di Alessandro Paesano
Ho paura torero è un romanzo del cileno Pedro Lemebel (1952-2015), fiero oppositore di Pinochet, nel quale racconta i trascorsi tra La fata dell’angolo (in originale La Loca del Frente, “la matta del Fronte”), un travestito di mezza età, e Carlos, uno studente attivista del Fronte patriottico Manuel Rodríguez.
Ambientato a Santiago nel 1986, l’anno dell’attentato a Pinochet, il romanzo racconta con una prosa arguta, ironica, e un uso straordinario di metafore che permettono al suo autore di raccontare dettagli espliciti senza scadere nella pornografia (ci ritorneremo), della presa di coscienza politica della Loca, che avviene durante i suoi incontri casuali sugli autobus e per le piazze in rivolta della città con il popolo cileno. L’elemento scatenante è il suo innamoramento impossibile per il giovane Carlos, che si lascia desiderare (come lei gli dirà alla fine), il quale organizza a casa della Loca le riunioni di quel Fronte che tenterà di uccidere Pinochet senza riuscirci.
La presa di coscienza della Loca del suo amore impossibile, della dittatura asfissiante, dei desaparecidos, sono tessuti da Lemebel con un gusto pop e queer dal respiro internazionale, nonostante le citazioni musicali radicate nella cultura cilena (sudamericana e ispanica) popolare e tradizionale, tra boleri e tanghi (il titolo del romanzo si rifà alla canzone omonima cantata dalla spagnola Sara Montiel) stilando un regesto di canzoni e interpreti sconosciute e sconosciuti al pubblico europeo ma ben presenti a quello di di lingua ispanica cui il romanzo si rivolge.
A quest’arco narrativo Lemebel contrappone la quotidianità del dittatore Pinochet, la sua omofobia, i ricordi d’infanzia fatti di esclusioni e paure, fino a quando le due linee narrative non convergono nel giorno dell’attentato dove perdono la vita diverse guardie del corpo della sua scorta ma Pinochet rimane purtroppo illeso.
Lemebel, oppositore al regime di Pinochet, fu avversato dalla sinistra, nella quale militava, per la sua omosessualità, avversione alla quale rispose con un manifesto fondamentale (Hablo por mi diferencia “parlo per la mia differenza”) per il movimento di liberazione omosessuale, manifesto che lesse durante un incontro di dissidenti comunisti indossando un paio di scarpe con i tacchi a spillo che diventarono il simbolo della sua militanza.
Lemebel non è stato solamente uno scrittore ma anche un giornalista, un saggista e un performer, diventando punto di riferimento per la liberazione sessuale di tutto il sudamerica. La scelta di usare il cognome della madre sigla il suo impegno di militanza globale abbracciando anche le voci della rivendicazione femminista.
ll romanzo, pubblicato in Italia da Marcos Y Marcos nel 2011, è diventato film nel 2020, per la regia di Rodrigo Sepúlveda.
Approda a teatro (dopo una prima riduzione dello stesso Lemebel nel 2006) nel 2024 al Piccolo di Milano grazie al lavoro di Claudio Longhi e Lino Guanciale.
La trasposizione viene affidata ad Alejandro Tantanian con la collaborazione di Guanciale che compare come dramaturg.
Entrambi scelgono di non riscrivere i dialoghi ma di lasciare le descrizioni contenute nel romanzo. D’altronde la prosa e lo stile del romanzo sono parte integrante della storia raccontata ed è giusto che arrivino in scena con i personaggi. Sono gli stessi personaggi a riportare le considerazioni che la voce narrante del romanzo fa su persone e situazioni dando alla messinscena sin da subito quel coté metateatrale che permette di restituire con pochi tratti scenografici le situazioni del romanzo.
I viaggi di piacere di Pinochet nelle sue tenute di vacanza; gli spostamenti della Loca sugli atobus affollatissimi, i controlli della polizia minacciosa, la visita alle sue amiche traveste, i ricordi degli amori passati, le profferte sessuali dei giovani prostituti in cerca di qualche moneta, le gite della Loca e di Carlos al mare, sono tutte restituite dislocando questi eventi in aree e zone dedicate del palcoscenico alcune in un praticabile a diversi metri di altezza dall’impiantito, mentre la scenografia evoca una via della città di Santiago tra murales e saracinesche, che si aprono e si chiudono e dalle quali escono e rientrano strutture mobili, che diventano parte integrante della drammaturgia.
Lino Guanciale è in stato di grazia e riesce a restituire tutta la sensibilità camp (termine intraducibile che si riferisce a una certa esagerazione nel parlare di sè, anche al femminile per un approfondimento del termine rimandiamo all’irrinunciabile Note sul Camp di Susan Sontag del 1966,lo si trova in rete) del travestito Loca, senza scadere mai nella macchietta dell’omosessuale effeminato rimanendo in un equilibrio funambolico perfetto tra il dolore di chi non viene amato (Carlos ha la ragazza) e l’arguzia di chi non vuole essere compatita, resistendo alla kermesse di 185 minuti di durata (compreso un breve intervallo).
Mario Pirello è un Pinochet forse troppo bonario (rispetto l’assassino feroce che è stato il personaggio storico) come è d’altronde nel romanzo, con la differenza che al popolo cileno erano ben presenti le atrocità del generale mentre il pubblico italiano può non cogliere lo scarto e ridere delle sue piccolezze nel privato così come vengono dette nel romanzo senza confrontarle con le sue atrocità commesse contro il genere umano, ma la sua rimane una interpretazione meravigliosamente efficace e credibile.
