di Michele Salvioli, #teatro
La scena si apre con la facciata esterna di una casa con una porta socchiusa dalla quale si può intravedere l’interno. Il marito della protagonista, di origini norvegesi e per questo chiamato il vichingo, entra ed esce più volte. Quando si trova all’interno delle mura domestiche possiamo vederlo dalle immagini proiettate sulla facciata. Tutta la prima parte dell’opera, quella che riguarda il parto in casa e la morte della neonata, viene così proiettata in un video che lascia il dubbio e l’illusione che tutto sia recitato dal vivo dietro la parete.
Lo spettatore rimane sconcertato e potrebbe pensare: questo non teatro. In realtà, dopo la prima parte i personaggi vengono fuori e iniziano a calcare il palco.
La seconda parte si apre con i lavori di ristrutturazione nella casa della madre della protagonista, la scenografia viene smontata e si trasforma in una casa borghese pronta ad ospitare un pranzo di famiglia che vedrà come ospiti: la figlia e il vichingo, la seconda figlia e il suo compagno musicista e una cugina avvocatessa.
È un pranzo che nelle intenzioni della madre ha l’obiettivo di proporre alla figlia di fare causa all’ostetrica che l’ha assistita per ottenere un risarcimento, ma che incontra il suo assoluto rifiuto. Quello che accade nel corso del pranzo è però interessante dal punto di vista famigliare: riaffiorano antichi traumi e vecchie gelosie. Inoltre i due personaggi maschili riescono, con la loro goliardia che spesso sfocia nell’idiozia, a strappare qualche sorriso in un’opera drammatica. Rispetto alla versione cinematografica l’opera teatrale ha una vena ironica completamente assente nella prima, oltre ad essere ambientata a Varsavia anziché a Boston. L’attrice protagonista Justyna Wasilewska, all’altezza del suo alter ego cinematografico, ha saputo interpretare un ruolo complesso e sfaccettato dimostrando grandi capacità anche vocali cantando, nel finale, una famosissima canzone italiana. Dalla forte carica emotiva e simbolica la scena di nudo nella quale la protagonista, rimasta da sola, può finalmente dare sfogo al suo dolore viscerale.
Kata Weber è riuscita con quest’opera, che affonda le sue radici nella sua autobiografia, a dare un messaggio chiaro ed universale: le donne vengono sempre giudicate e avversate anche nel loro modo di vivere e affrontare un dolore così intimo ed esclusivo come quello della perdita di un figlio. Lo spettacolo è diretto da Kornél Mundruczó.
Michele Salvioli era per noi alla replica del 18 settembre al Roma Europa Festival.
(19 settembre 2021)
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