Nannarè: Giulia Ricciardi interprete e autrice di un testo indimenticabile

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di Alessandro Paesano

Abbiamo avuto la fortuna di assistere a Nannarè, il monologo scritto e interpretato da Giulia Ricciardi, in una serata speciale, al teatro Rossini, la platea gremita, piena di amici, amiche e amanti del (buon) teatro.

Ricciardi interpreta una donna che si trova dinanzi il commissario, ignoriamo il perchè. All’inizio l’abbiamo vista in piedi, le braccia in alto, come chi si trova minacciata da una pistola, ma adesso è seduta su una sedia, con indosso una sottana nera e sopra una veste da camera trasparente e bianca.

Nannarè si basisce che il commissario e gli altri agenti non proferiscano parola, allora parla lei, senza essere interrogata. Declina le proprie generalità e racconta a braccio della sua vita, mentre il pubblico attende che dal suo profluvio di parole si capisca il perché

della sua presenza lì al commissariato.

Ogni tanto dei flash fotografici con relativo rumore di un otturatore in movimento interrompono le sue parole, Nannarè sembra infastidita, rimane senza respiro, il buoi piomba sul palcoscenico e, ogni volta, ricomincia a capo, affrontando la sua vita, dipanando le sue origini, le sue vicissitudini e, anche, i soprusi vissuti.  

Vissuti e non subiti perché Nannarè è una donna di mondo, una prostitua, non più giovane ma ancora molto piacente, che batte il marciapiede da quando era adolescente (fu la nonna a instradarla nella professione proprio come successe a sua madre).

Nannarè scherza con la sua età, provoca i poliziotti più giovani, qualcuno dei quali (ri)conosce come suo cliente. Cerca di strappare qualche reazione, qualche parola di risposta ai presenti ma il commissario rimane impassibile e muto anche quando Nannarè cerca di ricordargli quando, tanti anni prima, lui era ancora ispettore, era venuta in centrale per denunciare le violenze del suo protettore. 

In un flashback vediamo la Nannarè di allora giustificare le percosse ricevute (però si chiede perché a denunciare debba essere solamente che riceve violenza e non chi ne è testimone) e si accomiata lasciando una carta con la denuncia delle violenze lì, in commissariato, quasi per dimenticanza. Un gesto che non le è valso a niente se ancora oggi riceve botte e insulti dallo stesso uomo di allora, del quale si dice innamorata. 

Nel suo racconto-confessione Nannarè cerca di svegliare le coscienze dei poliziotti presenti ma né i doppi sensi, né le battute riescono a scalfire un silenzio imperturbabile, ostile, quasi, sicuramente omertoso.

Tra il pubblico in platea intanto si insinua un sospetto, più che altro una speranza, che lei sia lì per un gesto di rivolta e ribellione nei confronti delle violenze ricevute, ma la verità è un’altra come viene svelata  alla fine del monologo, una vera doccia fredda per chi, come chi scrive, aveva sperato in un finale diverso.

Non importa quanto si è autoconsapevoli, quanto l’ironia possa alimentare la resilienza, i gesti degli uomini prevalgono sempre, violenti, prepotenti, definitivi.

 

Nannarè è un personaggio che innamora grazie alla potenza del testo e all’immensa bravura dell’interprete, che poi siano la stessa persona fa ancora più piacere.

Giulia Ricciardi ci restituisce questa prostituta popolana romana, senza mai sfiorare il cliché o lo stereotipo, scrivendo e interpretando un personaggio vero e vivo, sempre, in ogni singola parola che proferisce.

Il nome del personaggio fa pensare subito ad Anna Magnani, la Nannarella per antonomasia del cinema e del teatro italiani, e se ogni tanto Magnani affiora  nella recitazione di Ricciardi (la risata identica e mai caricaturale, il linguaggio del corpo, certe espressioni del viso) non è per emulazione e nemmeno per un omaggio: non è Ricciardi a evocare Magnani, è il personaggio di Nannarè.   E’ lei col suo femminino romano e verace  che ricorda Anna Magnani che su quelle caratteristiche ha creato la sua cifra d’attrice.

La misura di Ricciardi è esemplare tanto da rimanere sempre tra parentesi come attrice, sempre al servizio del personaggio (grazie anche all’attenta regia di Parizio Cigliano), sempre attenta a restituirne sentimenti e modo di vedere, mai alla ricerca degli applausi, anche se arrivano copiosi, a scena aperta, e non potrebbe essere altrimenti.

Il monologo risente forse di qualche lungaggine soprattutto quando il personaggio sembra prendere il sopravvento e comincia a parlare d’altro rispetto il tema dello spettacolo che è la violenza femminicida dell’uomo sulla donna.

Così certe considerazioni sul politicamente corretto (la critica alla locuzione diversamente abile che è ormai superata, oggi si usa l’espressione persone con disabilità), sulla mascherina usata durante il covid, sulla chirurgia estetica, distraggono dal femminicidio che è affrontato nel monologo dal punto di vista eccentrico di una prostituta nella cui vita non si rispecchiano tutte le donne bersaglio del femminicidio. I femminicidi non colpiscono solamente chi ha scelto o è stata costretta alla prostituzione ma tutte le donne  che mostrano una propria autonomia dal maschio
Ci sarebbe piaciuto se Nannarella invece di chiedersi del perché di tutte le lettere della sigla lgbt si fosse chiesta se gli uomini sposati che ha per clienti picchiano anche loro le proprie mogli come il suo protettore picchia lei.
Dispiace che Nannarè si riferisca alle prostitute trans al maschile (le chiama le travelle però quando spiega il termine al commissario dice i trans) non tanto per una questione di linguaggio ma perché ci sembra l’unico momento in cui Ricciardi autrice tradisca un pregiudizio sul suo personaggio, pensando che una donna popolana per riferirsi alle donne trans debba farlo necessariamente in termini transfobici. L’unica défaillance di un testo che invece  ci mostra una Nannarella che sbaglia qualche parola ma non sbaglia un concetto, una critica, un commento ironico, che die tradizionista ma poi usa l’espressione illo tempore,  in un testo che mostra come la padronanza del lessico travalica le semplificazioni di classe. 

Naturalmente queste nostre osservazioni critiche non scalfiscono nemmeno la grandezza del testo del personaggio e della sua interprete. 

Nannarè è uno spettacolo memorabile, un’esempio di grandissimo, immenso teatro da vedere e rivedere, perché il teatro fatto bene va frequentato, sostenuto e riconosciuto. Sempre.

 

Nannarè
di e con
GIULIA RICCIARDI

regia Patrizio Cigliano
Luci e fonica Marta Storni

 

Visto per voi il 15 luglio al teatro Rossini di Roma.

 

 

 

(20 luglio 2024)

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