di Giuseppe Sciarra
Pier Paolo Pasolini è materia ostica per parecchi registi teatrali della scena contemporanea. Dar voce alla sua drammaturgia in scena è compito assai arduo per chiunque abbia la temerarietà di confrontarsi con quello che è ritenuto il più grande intellettuale italiano degli ultimi decenni.
Tradurre con una propria sensibilità le opere dello scrittore friulano è un rischio culturale che può portare alla realizzazione di rappresentazioni teatrali noiose e asettiche rispetto a quella disperazione viscerale dal sapore antico, che ricorda i miti greci e che ha reso indimenticabili i personaggi pasoliniani oppure a rivisitazioni lontane anni luce dal suo messaggio che più che essere una reinterpretazione dei topos di Pasolini, rischiano di diventarne la parodia involontaria.
Accattone di Enrico Maria Carraro Moda, andato in scena al Teatro Trastevere il 19 e 20 maggio è una sfida e una provocazione insolente del regista di Civitavecchia, uno dei pochi, se non l’unico a Roma, a sapere fare teatro sperimentale nel circuito off senza voler dimostrare quanto si è fighi nel saperlo fare ed evitando così di conseguenza di risultare trash e patetico (la lista di presunte avanguardie della scena romana che sfociano il ridicolo è lunga, per cui meglio sorvolare). L’Accattone diretto e interpretato da Maria Carraro Moda è clownesco per certi aspetti, sembra un personaggio televisivo della tv spazzatura – non a caso in scena è presente una barra elettronica come se la vita fosse ridotta a un superficiale reality show in cui le scelte di vita miserabili del protagonista fossero già scritte da quella barra; come se in passato a determinare il tragico destino del protagonista fosse un governo assente con la classe proletaria e sottoproletaria, ora sostituito dal digitale coi suoi inquietanti algoritmi a decidere la vita di Accattone.
La vicenda dell’omonimo film del 1961 portata in scena dal regista laziale si discosta da Pasolini per la freddezza dell’interpretazione dei protagonisti, quasi fossero dei burattini del tutto assenti a se stessi (soprattutto il corpo delle interpreti femminili in scena viene depotenziato di qualsiasi forma vitale e ridotto alla staticità di un feticcio). Ci troviamo dinnanzi a degli interpreti che adottano la tecnica di straniamento brechtiana, discostandosi dai loro personaggi in maniera radicale, con risultati che possono sorprendere chi ama questo tipo di sperimentazione o irritare chi è fedele a Pasolini e i suoi personaggi. Emblema di quanto affermato è la scena che vede protagonisti l’eccellente Federico Balzarini (il quale interpreta di volta in volta tutti i ragazzi di vita che gravitano attorno ad Accattone) e Gisella Cesare (Maddalena). L’attrice mostra il seno mentre Balzarini si masturba in modo meccanico e distaccato. Non si vede nulla. Non c’è la più assoluta volontà di scandalizzare ma la scena in sé turba proprio per l’assenza di contatto e carnalità tra i due interpreti. Un senso di disagio pervade dall’inizio alla fine di questo mancato amplesso. Diverso il caso di nudo integrale che vede protagonista l’attrice Clara Morlino (Stella) che non scandalizzerebbe nessuno se fosse portato in scena al teatro argentina ma disorienta un pubblico teatrale meno numeroso e ancora a disagio con un nudo femminile se questo non è presentato in circuiti dove la risonanza dei nomi in cartellone giustifichi qualsiasi scelta registica. Mi permetto di non andare oltre.
Oltre a Brecht un altro elemento fondamentale della regia di Carraro Moda è il teatro dell’assurdo. La messa in scena sembra voler enfatizzare con piglio grottesco la storia del pappone e ladro reso celebre sul grande schermo dall’indimenticabile Franco Citti. Le acque del fiume Tevere diventano così un cassonetto di acqua in cui Accattone fa il bagno, salvo poi uscirne e indossare un accappatoio, in cui presenta il suo personaggio del tutto inadatto alla società capitalista di ieri come di oggi, ad un pubblico tra il divertito e il sorpreso. Le musiche pop anni sessanta che ricordano i musicarelli contribuiscono a rendere il tutto ancora più straniante e assurdo, la tragedia di Accattone si trasforma nell’indifferenza di un mondo post capitalista incentrato nel proprio narcisismo malato fine a se stesso, totalmente incapace di empatia con le sofferenze altrui.
Accattone in questa veste destrutturata e spiazzante spaccherà in due pubblico e critica, c’è chi ne loderà l’ardire e chi demolirà invece questo ardire – come ha osato Enrico Maria Carraro Moda spingersi fino a tanto? Con l’impressione di trovarci ancora di fronte a un work in progress dell’opera, attendiamo la prossima messa in scena dell’eccentrico regista di Civitavecchia che se per alcuni commette sacrilegio nel profanare Pasolini, per noi ne mantiene viva la memoria e l’arte alla sua maniera certo, ma con rispetto e voglia di osare come dovrebbe fare sempre un vero artista.
(22 maggio 2022)
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