di Alessandro Paesano
Al pubblico che entra in sala viene chiesto di togliersi le scarpe e lasciare i propri oggetti personali sulle poltrone della platea e di prendere posto sugli sgabelli che sono sul palcoscenico.
Su ognuno di essi è posto un visore 3D, di quelli usati per la realtà aumentata (una commistione tra ambiente fisico e inserti virtuali), che a ogni spettatore e spettatrice viene chiesto di indossare. Mentre la gente chiede aiuto e l’ideatore della performance si assicura che ogni persona abbia l’assistenza di cui necessita, una danzatrice si aggira tra gli sgabelli e il palco. Quando il pubblico è pronto prende il via l’esperienza.
Il palco si popola di presenze scenografiche organiche che esistono grazie al visore: escrescenze floreali che lambiscono il palco, si stagliano in altezza apparentemente per metri, popolano il pavimento da dove, presenze in movimento (dei ragni floreali?) si muovono verso e lontano dal pubblico.
Intanto la danzatrice si muove, saggia lo spazio, entra in contatto con le presenze virtuali, ogni tanto ne rimane offuscata, nascosta, inglobata. Dopo che la danzatrice ha saggiato tutto lo spazio scenografico al pubblico viene chiesto di premere una bolla virtuale e di alzarsi esplorando lo spazio scenico.
Ecco che le presenze organiche virtuali si animano, acquistano profondità e reagiscono al tocco del pubblico. Il pubblico è immerso in un proprio universo senza vedere le altre persone che compaiono in campo solo se in prossimità. La reazione delle presenze virtuali induce il pubblico a compiere una varietà di gesti, le mani si allungano le braccia si alzano, il corpo si curva, seguendo il rollio di una pianta, oppure si china cercando di esplorare, toccandole, le escrescenze che sorgono dal terreno.
Concentrati nell’interazione con questo mondo virtuale il pubblico non si accorge che la danzatrice (che non ha il visore) che ogni tanto si vede ingabbiata in uno spazio delimitato, segue i movimenti del pubblico ripetendoli, mimandoli, enfatizzandoli.
Visto dal di fuori per chi non ha il visore lo spazio scenico è popolato esclusivamente da gente che si muove con un ritmo tutto suo e fa dei gesti che sono o ricordano quello della danza mentre la danzatrice li ripete traducendoli in passi di danza.
Poi qualcosa cambia e il tocco del pubblico non interagisce più ma distrugge gli oggetti che si sbriciolano in forme che possono essere manipolate e spostate fino quando viene chiesto di tornare agli sgabelli e lasciare i visori rientrando nella realtà regolare, già rimpiangendo quel mondo coloratissimo, magico e interattivo che ha appena finito di esplorare.
Kruid (spezia) è una performance elegante che usa il virtuale in maniera davvero creativa. Non si tratta infatti di stupire chi indossa il visore con effetti speciali ma di chiamare il pubblico a contribuire alla coreografia con dei movimenti che sono il risultato della sua interazione con una scenografia virtuale che risponde al suo tocco.
Quel che ne rimane ne mondo reale (ci si pedoni la semplificazione) è esattamente il movimento semi coreografico di ogni persona del pubblico che la danzatrice ha il compito di riscrivere, correggere, abbellire, completare.
Il pubblico non vede la danzatrice, la danzatrice non vede quel che il pubblico vede e non c’è un pubblico esterno che assista dal di fuori alla performance.
Questa mancanza od omissione è significativa ed è forse il vero fulcro epistemico del lavoro. Cosa rimane dei movimenti vissuti in una realtà virtuale? Cosa rimane del movimento di danza dopo che lo spettacolo è finito? Cosa rimane se nessuno vede?
Sono le prime domande che ci vengono in mente come risultato residuale di un lavoro che ha diversi livelli di lettura:le forme e i colori della realtà virtuale, la loro concezione architettonica, le forme che ingabbiano la danzatrice, quella che risultano alla fine dal tocco distruttore costituiscono un altro universo tutto da esplorare e conoscere.
Infine il fatto che pubblico e la performer si trovino nello stesso qui e ora dove la classica separazione borghese tra platea e palcoscenico è davvero cancellata da una riscrittura, anche dello spazio scenico, completamente alternativa e antagonista, informa e dà forma, alle possibilità di un discorso altro sulla produzione culturale sulla performance e sulla danza.
Kruid rappresenta una delle punte di diamante di Fuori Programma, un Festival che continua a presentare una serie di lavori molto diversi tra di loro, che permettono davvero di saggiare quel che succede nel mondo (Carles Castaño e Sau-Ching Wong vengono da Barcellona) sul versante della danza.
KRUID
Regia immersiva: Sau-Ching Wong, Carles Castaño Oliveros
Coreografie e performer: Sau-Ching Wong
Ambienti 3D: Carles Castaño Oliveros
Spazio sonoro e composizione : Juan Cristóbal Saavedra
Sviluppatore: Adrián Puig Artós
Produzione esecutiva: Servicios Immersivos*
Vito per voi al teatro India di Roma il 5 luglio 2025
(6 luglio 2025)
©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata



