Jennifer e le sue (cinque) rose

173

di Andrea Mauri

È un telefono antico, di ghisa, nero, quello sul tavolo nel piccolo appartamento di Jennifer (interpretata dal bravo Geppy Gleijeses, anche regista dello spettacolo). La pièce Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello si svolge in un modesto monolocale; lo immaginiamo al piano terra, buio e al suo interno kitsch negli oggetti quotidiani. Un mobiletto lezioso per il trucco, il letto in fondo alla stanza, un paravento che è anche armadio, dove Jennifer custodisce i suoi abiti eccessivi e le vestaglie fiorate, la cucina che restituisce tristezza. Il telefono squilla più volte, è sempre un’interferenza: nel quartiere dei travestiti i numeri si scambiano, si accavallano, dice Jennifer affranta.

Parrucca bionda, trucco evidente, il suo corpo di maschio si rifiuta di apparire per quello che è, rivendica l’immagine che sente più appropriata. Jennifer è un travestito della Napoli degli anni Settanta, il femminiello del fantomatico Quartiere dei Travestiti, quel desolato appartamento dove vive nella solitudine dei gesti ai quali non crede più. La sua vita ruota intorno al telefono e a una chiamata che non arriva, la telefonata di Franco, l’uomo conosciuto in discoteca, una notte di amore tre mesi or sono, poi sparito nel nulla. È l’uomo che trascina Jennifer nel vortice di depressione e di ironia, che la spinge a maledirlo per poi immaginare di fare l’amore con lui; l’uomo che la fa sentire femmina piena, anche se al trucco a volte mescola la schiuma da barba. La malinconia di Jennifer che si cela in gesti abitudinari, tra semplici pasti di crocchè e un bicchiere di vino, le canzoni di Mina alla radio, la stazione di Radio Cuorelibero sempre sintonizzata. Non solo Mina, ma anche Patty Pravo (torna La Bambola, pezzo amato da Ruccello, che lo inserì anche nella sua altra opera Anna Cappelli), e ancora Romina Power, Ornella Vanoni. Canzoni d’amore con le quali consolarsi nell’attesa dell’agognata e maledetta chiamata di Franco; ancora il telefono, l’unico contatto con l’esterno di un’esistenza condannata nell’oscurità di un basso anonimo. La voce della radio racconta le dediche degli ascoltatori, l’altro contatto con il mondo, il mezzo per sognare che altre vite sono possibili. Ogni cosa è minima a casa di Jennifer, la sua vita si fa piccola, schiava di un telefono che squilla a tradimento, altri uomini che rispondono, spesso volgari, che non meriterebbero attenzione. Eppure, Jennifer parla con loro, coglie l’occasione per rivendicare il ruolo di femmina desiderata, di femmina in attesa di sposarsi: il destino sta per cambiare. Lei non perde l’occasione per ripetere che la sua ragione di vita è Franco. In platea arriva una morsa allo stomaco, quando Jennifer prepara la tavola per due, come ogni sera, accende candele romantiche, tira fuori il servizio buono. Nessuno arriverà’ o almeno non il Franco desiderato. Perché a un certo punto qualcuno irrompe nella sua vita.

Sarà una figura salvifica? Rappresenterà un nuovo inizio? La drammaturgia di Annibale Ruccello apre uno spiraglio alla speranza. Anche se temiamo, conoscendo la sua opera, trattarsi di una falsa partenza. Chi è veramente Anna (a interpretarla è Lorenzo Gleijeses, figlio di Geppy, anche lui molto bravo nel suo ruolo), la donna misteriosa che suona alla porta di Jennifer? Un altro travestito del quartiere, amabile all’apparenza, più ciarliero di Jennifer, però a tratti ostile, mentre scopriamo essere anch’egli vittima della solitudine. Parla quasi in delirio della sua gatta Rusinella, ragione di vita, e quando torna da Jennifer per la seconda volta, raccontandole di averla trovata sgozzata sul tavolo, si aggira per l’appartamento con un coltello in mano, a cercare un qualsiasi tipo di vendetta. Noi del pubblico siamo in pericolo come Jennifer, perché abbiamo ascoltato alla radio che nel quartiere si aggira un maniaco che uccide i travestiti. Anna è quel maniaco sotto mentite spoglie? Oppure soltanto uno dei femminielli spaventati da una realtà che li mette costantemente in pericolo?

Lo scambio di battute a questo punto si fa serrato e in un certo senso riprende il ritmo del testo di Annibale Ruccello. Si riscatta da una prima parte dello spettacolo un po’ troppo dilatata, che rischia di sganciare l’attenzione del pubblico. La sensazione rispetto al ritmo dei testi di Ruccello, è che in questo adattamento si sia indugiato troppo su gesti secondari, come il cucinare, il momento del trucco, a scapito del racconto rapido, che avrebbe avuto come risultato di gettarci addosso ancora più angoscia.

Noi soffriamo con Jennifer, vediamo sullo sfondo le cinque rose del titolo e non sappiamo che fine faranno. L’unica certezza è che sfioriranno prima o poi, come l’illusione dell’amore di quel Franco sparito nel nulla. Troppo dolore da sopportare; adesso pesa anche la messinscena di una vita di coppia che non ha mai preso forma. Jennifer è sola a casa, dopo aver cacciato Anna in preda al panico. Quella Anna che è entrata improvvisamente nella sua vita ed è come se l’avesse risvegliata da un incantesimo. La corrente è andata via, il telefono non ha più linea. Jennifer grida di aver paura e invoca la mamma allo specchio. Uno sparo e il telefono di ghisa nero torna a squillare. Sarà Franco o l’ennesima interferenza? Jennifer non lo saprà mai.

Le cinque rose di Jennifer
di Annibale Ruccello
regia Geppy Gleijeses
con
Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses

Visto per voi al Teatro India di Roma il 6 marzo 2025.

 

 

(7 marzo 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata