di Emilio Campanella
Il 20 ed il 22 Gennaio, al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, è andata in scena l’opera verdiana diretta da Donato Renzetti e per la regia di Leo Nucci; una coproduzione fra la Fondazione Teatri di Piacenza, il Teatro Alighieri di Ravenna, la Fondazione Teatro Comunale di Ferrara. Una nuova produzione di ambientazione settecentesca americana, con belle scene (Carlo Centolavigna) e costumi di gusto (Artemio Cabassi), luci accurate (Claudio Schmid). Intorno alla direzione, un po’ muscolare, non so dire se fosse dovuta a scelte del direttore, ad amplificazione della sala, oppure all’energia dell’ Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Comunque, tempi sostenuti, ma drammaturgicamente coerenti. Scene d’assieme ben condotte, gestualità dei cantanti controllata e motivata, frutto dell’esperienza del regista.
Più problematica la pagella che riguarda i cantanti, e faccio riferimento alla recita del 22 Gennaio. Il Riccardo di Ivan Defabiani, ruolo molto impegnativo ed impervio, risultava non più che volenteroso e spesso sfocato, molto di spinta e con poco scavo; notevole l’Amelia di Clarissa Costanzo, di bel timbro, bel volume di voce, ampia estensione, autorevolezza, coinvolgimento drammatico e bella presenza, che non guasta certo. Forse, qualche “prestito antico”, ma colto e veniale. Non male Renato ( Ernesto Pelli), credibile ed abbastanza in parte, anche se potrebbe essere maggiormente sfaccettato; Ekaterina Chekmareva era un’ Ulrica sufficientemente tellurica ed “inquietante”. Purtroppo l’Oscar di Natalia Labourdette non aveva che poco spessore, squillo limitato, poca personalità, che per il personaggio ch’è il perno su cui ruota tutta la vicenda, è veramente un grosso guaio. Notevolissimi, Samuel (Mariano Buccino) e Tom (Cristian Saitta), due comprimari con i fiocchi, perfetti nell’ ironico commento relativo ad Amelia e Renato; due pericolosi, e sappiamo quanto, pettegoloni, visto che sono due simpatici orsoni, belli grossi e gioviali pur nei loro abiti neri, un po’ compagni di merende assassine. Completavano con correttezza il cast: Giovanni Tiralongo (Silvano) e Raffaele Feo (Un giudice/Un servo di Amelia).
Teatro discretamente affollato, con molte tossi di stagione, e non d’imbarazzo; qualche chiacchera di troppo nei palchi, e qualche intemperanza negli applausi. Spettacolo, comunque apprezzato e riuscito, con alcune notazioni gustose , come il giuramento dei tre a spade incrociate, un po’ alla Dumas, L’interessante, trepida curiosità della fantesca, conscia del dramma che si sta consumando fra i coniugi, ed a conclusione la festa che si svolge in un bel salone neoclassico/palladiano/americano, con danze senza pretese, ma di gusto (un po’ quattro salti in famiglia, ma a casa del Conte); una simpatica ballerinetta pazzerella e volutamente pasticciona che danza bene con Oscar. Gran mantelli e maschere fra cui si riconoscono due omoni che dissimulano malamente gli abiti neri, e capiamo subito chi sono… Tanto, però non saranno loro ad uccidere il povero Riccardo, classicamente trafitto e riverso sulle scale della bella scena sghemba (tutto lo spettacolo è giocato intelligentemente sulle angolazioni) sostenuto dal solo Oscar che lo abbraccia disperato…
Lo ha abbracciato molto amichevolmente ed affettuosamente durante tutto lo spettacolo, senza eccessi, ma con la chiarezza che sappiamo esserci nel loro rapporto di complicità virile.
(23 gennaio 2017)
©gaiaitalia.com 2017 – diritti riservati, riproduzione vietata