Altrettanto credibile è Francesco Centorame che interpreta un Carlos sufficientemente impegnato politicamente ma dolce e sexy per giustificare l’innamoramento della Loca.
Gli altri personaggi del romanzo, grandi o piccoli che siano, ricorrenti o che incontriamo solo per un istante durante le tre ore di spettacolo, sono interpretati da una manciata di attori e attrici che sanno prodigarsi in una continuità di situazioni e figure.
Molto apprezzabile la scelta registica, che aggiunge altro gusto camp e queer alla rappresentazione, di aver fatto interpretare personaggi di genere maschile ad attrici, come il prostituto di un cinema che la Loca incontra vagheggiando una consolazione sessuale all’apparente scomparsa di Carlos dopo l’attentato, che è fatto interpretare ad una donna, come a ribadire che il genere è sempre una performance, a teatro come nella vita.
La regia allestisce una macchina drammaturgica precisa e piena di movimento: elementi scenici che evocano taxi, autobus, la macchina presidenziale che rimane intonsa durante l’attentato a Pinochet, sono parti mobili che si muovono sulla scena entrando e uscendo da elementi della scenografia, delle saracinesche poste sul fondo della scena, o di quinta, scene (di Guia Buzzi) lambite da immagini in movimento che evocano il popolo, le donne in rivolta per i figli i mariti e i fratelli desaparecidos, immagini di Pinochet e dei suoi crimini contro l’umanità, o la dichiarazione finale di Allende subito prima di morire durante il golpe dell’11 settembre 1973 con cui si apre lo spettacolo.
La musica, come nel romanzo, ha una parte centrale nello spettacolo anche se non condividiamo la scelta fatta dalla produzione di sostituire alcune delle canzoni citate nel testo originale con brani presumibilmente più riconoscibili all’orecchio italiano. Una differenza che passa inosservata per chi chi non ha letto il romanzo o per chi non è appassionato della musica popolare cilena, sudamericana e ispanica, ma che non trova una vera giustificazione drammaturgica e che segnaliamo per puro gusto filologico.
Unica vera riserva è l’aver omesso una frase del romanzo quando, dopo aver festeggiato il suo compleanno, la Loca seduce Carlos approfittando del suo sonno etilico, al quale si è abbandonato dopo aver bevuto una bottiglia di Pisco, e gli pratica una fellatio della quale Carlos non si accorge rimanendo addormentato per tutto il tempo. Lemebel dedica diverse pagine all’atto sessuale durante il quale ogni singolo gesto, la lampo scesa, l’elastico dello slip abbassato, viene descritta con una serie di metafore che riguardano anche il membro di Carlos che si risveglia. La scena a teatro, giustamente riassunta, viene privata della sua conclusione, il dettaglio poetico del raggiungimento dell’orgasmo, che meritava di essere inclusa non certamente per il dettaglio erotico ma per la poesia con cui Lemebel ce lo racconta. Sono due frasi appena che riportiamo dalla traduzione italiana del romanzo lasciando giudicare a chi ci legge se era tropo esplicita o poteva essere menzionata in scena:
(…) E in risposta, il bello solitario le offrì una gran lacrima di vetro per bagnare il canto asciutto della sua solitudine incompresa.
La necessità drammaturgica di questo dettaglio sta in una scena precedente nella quale Carlos confessa alla Loca una sua esperienza omoerotica adolescenziale che si era conclusa con un’orgasmo che era stato vissuto da Carlos quattordicenne come qualcosa di sporco.
L’impatto della scena al teatro Argentina, dove abbiamo assistito alla spettacolo, rimane comunque forte anche senza questo dettaglio raggiungendo sicuramente lo scopo di épater la bourgeoisie: il pubblico in sala ha smesso di respirare per tutta la descrizione recitata da Guanciale con una spontaneità e una emozione che fanno pari con la sua risposta alla proposta di Carlos di portarla con sé a Cuba (dopo che, in seguito all’attentato, nessuno di loro è più al sicuro a Santiago) Quello che non è successo qui non può accadere in nessuna parte del mondo. Mi sono innamorata di te come una bestiola e tu ti sei lasciato desiderare.
In questa sopraggiunta consapevolezza la Loca non è più succube di questo amore impossibile ma prende coscienza di un desiderio che non è radicato nella possibilità concreta di alcuna realizzazione e che non può quindi cercare alcun lieto fine: le basta il riconoscimento della legittimità di quel desiderio che Carlos le ha sempre dato all’inizio per interesse politico e adesso per affetto.
Ho paura Torero è uno spettacolo di una bellezza rara, portato in scena con grande amore per il Teatro, per la memoria storica e per le relazioni umane di qualunque natura, amicale, erotica, sentimentale.
Uno spettacolo da vedere assolutamente.
A Roma fate in tempo fino al 17 di aprile.
Ho paura torero
di Pedro Lemebel
traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
trasposizione teatrale Alejando Tantanian
regia Claudio Longhi
dramaturg Lino Guanciale
con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Sara Putignano, Giulia Trivero
Visto per voi al teatro Argentina di Roma il 9 aprile 2025
(13 aprile 2025)
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