di Andrea Mauri
Cosa si nasconde sotto la facciata ipocrita delle famiglie? Quali segreti? Quali meschinità? Quali squallori? Nessuno si salva nel Ritorno a casa di Harold Pinter (The Homecoming, scritto dal drammaturgo britannico nel 1965), diretto e interpretato da Massimo Popolizio al Teatro Argentina di Roma. Un testo crudo, dove al centro c’è una famiglia disfunzionale, sbrindellata, corrotta dal tempo e da relazioni di facciata.
L’azione si svolge all’interno di un appartamento borghese, un tempo di un certo stile, adesso abbandonato all’incuria. Panni appoggiati sul corrimano della scala che porta al piano superiore, tavoli e mobili pieni di ammennicoli impolverati, una lampada stile liberty con donna nuda che sorregge il paralume e una testa di toro appesa all’ingresso principale. Max, il capostipite (Massimo Popolizio), macellaio ora in pensione, uomo violento e prevaricatore, condivide la casa con il fratello Sam (Paolo Musio), mal sopportato perché vive da parassita e a detta di Max è mezzo frocio. Nello stesso appartamento vivono anche i due figli: Lenny (Christian La Rosa), un trentenne, ex “pappa”, si vanta di avventure erotiche violente, probabilmente un mitomane; Joey (Alberto Onofrietti), il fratello ventiduenne, vorrebbe essere un pugile professionista, in realtà è il più fragile della famiglia. C’è anche un terzo figlio, Teddy il maggiore (Eros Pascale), professore di filosofia in un’università americana. È proprio lui a scatenare gli eventi, quando ritorna a casa durante un viaggio in Europa con la moglie Ruth (Gaja Masciale).
L’equilibrio della famiglia si spezza per sempre. Attraverso un ritmo serrato, battuta dopo battuta, riducendo al minimo il silenzio, emergono i lati oscuri dei personaggi, il cinismo, la cattiveria, la progressiva distruzione di quel nucleo depravato. Tutti arrivano a chiedere a Ruth di restare a casa con loro, di non tornare in America, per fare la prostituta nelle comode ore serali e portare soldi a casa. Una proposta oscena, strisciante nelle menti dei personaggi già dalla prima apparizione della donna in scena insieme a Teddy. La convinzione che Ruth vendesse il suo corpo anche in America, motivo per cui agli occhi della famiglia la proposta di prostituirsi per loro non appare così assurda.
La trama è tutta qui, non ci sono grandi sviluppi. La forza del testo di Pinter sta nel linguaggio. Si passa da una tranquilla chiacchierata convenzionale a una raffica di battute scurrili che dipingono la vera natura dei personaggi. Non è il fatto di essere scurrili a disturbare, è la semplicità con cui si distrugge con le parole l’intimità altrui e un grumo di relazioni sclerotizzate nel tempo.
La scrittura di Harold Pinter è inquietante, però qualcosa nella regia dello spettacolo non restituisce tale inquietudine. Nel passaggio veloce di alcune scene si fatica a entrare nelle emozioni dei personaggi e la rappresentazione spazia tra il dramma e una sorta di varietà, a tratti persino troppo ludica, che impedisce di percepire a fondo la psicologia dei personaggi.
Nessuno si salva. Né la famiglia né la casa, la rottura degli schemi è definitiva e irreparabile. Le parole violente non risparmiano quei deboli esseri umani in balia della disgregazione. Persino la casa sembra incendiarsi innanzi a storture che porteranno alla consunzione di ogni tipo di relazione.
Ritorno a casa
di Harold Pinter
regia Massimo Popolizio
con Massimo Popolizio
e con Christian La Rosa, Gaja Masciale, Paolo Musio
Alberto Onofrietti, Eros Pascale
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
suono Alessandro Saviozzi
produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale,
Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Visto per voi al Teatro Argentina di Roma il 22 maggio 2025.
(27 maggio 2025)
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