di E.T. #Vistipervoi twitter@gaiaitaliacomlo #Matermorfosi
Così si apriva il programma di sala che l’autore ci ha inviato e che abbiamo pubblicato sul sito ufficiale della nostra stagione teatrale
Una donna si vanta della sua superiorità di madre e viene punita dalla moglie di un boss di quartiere. Un’altra approfitta della Festa della Donna per meditare la giusta vendetta nei confronti del marito, macchiatosi di una grave colpa nei suoi confronti. Una vecchia, cui la figlia è scomparsa molti anni prima, riversa il suo amore materno represso nei confronti di un neonato che le è stato affidato in cura. Una ragazza incinta, pronta a partorire, cerca di aiutare una sua vicina di letto in ospedale, cui l’assistenza medica viene negata. Quattro storie di donne, tratte e riadattate ai giorni nostri da altrettanti miti poco noti, narrati nelle “Metamorfosi” di Ovidio e nella “Biblioteca” di Apollodoro,
incipit perfetto per introdurre ciò che muove le intenzioni di “Matermorfosi” lo spettacolo visto alla Sala Temple di Sassuolo (Mo) e che si rifà ai grandi classici della tragedia greca. Per la precisione – riprendiamo le parole dell’autore “tre storie tragiche (Niobe, Procne, Demetra) e una tragicomica (Galantide), a riprodurre, naturalmente in un tempo nettamente minore, la tetralogia classica (tre tragedie e un dramma satiresco)”. Ciò che l’autore non può dire è che la ri-scrittura ri-vista e ri-voluzionata secondo i poveracci tempi della contemporaneità è cristallina, che l’ironia è devastante e che il lavoro di Valerio Marini si rifà allo spirito corrosivo e contro ogni tipo di sopraffazione ed imposizione dall’alto che è tipica dei popoli del sud Italia che le imposizioni sempre hanno subito e che nonostante le imposizioni o forse proprio grazie a queste, hanno imparato a vivere alla faccia di chella granda zompapereta e mammeta, ovvio riferimento alla santa donna, spesso innocente e spesso assai meno, che al bastardo di turno ha dato la vita.
Lo spettacolo vive di tre gioiellini: la scrittura di Valerio Marini, la bravissima Deborah Di Giacomo (anche Marini è in scena, ma intelligentemente non fa che l’indispensabile e senza darci troppo dentro) e la puntualissima regia di Maria Grazia Pompei che dirige con piglio (forse leggermente troppo) deciso e sapienza fermissima. Il lavoro dei tre moschettieri si amalgama perfettamente in scena dove creatività attoriale, scrittura e regia anarchicamente si mescolano seguendo senza resistervi quell’antica alchimia che dai tempi del primo zanni insegna, ma solo a chi sa imparare, che il teatro si fa da solo. E noi non siamo che chiamati a interpretarlo. Eccellente il disegno luci.
Furore iconoclasta, spirito irrispettoso, attrice protagonista che non perde mai di vista l’obbiettivo conclamato di farci vedere quante le nostre brutture sono orribili danzandoci sopra con la leggerezza di un laser che si fa avvoltoio, tanto per ricordare che siamo anche quello che mangiamo, e regista contro regalano al pubblico un’ora di divertimento intenso, anche nei momenti più drammatici, e la certezza che il teatro non muore nelle Fondazioni, negli Stabili o nelle stanze del ministero dell’Incultura, ma vive negli spazi e nella testa di chi lo sa fare e vuole continuare a farlo.
Spettacoli come “Matermorfosi” sono necessari al teatro come gli spazi che rappresentano spettacoli come “Matermorfosi” sono necessari al pubblico, e non sarà mai detto con troppa enfasi che ovunque vediate la locandina di questo spettacolo, ovunque vogliate o abbiate la possibilità di vederlo, dovete correre perché il teatro contemporaneo è questo, non la ricerca fine a sé stessa che si istituzionalizza fingendosi ricerca per aderire ai programmi ministeriali e regionali, e uniformandosi in una ricerca [sic] che al teatro non serve più perché si riduce a ricerca, sì, ma di fondi.
Quando questo cronista e questa testata avevano deciso per il premio della Critica Gaiaitalia.com, all’interno del NoPS Festival di Roma per “Nadia”, uno degli episodi che compongono “Matermorfosi” avevano visto bene.
Lo spettacolo visto il 24 novembre è una conferma che a volte il cervello funziona. Soprattutto se lavora insieme alla pancia. Stiamo naturalmente sempre parlando di teatro.
(25 novembre 2018)
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