano Ferretti, Pier Giorgio Dionisi,
Ezio Provaroni, Federico Giovannoli, Marina Benetti, Francesco Miriano, Francesca Sampogna, Martina Pelone, Luca Mandara, Caterina Lo Bue,
Mariaelena Pagano, Marco Tonetti, Andrea Giannelli

Scene, disegno luci e ricerca musicale – Marcello de Lu Vrau
Costumi – Tiziana Narciso, Gianfranco Giannandrea, Livia Ciuco
Assistente alla regia – Federico Giovannoli.
Direzione tecnica – Roberto Di Carlo

Regia di Marcello Amici

 

 

(18 luglio 2023)

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