di Andrea Mauri
Ferdinando è l’opera teatrale forse più realistica, più classica nella struttura di Annibale Ruccello, ambientata in un preciso momento storico. Siamo nel 1861, la fine del Regno delle Due Sicilie, a casa di Donna Clotilde (una bravissima Sabrina Scuccimarra), nobile decadente, allettata per una presunta malattia, ma più per il rifiuto di accettare che cosa sta accadendo nel mondo con la prossima unificazione dell’Italia voluta dai Savoia, considerati gli usurpatori del potere dei Borboni.
A mettere in scena l’opera è Arturo Cirillo, che ne cura la regia e ne è anche interprete nel ruolo di Don Catillo, al Teatro India di Roma.
Il linguaggio del dramma teatrale è il napoletano e non potrebbe essere altrimenti. Donna Clotilde rimprovera alla sua tuttofare Donna Gesualda (un’esuberante Anna Rita Vitolo) di parlare troppo in italiano e di tradirla ogni volta che abbandona la lingua del suo regno perduto.
La scena principale dell’azione è una stanza dove domina un letto enorme e antico e già dalle prime battute si respira un’aria rabbiosa, di rancore, di acrimonia, di vendetta tra le due donne, unite solo da interessi economici per l’eredità che Donna Clotilde deciderà di lasciare alla sua morte, e per un’ipocrisia religiosa che permea l’intero testo. Donna Clotilde non può fare a meno di Don Catillo, parroco della chiesa, un uomo che la nobildonna detesta, ma che l’aiuta negli esercizi spirituali; prete ambiguo, legato a una relazione amorosa con Donna Gesualda.
L’intreccio della storia è già abbastanza avviato per assistere alle schermaglie dei tre personaggi su verità taciute, omesse, rimosse, oppure consapevolmente insabbiate per non rompere l’equilibrio precario di quello strambo nucleo familiare.
Personaggi fragili, non risolti, bisognosi di rivendicare una visibilità, di riempire i vuoti di una vita che vedono frantumarsi giorno dopo giorno. Personaggi incapaci di pensare al futuro in qualsiasi modo, attaccati alle miserie del presente, capaci solo di coltivare l’odio tra di loro sotto l’apparenza di una gentilezza vacua.
Tra musica di organo e pianoforte, sfila la narrazione del dramma. In un angolo buio, una flebile luce illumina il tavolino con bottiglie e bicchieri. È pure il luogo dove don Catillo incontra donna Gesualda nei loro appuntamenti amorosi e dove il prete si ritira a pregare. Circolano voci su di lui in paese, quelle su un certo Amedeo, pupillo del parroco, legato al ragazzo da un legame speciale, poi allontanato dalla chiesa per aver rubato le elemosine. Don Catillo prega per salvarsi l’anima, ma anche lui è dannato, come le due donne.
Appena inizia lo spettacolo, un ragazzo con la valigia attraversa la scena. Chi è questo quarto personaggio? Scopriremo poco dopo che si tratta Ferdinando (bella interpretazione di Riccardo Ciccarelli) e il suo arrivo in famiglia, l’adolescente che spariglia le carte e rompe gli equilibri.
In una giornata come tante, sempre costretta a letto dalla sua ipocondria, donna Clotilde riceve la lettera di un notaio che le annuncia la morte di una lontana cugina. Il figlio di lei, Ferdinando appunto, deve essere accudito proprio da donna Clotilde, la parente più prossima.
La presenza giovane e conturbante del ragazzo sconvolge gli animi di tutti, femmine e maschio. Il bisogno disperato di amore getta le due donne e il prete sulla pelle fresca di Ferdinando, che gioca con la seduzione senza dignità. Donna Clotilde riesce persino ad alzarsi dal letto, dimentica di essere malata. Presto le voci di amplessi ripetuti tra lei e il ragazzo si diffondono, creano gelosie, rancori, se già non ce ne fossero abbastanza in quel trio. E’ una gara a chi raggiunge il bacio più sensuale, a chi riesce a toccare Ferdinando per soddisfare il proprio desiderio. Anche don Catillo viene scoperto in sagrestia, sollevata la tonica, aspettando che Ferdinando lo possegga sul tavolo.
Durante le confessioni più drammatiche, il drappo che fa da sfondo alla scena, si illumina di rosso, rosso come il sangue ribollente nelle vene dei personaggi, sangue caldo per una passione malata. Un lampadario è a terra, si eleva con luci come candele a benedire le intrusioni dell’amore nella famiglia. Il rosso del drappo si staglia sugli abiti scuri dei personaggi, forse a lutto per la Storia che cambia, forse per devozione. Personaggi rinchiusi nella solitudine, preteschi, monacali, o per semplice difesa.
Ma chi è veramente Ferdinando? Un ragazzo del presente, che parla italiano con le due donne che chiama zie, l’italiano adesso accettato perché risuona da una bocca giovane e sensuale, lingua pronta a virare nel napoletano per stravolgere la passione dei tre. Un ragazzo ambiguo, di cui solo alla fine si scoprirà il segreto. Ferdinando incarna l’innamoramento e di questo amore precario gli altri si ingannano o vogliono ingannarsi per superare la solitudine marcescente.
La regia di Arturo Cirillo è precisa e coinvolgente, proietta il pubblico nell’ambiente lugubre e spettrale fatto di ricordi e abitato da morti. La morte aleggia sulla storia e gli intrighi diabolici delle due donne colpiranno lo sfortunato don Catillo, capro espiatorio di una vicenda folle e disperata.
Ferdinando di Annibale Ruccello
regia Arturo Cirillo
con Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo, Arturo Cirillo, Riccardo Ciccarelli
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
musiche Francesco De Melis
luci Paolo Manti
regista collaboratore Roberto Capasso
assistente alla regia Luciano Dell’Aglio
foto Tommaso Le Pera
produzione Marche Teatro, Teatro Metastasio di Prato,
Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Visto per voi al Teatro India di Roma il 2 aprile 2025.
(7 aprile 2025)
©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata