di Alessandro Paesano
Io ricordo cose che magari non sono mai accadute, ma proprio perché le ricordo diventano reali.
Anna, Vecchi tempi, I atto
Vecchi tempi (Old Times) è andato in scena per la prima volta il 1º giugno 1971 all’Aldwych Theatre di Londra. Come in molte opere di Pinter è un testo nel quale non sembra accadere apparentemente molto. Kate e suo marito Deeley attendono la visita di Anna, amica di gioventù di Kate, che la donna dice di non ricordare più. Mentre Kate parla di Anna, il personaggio è già presente in scena, ma come non attivo, di spalle, in attesa di entrare in azione. Quando Anna si palesa lei e Deeley si raccontano i loro trascorsi con Kate. Un vero confronto su come l’hanno conosciuta, cosa facevano quando, vent’anni prima, vivevano a Londra (ora Kate e Deeley vivono vicino al mare).
Scopriamo (e Deeley con noi) che Anna e Kate vivevano insieme, che Anna le rubava la biancheria intima, che erano sempre nei bar a bere e ascoltare le conversazioni.
É in un cinema vuoto che Deeley incontra Kate, unica spettatrice oltre lui, per la prima volta. Il loro incontro segna un cambiamento nella vita di Kate, che non sembra confermare nessun racconto degli altri due personaggi.
Mentre da un lato appare chiaro come Anna e Deeley si contendano ricordi, vicissitudini e momenti passati insieme a Kate, dicendo di essersi già conosciuti allora (mentre a inizio commedia Deely afferma di non averla mai incontrata) dall’altro è altrettanto chiaro come questi ricordi non siano tra di loro coerenti.
La memoria, ricostruita e contraddittoria, lascia una indeterminatezza che, alla conclusione della pièce, autorizza il dubbio che Anna non sia davvero mai venuta a far visita a Kate, o, addirittura, che Kate e Anna siano due facce della stessa persona.
L’affermazione di Anna riportata in esergo è la chiave di lettura di un testo nel quale l’indeterminatezza dei ricordi, o, meglio, il fatto che costruiamo dei racconti basandoci su dei ricordi che potrebbero non coincidere con i fatti davvero accaduti, non produce una mancanza di senso, una aleatorietà totale.
Al contrario nello svolgersi di Vecchi Tempi emerge chiaramente come questa sovrapposizione di memorie costituisca una strategia di potere, di presa sulla realtà, che si articola in una competizione tra i generi, dove l’uomo, l’esemplare maschile del genere umano, viene esautorato della sua autorevolezza dalla solidarietà sororale tra Kate e Anna, dove l’omosessualità è sempre, anche, strumento di autoemancipazione.
Possiamo solamente immaginare l’effetto che questa pièce fece sul pubblico dei primi anni ’70, quando il pensiero femminista era ancora in fieri, ma risulta abbastanza chiaro come, allora come ora, la chiave di lettura non sia l’orientamento sessuale, come invece viene indicato nelle note di sala che accompagnano l’allestimento presentato all’Argot di Roma per la regia di Filippo Gili.
Nelle brevi note di presentazione si parla di vocazione omosessuale di Kate che è stata tradita, mentre la sua relazione con Deeley viene descritta come una inversione solo apparente [sic!] che in realtà cela una automutilazione, secondo un luogo comune sugli orientamenti sessuali che vuole eterosessualità e omosessualità incompatibili ed autoescludenti – proprio come il patriarcato concepisce i due generi binari maschile e femminile – come se la bisessualità non esistesse o non fosse quel tertium cui il dualismo patriarcale nega l’esistenza.
La commedia più che vertere sull’eterosessualità e l’omosessualità, verte sui rapporti tra uomini e donne nel patriarcato, su un sommovimento di emancipazione dalla subordinazione femminile al maschio che le donne compiono mentre presentano una voce tutta loro e l’uomo non ha più potere di zittire questa voce che dirompe, incontenibile, e lo mette in disparte.
La mutilazione che secondo le note di sala Kate si è inferta non è la rinuncia alla propria omosessualità, ma, semmai, la rinuncia alla propria autonomia di donna che aveva una vita sociale e culturale (cinema, teatro, mostre, concerti) con una persona sua pari, adesso inesistente.
La messinscena di Filippo Gili pur rimanendo fedele al portato del testo di Pinter ne modifica lo spirito, virando verso una certa ironia che disinnesca la critica di Pinter nei confronti del maschile, facendo interpretare ad Alessandro Tedeschi il personaggio di Deeley con una sprovvedutezza che non è quella del maschio che perde autorità ma quella dell’uomo che dinanzi l’omosessualità femminile si imbarazza (e il pubblico ride).
La difficoltà, i tentennamenti, la meraviglia nell’apprendere che sua moglie ha convissuto con Anna, sembrano scaturire solamente dalla scoperta che sua moglie aveva una relazione omosessuale, mentre in Pinter il portato simbolico è molto più profondo e affronta i rapporti tra uomo e donna tout-court a prescindere dell’orientamento sessuale.
Pinter semmai si attesta sul fronte dei ruoli di genere, registrando come la donna non sia più solamente oggetto di desiderio del maschio ma anche soggetto desiderante tanto di un’altra donna (Kate) quanto di un uomo (Deeley stesso nei ricordi, millantati o mal ricordati, di un incontro erotico tra lui e Anna).
Inutile e, anzi, fuorviante rispetto l’impianto originale della drammaturgia, l’aver spostato l’inizio della pièce dalla casa in riva al mare dove Kate e Deeley vivono, nel museo dove stanno vedendo una mostra, perché mostra una vita sociale che i due personaggi non hanno: in Pinter Kate è relegata nella casa e non ne esce mai (a differenza di venti anni prima) mentre Deeley è spesso in viaggio, anche all’estero, per lavoro.
Insomma più che una nostalgia per una gioventù lesbica i Vecchi Tempi del titolo sono quelli di una figura femminile autonoma e libera ormai riconsegnata al cliché della donna trofeo del maschio, posta nella teca del focolare domestico. Una sovrastruttura obsoleta della quale il matrimonio è il dispositivo di sostentamento dei rapporti di potere patriarcali non uno strumento di fuga da una omosessualità rifiutata.
Anna Foglietta ha tutta l’autorevolezza e la forza che il personaggio di Anna richiede; Giulia Perulli sa essere convincete nell’attestarsi come personaggio che è stato vivo nel passato e nel presente sembra spento e assente a se stesso; Alessandro Tedeschi, in linea con la lettura del testo di Gili, è un Deley vulnerabile e meno prepotente, meno maschio detronizzato di quel che Pinter doveva avere in mente.
La messinscena è comunque godibile, semplificata nel suo sottotesto ma non superficiale.
VECCHI TEMPI
di Harold Pinter
con Anna Foglietta, Alessandro Tedeschi e Giulia Perulli
regia Filippo Gili
produzione Argot Produzioni
Visto per voi al teatro Argot di Roma il 21 marzo 2024
(26 marzo 2024)
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