Stuporosa: uno spettacolo non del tutto risolto

431

 

di Alessandro Paesano

Stuporosa, presentato alla decima edizione del Festival Fuori Programma,  affonda le sue radici in quella pratica diffusa in tutta la cultura mediterranea delle prefiche, le donne che, riassumendo brutalmente il fenomeno, piangevano a pagamento ai funerali.

In scena, mentre il pubblico prende posto nel caldo cortile del teatro India di Roma, cinque donne, tutte di nero vestite, alcune col volto velato, una con un colletto che le disegna una cornice intorno al capo (a metà tra la gorgiera vittoriana e la rielaborazione del cappuccio di un mantello) sono o in posa ieratica, oppure accovacciate mormorando canzoni o litanie mentre maneggiano dell’acqua rituale da un catino bombato, anch’esso nero.

Poi una delle donne si stacca dal gruppo, approccia un microfono su asta di proscenio (o meglio l’impiantito del cortile) e comincia a piangere.
Un pianto che non segue né l’esagerazione forsennata di quello delle prefiche né propone una versione alternativa rimanendo a metà del guado: è un pianto poco spontaneo, sforzato, stonato (phoney si dice in inglese). Quello che interessa è il gesto del pianto, la sua fisicità sonora, un pianto scevro di ogni intenzione. Il pianto di questa donna dà inizio allo spettacolo a metà tra la performance musicale e canora (la parte meglio riuscita, grazie alle doti di Vera Di Lecce che canta, suona la chitarra e manipola la console, rielaborando le voci amplificate delle altre performer) e la coreografia, che invece non è del tutto risolta.
Nulla da eccepire sul linguaggio coreutico né, tanto meno, sulle interpreti, impeccabili e all’altezza dei movimenti richiesti.
Manca però allo spettacolo una certa leggerezza di stile. Il fenomeno delle prefiche viene presentato con una ieratica che imbalsama un po’ la performance, dilatando i tempi e i movimenti senza che questa lentezza sia riempita di nessun contenuto narrativo (niente portato antropologico e sociologico del pianto funebre) di alcuna glossa che aiuti il pubblico a capire anche le litanie e i canti che rimanendo incomprensibili (tranne un paio di eccezioni) danno l’impressione, come per il pianto, che quello che interessi sia la forma della litania e non il contenuto. Manca allo spettacolo una certa leggerezza (nell’accezione di Calvino, una leggerezza della pensosità) che congela la ritualità delle prefiche in una  ieraticità ingombrante.  Stuporosa si prende troppo sul serio cercando di (ri)proporre un’universale (il pianto del cordoglio, del lutto) avulso da ogni contesto storico.
I riferimenti infatti alle antiche litanie del salentino (di estrazione greca) proposte nella loro datità senza riferimento alcuno al sistema di valori, anche dei rapporti umani tra uomini e donne e relativi ruoli di genere, non permette di cogliere dinamiche di potere, ruoli, aspettative sociali limitando tutto a un aspetto formale-visivo che non sa emanciparsi nemmeno quando la coreografia cerca di abbozzare una certa solidarietà femminile. La donna in difficoltà, che viene curata dalle altre performer, viene spogliata mostrando il seno nudo (perchè?) mortificando l’autodeterminazione femminile in una mostrazione che non ci è parsa certo agita da un soggetto ma la classica mestruazione del corpo femminile.
Troppo preoccupato a riconoscere l’importanza e il rispetto di una pratica che ha le sue radici più antiche nella memoria millenaria Stuporosa non riesce a emanciparsi da una certa rigidità nell’approccio alla danza, una seriosità fraintesa per serietà che, presentando il mero aspetto fisico del movimento o del pianto panico, svuota di ogni significato, di ogni pathos, una tradizione che aveva dalla sua una visione del mondo (giusta o sbagliata che fosse) che qui manca del tutto.

Bravissime le interpreti, splendidi i costumi, molto interessante la partitura sonora (comprese le formule magiche, le ninna nanne usate come mero suono) ma il linguaggio coreutico, per quanto si rifà come è specificato nel programma di sala alle  figure di pathos, immagini archetipiche del patire umano che si sono tramandate nel tempo attraverso secoli e civiltà, rimane algido, ieratico, tutt’altro che empatico, risultando un puro esercizio di stile nel quale è difficile entrare.

 

Stuporosa

Regia e coreografia: Francesco Marilungo
Con Alice Raffaelli, Barbara Novati, Roberta Racis, Francesca Linnea Ugolini, Vera Di Lecce
Musica e vocal coaching: Vera Di Lecce
Spazio e luci: Gianni Staropoli
Costumi: Lessico Familiare

Visto per voi al teatro India di. Roma il 4 luglio 2025

(5 luglio 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata