“Miss Show Business – Judy Garland oltre l’arcobaleno” approda alla rassegna “I solisti del teatro”

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di Alessandro Paesano

Federico Sacchi ha inventato un format arguto e interessante, che ha chiamato esperienza di ascolto. Tramite immagini, brani audio e video, documenti e articoli d’epoca, sapientemente commentati, glossati, analizzati con un occhio storico e critico, ricostruisce la storia di personaggi celebri del mondo della musica (George Michael) e l’influenza della musica su personaggi pubblici (Martin Luther King).
Per la Settimana Rainbow, gli spettacoli a tema LGBTQI+ programmati alla rassegna  “I Solisti del Teatro”, in collaborazione con il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli Sacchi ha presentato Miss Show Business – Judy Garland oltre l’arcobaleno, che, a 100 anni della sua nascita, affronta la storia di Judy Garland come attrice, cantante, ed entertainer.
Prima ancora che lo spettacolo inizi Sacchi invita il pubblico, in un cartello videoproiettato, a non shazammare (mai neologismo fu più felice) le canzoni che ascolta, perchè ha preparato una playlist (dopo ti dico dove trovarla)  autorizzando a fare foto e pubblicarle sui social (ma per favore taggami).

Sacchi, presente in scena con un completo bianco, fa partire il suo racconto dal tentato suicidio di Garland nel 1950 ricordando che le cause di quel gesto non furono solamente la rescissione del contratto con la MGM in seguito all’insuccesso del film L’allegra fattoria  (Summer Stock) (Usa, 1950) di Charles Walters. Quello che la stampa non disse, ci informa Sacchi, è la vita che Garland che aveva appena 28 anni) aveva condotto fino ad allora: vessata dalla madre, vessata dalla MGM che, per farla apparire come tredicenne nel Mago di Oz, anche se ne aveva già 16, le aveva imposto dieta e pillole per dimagrire (anfetamine delle quali rimarrà dipendente per tutta la vita).
A partire da questa doverosa precisazione prende il via un racconto preciso ma mai pedante, nel quale Sacchi da un lato analizza Garland cantante, invitandoci all’ascolto di alcuni brani di tre dischi importanti (Alone, 1957, Judy in Love, 1958 e The Letter, 1959)  e Garland attrice, mostrandoci la sua immensa interpretazione di The Man That Got Away nel film A Star Is Born  (Usa, 1954) di George Cukor.
Dall’altro sottolinea la grandezza dell’entertainer che fece degli spettacoli sold out nella Gran Bretagna postbellica, grazie al suo manager nonché terzo marito Sidney Luft.
Sacchi ci dimostra come Judy Garland non sapeva solamente cantare o recitare ma sapeva intrattenere, ballare, raccontare essendo una performer completa.  

Dispiace che i commenti, le glosse, le precisazioni storiche di Sacchi siano tutte dette leggendo un testo al leggio, in piedi, o seduto su di una poltrona e non andando a memoria.
Una lettura tutta concentrata sul non sbagliare parole e poco attenta all’intenzione, all’enfasi. Il registro narrativo del testo scritto (che tende al registro alto) è pensato per la lettura e non per la declamazione su di un palco. Sacchi è lì ma non comunica direttamente col pubblico ma tramite la pagina scritta con un effetto inevitabile di distanziamento. 
Dispiacciono anche alcuni vizi linguistici come quell’articolo la prima del cognome Garland, che nel 2023 è un vezzo sessista da rottamare, senza più scuse. Lo stesso vale per alcuni aggettivi usati attricetta, rivolto alla madre di Judy Ethel Marion Milne, che, più che un commento critico all’artista, ci sembra un giudizio misogino sulla donna.
Il registro lessicale è irrisolto, riferendosi ai tre lp di cui si è detto, Sacchi per indicare che ebbero scarso successo dice, letteralmente, non se li è  cagati nessuno e poco dopo, nello stesso periodo,  usa la locuzione in auge.
Va bene alternare il lessico popolare con quello aulico, ma è proprio necessario farlo nella stessa frase?


Sacchi sa informare e incuriosire il suo pubblico, gli fa domande alle quali aspetta una risposta, coinvolgendolo in una esperienza di ascolto condivisa, nella quale lo invita a guardare la stessa performance, la stessa canzone, la stessa foto da un punto di vista diverso per coglierne aspetti inediti e nascosti.
Però  alcune sue letture critiche sono  tendenziose, forzate per il discorso che vuole fare. Così quando commenta una foto durante uno degli spettacoli di Garland fatti in patria dopo il successo di quelli in Gran Bretagna, il gesto dinoccolato di un ragazzo immortalato durante un applauso, basta per Sacchi a presentarcelo come omosessuale, per via della posa un po’ effeminata, la testa piegata di lato, la bocca aperta, con le mani giunte in adorante preghiera. Poco importa per la retorica che legge il gesto di un applauso congelato dallo scatto fotografico come due mani giunte, ma se per introdurre il fatto che Garland fosse seguita anche da un pubblico di giovani omosessuali ci produce una evidenza fotografica basata sul cliché del ragazzo effemminato, non ci siamo proprio.
Oppure ancora quando, nel commentare la mise di Garland ne L’allegra fattoria, un capello Borsalino indossato alla ventitré, su na giacca da uomo indossata sulle gambe nude, legge il suo aspetto come androgino. A parte il fatto che si dovrebbe dire ginandro (donna che sembra un uomo) e non androgino (uomo che sembra donna) questa lettura ci sembra del tutto fuorviante. Non ci risulta che gli uomini vadano in giro con le gambe nude (almeno non negli anni 50 del secolo scorso), quella mise non serve infatti a sottolineare un presunto aspetto maschile di Garland ma a esaltarne la femminilità anche in abiti maschili altrimenti  gli adoranti ballerini che la circondano starebbero tributando un inaudito omaggio all’omoerotismo.
Lasciano di stucco anche i commenti che Sacchi fa quando racconta di come Garland sorprese il suo secondo marito Vincent Minnelli (il padre di Liza) a letto con un uomo, per ben due volte, costringendola a vedere qualcosa che non voleva ammettere come se il fatto che Minnelli andasse a letto con gli uomini non potesse desiderare anche la moglie…  
Viene da chiedersi se il problema non sia il tradimento, come dovrebbe essere,  ma il fatto che era consumato con una persona dello stesso sesso, secondo quella logica binaria che vuole un uomo etero o gay, tertium non datur (e vai con la bicancellazione…).
In questi commenti Sacchi perde un po’ della credibilità in cui invece si staglia quando fa la lettura critico-artistica delle interpretazioni e delle produzioni di Garland, indulgendo un po’ in quel gossip, quell’occhiale (mono)culturale da sottocultura gay, tutt’altro che militante, molto anni ’50, ma, evidentemente, ancora di moda nel 2023, che va sempre rispedita al mittente.
Incidenti di percorso, nugae che tradiscono un sottopensiero, forse recepito e diffuso con poca consapevolezza, ma non per questo meno tossico. 

Sacchi arriva infine agli ultimi anni della vita di Garland quando le condizioni fisiche non garantivano sempre la qualità delle interpretazioni dei suoi spettacoli (ma quando è in forma sa ancora incantare il suo pubblico), o quando conduce il suo show televisivo che non ottiene il successo sperato, non per sua responsabilità, ma per la produzione che non era sempre all’altezza di Garland (ma Sacchi ci mostra alcune delle punte del programma, la sua improvvisazione con Count Basie e la sua orchestra, il duetto con Barbra Streisand) proponendo sempre una chiave di lettura acuta, sottile, intelligente, colta.
Fino alla sua morte e alla forte eco mediatica che portò oltre 20mila persone al suo funerale, molte delle quali si ritrovarono pochissimi giorni dopo a ribellarsi nei moti di Stonewall, quando gli avventori e le avventrici di un locale gay di New York si ribellarono agli ennesimi soprusi della polizia.
Sacchi, pur negando che ci sia un collegamento diretto tra i due eventi (come vuole la leggenda metropolitana), individua l’importanza di Garland come icona gay nella sua capacità di superare i problemi di salute e di stare sul palcoscenico fino alla fine facendo della resilienza il tratto comune tra questa donna dello spettacolo e la comunità Lgbtqia+.

Al di là delle criticità di cui si è detto Miss Show Business costituisce una splendida esperienza di ascolto guidato che sa farsi vedere con piacere e invoglia a vedere le altre produzioni di Sacchi (delle quali, grande comunicatore, a fine spettacolo ci ricorda alcuni appuntamenti prossimi in quel i Torino e dintorni).
Aspettiamo il suo ritorno a Roma per ascoltarlo ancora.

Visto (e ascoltato) per voi il 5 agosto 2023

 

Miss Show Business – Judy Garland oltre l’arcobaleno
di e con Federico Sacchi 

 

 

 

 

(9 agosto 2023)

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