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Il teatro, quello vero, parlando de “La Morte della Pizia” vista al Teatro Belli

di Alessandro Paesano

La morte della Pizia è un racconto dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, pubblicato nel 1976. Dürrenmatt vi descrive gli ultimi giorni della Pizia Pannychis XI, la vaticinante di Apollo Pizio, oracolo di Delfi.  Pannychis  malsopporta la credulità degli esseri umani e per questo propala loro oracoli inventanti sul momento, per capriccio, come quello fatto a un certo Edipo, al quale predice che ucciderà il padre e giacerà con la madre, un oracolo che Pizia ritiene improbabile e assurdo perché nessuno al mondo può ammazzare il proprio padre e andare a letto con la propria madre.

Eppure quell’oracolo assurdo innesta una serie di reazioni a catena (Edipo che non torna a Corinto, l’incontro con Laio, che ignora essere suo padre, l’incontro con la Sfinge, l’incoronazione a re di Tebe, lo sposalizio con sua madre Giocasta) che portano alla storia del mito (e della tragedia di Eschilo) che è tra i fondamenti della nostra cultura.

Nel racconto, tratteggiato con una ionia sottile e raffinata, Dürrenmatt da un lato disinnesca la mitopoiesi, riducendola all’agenda politica di Creonte o a quella etica di Tiresia, dall’altro sconfessa ogni racconto mitico su questi personaggi, presentandoci una verità seconda, e terza (Edipo è figlio della Sfinge, Giocasta è stata impiccata da Molorco, il primo ufficiale di Edipo, geloso del suo amante Merione, col quale anche Giocasta si era coricata…).

Dürrenmatt disfa il mito riducendolo all’inconciliabilità tra chi crede che il mondo sia  un sistema ordinato e chi lo ritiene invece un mostruoso caos.
Gli uni riterranno che il mondo è plasmabile come una pietra cui si può con uno scalpello far assumere una forma qualsivoglia, – dice Tiresia a Pizia – gli altri indurranno alla considerazione che, nella sua impenetrabilità, il mondo si modifica soltanto come un mostro che prende facce sempre nuove.

E proprio nel momento in cui lo disfa Dürrenmatt ci mostra tutta la potenza mitopietica di un racconto che vive di sdoppiamenti e capovolgimenti narrativi.

Questo racconto breve e densamente letterario è stato portato sulla scena teatrale in un adattamento, mai parola fu più inadeguata, di Patrizia La Fonte (che vi recita anche) e Irene Lösch.

L’adattamento sfronda alcuni elementi della storia (come quando Pizia menziona gli uomini drago e fa un gesto circolare della mano come a dire va beh lasciamo perdere), e riesce a restituire l’evocazione letteraria dei personaggi che vengono a trovare Pannychis XI con l’icasticità della rappresentazione teatrale.

I personaggi, interpretati tutti da Patrizia La Fonte e Maurizio Palladino, appaiono direttamente sulla scena senza quegli effetti visivi del testo originale che deve introdurre la loro apparizione in qualche modo.
Il regista Giuseppe Marini casomai si diverte a mostrare la trasformazione di La Fonte da un personaggio all’altro, da dietro le quinte, grazie alla scena che, opportunamente illuminata (il disegno luci è di Alessandro Greco) mostra quello che altrimenti rimane celato alla vista del pubblico.

Lo spettacolo è un tour de force per chi vi recita che deve sapersi districare tra un testo testo impegnativo, a partire da tutti quei nomi…, e una regia che chiede a entrambi una prova fisica notevole, tra uscite, entrate, cambio di costumi e l’interazione molto dinamica con una scena di piccole dimensioni ma esigente.

Maurizio Palladino è bravissimo nell’incarnare l’essenza di Tiresia o di Merops (il sacerdote che gestisce gli incassi del tempio) con l’incedere di un passo, un gesto del corpo – complici i costumi, magnifici, di Helga H. Williams – mentre  Patrizia La Fonte interpreta Pizia e Giocasta con una così evidente differenza nel fisico e nella voce che il pubblico si domanda se si tratti sempre della stessa attrice…

L’adattamento mitiga una certa ineluttabilità presente in Dürrenmatt con una dose di moderato ottimismo a giovamento di una messinscena che sa entusiasmare con dei  personaggi che costituiscono un tributo alla vita e un omaggio al teatro. Quello vero.
Quello fatto bene. Quello che, dopo che lo hai visto, non te lo scordi più e ti scalda per tutta la vita.
Visto per voi giovedì 11 maggio 2023 al Teatro Belli di Roma.

 

(13 maggio 2023)

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