Don Giovanni a Ferrara #Vistipervoi o della giovanile baldanza

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Don Giovanni Ferraradi Emilio Campanella

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DON GIOVANNI, o DELLA GIOVANILE BALDANZA, potrebbe essere definito così il tratteggio della regia che Lorenzo Regazzo ha proposto a Ferrara, al Teatro Comunale Claudio Abbado, il 4 ed il 6 marzo, una regia molto spiritosa ed intelligente, anche comica, ma mai volgare, e tantomeno sguaiata, talvolta arbitraria, sì, ma con proposte che sono una fine analisi del testo perfetto di Lorenzo da Ponte. Grande importanza al sottotesto, supposto, suggerito, e le forzature sono, tutto sommato, veniali data la coerenza delle rispondenze drammaturgiche proposte.

Si inizia da subito, durante l’Ouverture, a metà della quale ad apertura di sipario già la statua del Commendatore occupa il centro della scena; due uomini duellano (scopriremo dopo essere Giovanni ed Ottavio, rivali senza possibilità di comunicazione, essendo caratterialmente lontanissimi), poi una donna giovane e bella percorrerà la scena con un libretto rosso che, vedremo, ritornerà ancora, ancora ed ancora. Durante le sinfonie, le azioni sceniche disturbano e distraggono dalla musica, ma siccome né la direzione di Francesco Ommassini, né l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, almeno alla recita del 6, sono risultate memorabili, perdoniamo volentieri le intemperanze registiche.

La scena viene liberata grazie ad un siparietto dipinto: belle le scene dipinte, appunto, e le quinte mobili, le panche da giardino, le belle scale laterali a balaustre colonnate, nella agile idea di teatro d’antan, che tiene conto anche dell’estetica delle marionette, non a caso, che s’inventa man mano, di Eugenio Monti Colla, il quale firma anche i bei costumi tradizionali, puntuali, eleganti e dai colori spesso sgargianti che rendono magnificamente sotto le belle luci di Roberto Gritti.

Le tre ore di spettacolo, come si sa, hanno una successione continua di episodi, e la notte del “Burlador” vola veloce verso un’alba livida che sappiamo, ma per ora vediamo Leporello (Lorenzo Grante, volenteroso, entusiasta, ma talvolta in difficoltà con il fraseggio, peraltro rapinoso, di certe arie e certi recitativi), lamentarsi del suo mestiere; poco dopo irrompe Giovanni  (Luca Dall’Amico, di bella grinta, bel piglio, dal punto di vista scenico, perfettamente in parte, ma che spesso risente del peso del ruolo, pur non perdendosi d’animo) inseguito da Donna Anna (Valentina Varriale,voce potente che ha bisogno di affilare bene le armi che ha e di curare il fraseggio) furiosa… ma anche già segretamente innamorata del suo seduttore. Lui scriverà sul libretto rosso che il servo gli porge… Quindi ci toglierà un dubbio che attanaglia da secoli, e che già Luca Ronconi, aveva proposto di toglierci.

Più tardi, ma non molto, faremo la conoscenza di Elvira, (Gioia Crepaldi, autorevole ed interessante), bella, addolorata, che abbandonato un mantello nero, rivela un abito rosso come la sua passione (ricordate Milva?), l’aria del catalogo movimentata da molti libri rossi sempre più grandi, fino a quella di furore di lei che rischia di malmenare un gruppo di giovanotti che ritroveremo alla festa di nozze che seguirà. Bisogna notare che Elvira è accompagnata da una bella cameriera, ma qui tutti sono belli e giovani, che ritroveremo, ovviamente più tardi. Il matrimonio di Zerlina (Letitia Vitelaru, forse la migliore in scena) e Masetto (Roberto Maietta, scenicamente ineccepibile, vocalmente meno ) è vivace e rovinata dall’arrivo di Giovanni, come la sua seduzione di Zerlina sarà guastata dall’arrivo di Elvira, e l’incontro con Anna ed Ottavio (Davide Giusti, teneramente diligente e spaventatissimo da un ruolo molto impegnativo per un personaggio poco simpatico di noioso senza speranza) dal nuovo sopraggiungere di Elvira.

Le feste si susseguono ed arriviamo alla fine dell’atto con l’orgia in casa di Don Giovanni. Nessuno ce lo dice, ma è chiaro che si tratta di questo, basta vedere i quattro giovanotti inguainati di pantaloni aderentissimi, maschera nera sul volto, ed a torso nudo, per comprendere. Peraltro se la vicenda è secentesca, qui è riscritta un secolo dopo: quello di Sade, di Crébillon fils, di Laclós e tanti altri, e da un librettista ch’era un noto libertino…Bella la scena delle maschere, che tutti sappiamo chi siano, ed il solo Giovanni non vuol capire, infoiato com’è!

Secondo atto, giochi quasi da commedia dell’arte, lazzi, frizzi e cupezze infernali. Intanto i libretti rossi si moltiplicano ed anche le donne ne hanno… La serenata, le botte a Masetto, con una Zerlina giustamente biricchinissima e seduttiva, e poi via al cimitero per l’appuntamento con la statua del Commendatore (Federico Benetti, bel timbro e giusta carica sulfurea).

Ultima scena, grande festa, cena, musica, danze e chiusa con la dannazione del libertino schiacciato da un gigantesco libro rosso, idea molto divertente, ma realizzata in maniera imperfetta, peccato… Intanto lui maneggiava un volumone come certi dizionari di greco di liceale memoria. Concertato finale con Elvira novizia che mostra le belle gambe al pubblico, tanto per capire. Don Giovanni che riappare sul fondo, il mito, con il suo elegantissimo abito blu cobalto, e che verrà seguito da Leporello il quale sembra comprendere come il loro sodalizio sia ideale per i loro caratteri. Sipario, applausi non solo di cortesia.

Lo spettacolo è una coproduzione fra il Teatro Comunale di Ferrara, Teatri e Umanesimo Latino S.p.A. creato per il Teatro Comunale di Treviso nel 2015. Valentina Varriale, Gioia Crepaldi, Lorenzo Grante, Roberto Maietta e Letitia Vitelaru, sono vincitori del XLV Concorso Internazionale per Cantanti lirici “Toti dal Monte”.

La nota finale riguarda i libriccini, libretti, libri, libroni che sono il leitmotiv estetico della regia di Regazzo. Siccome tutti vi scrivono e le dimensioni aumentano durante lo spettacolo direi che l’affermazione di Giovanni: Mi par ch’oggi il Demonio si diverta/ D’opporsi a’ miei piacevoli progressi:/Vanno mal tutti quanti” ATTO I, sia totalmente disattesa…

Regazzo abilmente arbitrario, ma, siccome “L’Ateista fulminato” è un bugiardo matricolato, forse va anche bene così… Rileggiamoci Giovanni Macchia, ma anche Kierkegaard, non farà male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(10 marzo 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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