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“Parlami d’amore”: e il testo?

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di Alessandro Paesano

Il programma di sala presenta Parlami d’amore – lo spettacolo dedicato alle canzoni italiane dal 1918 al 1940 – come uno spaccato di storia della musica italiana ma soprattutto uno spaccato di “storia patria”. Poiché la musica, da sempre, diventa il paradigma di una nazione e di un pensiero.

In realtà lo spettacolo si limita a proporre un regesto di canzoni inquadrandole in un racconto che ha tutt’altra vocazione.
L’io narrante femminile del testo (che nel finale si rivelano essere i ricordi della zia di un altro io narrante  temporalmente più vicino a noi che cita Lady Oscar e Kiss me Licia) si limita a delle memorie elegiache di quegli anni, sfiorando tematiche importanti, come il ventennio fascista, con le solite argomentazioni trite sull’essere fascisti senza sapere il perchè (un falso storico come minimo, visti anche i nostri tempi correnti) o sull’italiano voltagabbana che cantava Faccetta nera e poi si svegliò cantando Bella ciao (bel modo di trattare la Resistenza).
Le  considerazioni che il testo fa, tra una canzone e l’altra, sono prive di qualsiasi spunto critico sul periodo. Non già quello politico ma almeno quello storico, legato al consumo culturale, alla storia della canzone italiana, all’uso della radio (costosissima e quindi poco diffusa rispetto alla Germania) della quale si accenna solamente il suo essere usato come strumento di propaganda, senza entrare mai nelle storia delle canzoni, fare l’analisi dei testi, con alcune eccezioni, impiegate come occasione comica, come nella spassosa disanima del testo di Balocchi e profumi di E. A. Mario portata al successo da Gennaro Pasquariello nel 1928. Un’occasione comica doppiata dal racconto del ricordo del Re dalla bassa statura, enfatizzata da un pupazzo che Incudine manovra con grande sapienza.
Il testo preferisce  indugiare sui dettagli biografici di una testimone dell’epoca alquanto distratta invece di informarci sulla musica di allora, sugli stili delle canzoni – il filone italico del bel canto, quello dei brani interpretati da cantanti lirici, o quello più moderno di canzoni cantate da una nuova schiera di interpreti, attori e attrici, tra cui Vittorio De Sica la cui Parlami d’amore Mariù dà il titolo allo spettacolo.
Un limite del testo che si impone durante la visione anche se non si è letto il programma di sala, le cui promesse lo rendono  ancora più deludente.
Dove invece lo spettacolo vola, incanta, commuove ed è godibilissimo, è dal versante delle canzoni, interpretate magistralmente da Mario Incudine accompagnato al piano (e alla fisarmonica) dal maestro Antonio Vasta.
La sua voce tenorile gli permette di interpretare le canzoni con la giusta attitudine  con cui venivano cantate allora (lo abbiamo già detto, la tradizione voleva  venissero interpretate da cantanti d’opera).
Incudine non è solamente un grande cantante, è anche un raffinato interprete che sa sostenere lo spirito di quelle canzoni. Le sue interpretazioni sono rese uniche dalle sue doti di attore che, complice la regia di Strabioli, lo impegnano in degli incisi narrativi tra una strofa e l’altra , lo vedono cimentarsi nella declamazione di una poesia importante del nostro Risorgimento come La madre veneta al campo di San Martino di Luigi Mercantini, oppure lo vedono  prodursi nella già ricordata lettura parodica di Balocchi e profumi  o in un inserto narrativo sulla tradizione siciliana delle cerimonie funebri, che racconta situazioni note, ma che Incudine sa fare sue dando loro una freschezza che nasce dalla spontaneità della sua recitazione.
La poesia di Mercantini non è l’unico sforamento storico a un’epoca precedente: nel repertorio di canzoni interpretate ci sono gemme di fine 1800 come Ciribiribin (1898) e Torna a Surriento (1894) che non sfigurano accanto ad alcune pietre miliari della canzone italiana della prima metà del 900.
Si va da Come pioveva del 1918 a Non ti scordar di me del 1935, da  Firenze sogna scritta e interpretata da  Cesare Cesarini nel 1939 alla celebre Tanto pe cantà di Petrolini su testo di Alberto Simeoni, composta nel 1932, da Signorinella, del 1931, a Voglio vivere così composta nel 1941 da Giovanni D’Anzi e Tito Manlio e Maramao perchè sei morto del 38.
Di queste canzoni non ci viene mai detto nulla, né chi le ha composte, o quando sono state composte, se facevano parte di colonne sonore di film (perchè Parlami d’amore Mariù non è l’unica canzone che compare in un film di quegli anni) o dell’impatto che quelle canzoni hanno avuto sulla società dell’epoca. Sarebbero bastate poche notazioni, Voglio vivere così che celebrava il sabato fascista, oppure la censura subita da Maramao perchè sei morto che il Regime temeva fosse una critica al potere costituito. Su questo (e su tanto atro che su quelle canzoni si poteva dire) il testo tace in maniera assordante.
Il pubblico, che mostra di conoscere tutte le canzoni proposte (tanto che alla fine, nei bis, Incudine lo può invitare  a cantare con lui sottovoce per non disturbare quel signore tra il pubblico che si è fatto dieci minuti di sonno…), apprezza tantissimo lo spettacolo, ride dei momenti comici, si commuove al ricordo della dichiarazione di Guerra fatta da Mussolini nel 1941, ma, sopratutto, si entusiasma  per  l’immensa bravura di Incudine e del maestro Vasta, non certo per un testo timido, approssimativo e sui generis, che non c’è.
Parlami d’amore
quando la radio cantava la vita

di Costanza DiQuattro

con Mario Incudine,
Antonio Vasta pianoforte e fisarmonica
suono Pino Ricosta
scene Paolo Previti
Regia di Pino Strabioli

 

Visto per voi al teatro Sala Umberto di Roma il 17 febbraio 2025.

 

 

 

(23 febbraio 2025)

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