Elogio della Follia, di Aleksandro Memetaj: solido, brillante e visionario. Magnifico

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di Alessandro Paesano #ElogiodellaFollia twitter@gaiaitaliacomlo #Vistipervoi

 

Dimentichiamoci subito dell’ispirazione all’Elogio della follia di Erasmo. Il testo di Memetaj non ha alcun debito letterario da pagare, godendo di una autonomia che trova forza in una solida e brillante urgenza narrativa. L’unico imprestito è quello del titolo e la volontà di parlare del contemporaneo, come fece allora Erasmo, senza volerne però fare come lui una lettura ironica ma offrendone uno spaccato, vero in quanto vissuto, e doloroso perché sincero.

Due giovani uomini vivono costretti nelle loro stanze, le relazioni sociali sono mediate attraverso i social, gestiti da una intelligenza artificiale, mamma, che un po’ li serve e molto li comanda.

In questo mondo ipermedizzato i due vivono secondo regole di casta: quella della popolarità, del rateo di condivisione in rete, rilevati, guarda un po’, da mamma.
I profili si guadagnano spazio gratis, quando si ha un alto rateo, quando aumenta il numero di follower. Altrimenti non si possono nemmeno mandare dirette in rete se non si vede prima il video di qualcun altro…

A cavallo tra spontaneismo da social e organizzazione da studio televisivo (con i secondi che mancano alla diretta o che ricordano la sua fine scanditi da mamma con inesorabile precisione) l’universo ipermediatico di Memetaj ricorda il nostro quotidiano contemporaneo in una maniera che raggela e fa temere per il futuro.
Una distopia raccontata con una affabulazione dirompente, quasi da reportage, che travolge il pubblico.
Un pubblico, al Teatro Argot dove abbiamo visto lo spettacolo, che circonda la scena su tre lati ed è dunque, per così dire, dentro l’azione, diversamente dalla classica frontalità del teatro borghese.

Il mondo in cui vivono i due protagonisti è ludico-claustrofobico con tre sole regole da seguire quelle che ci vengono dette a …scena spenta, da quella che ancora non sappiamo essere la voce asettica di mamma: tenere sempre in ordine la stanza; non perdere mai il controllo di se stessi; non uscire senza il permesso di mamma.

La mancata osservanza causerà il reset del profilo.

In realtà l’unica regola ottemperata è la prima, la stanza in cui i due personaggi vivono è pervasa da un disordine accennato e salutare, e in quanto al controllo… lo perdono entrambi a modo loro.

I due giovani hanno due temperamenti opposti e a tratti complementari. Il gioco del reset permette ai due interpreti di scambiarsi le parti così abbiamo un Petrillo ora all’apice del successo social ora timido e bisognoso di amore materno, e un Memetaj prima sognatore e pavido poi ribelle rapper in pelliccia e tacchi a spillo.

Affascina e seduce l’eleganza di una scrittura che strizza l’occhio alla polisemia delle parole anche quando la lingua italiana non lo consente.
Così il gioco è quello da pc e da Playstation, ma è anche quello di interpretare un personaggio di successo nel mondo social, quello di giocare una parte, un ruolo.
Gioco è anche lo slittamento altalenante tra la madre come computer (come quella di Alien)  e la madre come donna che dà e riceve amore.
Gioco, ancora, è la scelta di regia di far succedere contemporaneamente qualcosa in entrambe le stanze: se per il ragazzo di successo ricondividere un proprio video appena condiviso dagli altri diventa una coazione a ripetere masturbatoria che porta all’orgasmo, per il ragazzo nerd (che non riesce a ottenere follows coi video nei quali preferisce parlare di Jim Morrison invece di essere autoreferenziale), la richiesta di considerazione a mamma diventa anch’essa, a suo modo, masturbatoria.
Nel continuo rimando incestuoso e (omo)erotizzante tra sé e altro da sé che, per scelta della madre, dea ex machina, è sempre e solo la mamma, in un gioco di rispecchiamento narcisistico ma indispensabile, Memetaj restituisce lucidamente nella lingua della contemporaneità alcuni archetipi nodali dell’esistenza: la necessità di un affetto incondizionato, il bisogno del riconoscimento della propria sessualità (indimenticabile il Memetaj timido che non riesce proprio a togliersi le mutande in un video sexy con una ragazza che gli ha chiesto l’amicizia), la narcisistica voglia di far parlare di sé, che paradossalmente non ci apre al mondo ma ci rinchiude dentro una (auto)rappresentazione di quel che noi (o qualcun altro?) crediamo che il mondo sia o debba essere.

Memetaj è un  autore interessante e niente affatto banale, e un interprete sensibile e tremendamente bravo. Sorprende piacevolmente anche Petrillo, che sapevano ottimo danzatore, e che qui si dimostra degno compagno di scena, in un confronto serrato e molto affiatato nel quale la coppia di interpreti si rafforza con generosità e intelligenza scenica.

I cambi di costume in scena, la seminudità (che, lo confessiamo senza falso pudore, ci ha distratto per interminabili secondi) non sono mai orpelli registici ma elementi essenziali allo sviluppo dei personaggi, della drammaturgia, della scena.

Splendida anche la scelta delle musiche che spaziano da Amami Amami di Mina Celentano (la canzone più trash del terzo millennio) che usa Petrillo versione di successo nei suoi video autoreferenziali, o la vetusta ma ancora efficace Le mille bolle blu della sola, Mina usata come canzone di vittoria e di spettacolo.
Memetaj invece si cimenta, nell’interpretare il suo personaggio di successo, in un rap preciso e dal flow impegnativo.

Last but non least Tiziano Panici che interpreta, in sola voce amplificata, il personaggio di mamma, con una precisione estrema (come quando da brava voce “artificiale” sbaglia l’accetto e pronuncia ratèo) convincente come la voce di Hal in 2001 odissea nello spazio.
Molte le suggestioni fantascientifiche che il testo esercita, ma anche qui, come per il riferimento ad Erasmo, nessun imprestito, ma la solida eleganza di un discorso che, per essere vero, non può pretendere di non inserirsi in un discorso già cominciato anche se la lingua che parla Memetaj  autore è chiara, distinguibile, preziosa, elegante e, soprattutto, autonoma.

E qui ci fermiamo perché la critica a un certo punto deve lasciare spazio allo spettacolo del quale può essere solamente una timida restituzione, una mera presentazione.

Perché gli spettacoli vanno sempre visti e quelli riusciti ancora di più.

 

 

 

ELOGIO DELLA FOLLIA #ilikedopamina
liberamente ispirato all’ “Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam
di Aleksandros Memetaj
regia Tiziano Panici
coreografie e movimenti scenici Yoris Petrillo
musiche e ambienti sonori Giovanni Di Giandomenico
interpreti/performer Memetaj – Petrillo – Tiziano Panici
consulenza e sound designer Christian Bocchi
assistente alla regia Simone Giustinelli
foto di scena Manuela Giusto
video a cura di Manuela Giusto e Fabio Trifoni
produzione Argot Produzioni e Twain | Centro di Produzione Danza del Lazio
con il contributo di MiBAC – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Regione Lazio 
con il sostegno di Kilowatt Festival/Capotrave (Sansepolcro), Qui e Ora Residenza (Arcene), IAC – Centro Arti Integrate (Matera)

#Vistipervoi sabato 1 dicembre 2018

 

 




 

(2 dicembre 2018)

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