Lazarus: l’anti-musical

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foto: Fabio Lovino

di Alessandro Paesano

David Bowie scrive Lazarus a quattro mani con il drammaturgo irlandese Enda Walsh nel 2015. Il Musical debutta il 18 Novembre 2015 al New York Theater Workshop, a Manhattan, per la regia di Ivo van Hove, dove resta in scena fino al 20 gennaio del 2016, dopo la morte di Bowie, avvenuta il 10 gennaio.

Questo Jukebox Musical (nel quale cioè la maggior parte delle canzoni sono già conosciute) riprende il personaggio Thomas Newton del romanzo L’uomo che cadde sulla terra scritto da Walter Tevis nel 1963 e dal quale Nicholas Roeg nel 1976 aveva tratto l’omonimo film proprio con Bowie come protagonista. Newton è un extraterrestre venuto sulla Terra in cerca di acqua, che scarseggia sul suo pianeta natio, e che si ritrova intrappolato sulla Terra, impossibilitato a tornare a casa condannato a una crudele solitudine visto che non invecchia e non muore a differenza delle persone terresti che lo circondano.

Il Newton di Lazarus è ormai solo, senza più un soldo, con evidenti problemi di alcolismo, che riceve terrestri che lo vogliono intervistare, oppure che lo vogliono assistere, come la giovane Ellie che gli fa da badante e cerca di consolarlo impersonando Mary-Lou (la moglie terrestre morta da un pezzo) o la giovane ragazza (che poi si chiamerà Marley) che esiste nella mente di Newton è si scopre essere una giovane uccisa da una serial killer, che chiede a Newton di farla andare via da questo mondo in maniera adeguata (la morte violenta non le ha permesso di abbandonare la Terra) mentre Newton progetta di costruire un razzo e tornare tra le stelle.

A questa trama esile, non lineare, cui il pubblico è chiamato a ricostruire i legami di causa effetto (un po’ come nel film di Roeg) fanno da contraltare le canzoni di Bowie tutte edite tranne quattro brani nuovi “Lazarus”, “No Plan”, “Killing a Little Time” e “When I Met You” che poi confluiranno in * (da leggersi Blackstar), l’ultimo album di Bowie distribuito  il giorno del suo compleanno, due giorni prima della sua morte.

La versione italiana vede alla regia Walter Malosti, in una produzione ERT / Teatro Nazionale insieme ai Teatri Nazionali di Torino, Napoli e Roma, e la collaborazione del  LAC Lugano Arte e Cultura, in una traduzione – adattamento che ha visto la supervisione dello stesso Walsh. Forte di una produzione di un certo spessore, anche economico (ERT, primo teatro nazionale d’Italia, ndr), Malosti ha approntato un cast  corposo che vede Manuel Agnelli nel ruolo di Newton e Casadilego in quello di Marley mentre il ruolo di Ellie è interpretato da Michela Lucenti. Non da meno conto gli interpreti maschili relegati forse in dei ruoli più canonici (soprattuto Valentine, che nella scrittura di Walsh è tutto dentro lo stereotipo del maschio tossico e millantatore) ma che sanno lo stesso distinguersi.

La scena è imponente. Al centro del palco una pedana girevole nella quale sono inseriti una poltrona, una scrivania/tastiera e altri elementi di arredo, sulla quale Agnelli canta, ora rimanendo fermo e dunque compiendo un giro quando la pedana si muove, ora camminando e dunque rimanendo sempre nello stesso punto, se la pedana si muove.

Diversi schermi  riproducono immagini (alcune tratte dai video che Bowie aveva girato per alcuni brani, come nel caso di Where Are We Now?) che amplificano la scenografia mentre ai lati due palchi a gradoni sui quali trovano spazio i musicisti (e la musicista).

Di quinta, su un praticabile, a qualche metro da terra, una scatola scenica con velatino sulla quale vengono proiettate immagini e dentro al quale assistiamo ad alcune scene del musical, e vediamo duplicati alcuni dei personaggi in platea (tra cui lo stesso Newton).

Malosti fa della figura del doppio, uno degli elementi visivi centrali di una regia un po’ ingessata, che lascia parlare la musica. Mancano infatti i classici stilemi da musical (coreografie, performance, un canorità dimostrativa) facendo di Lazarus un anti-musical off off Broadway.

Questo doppio è suscettibile di diverse letture. La prima, quella più suggestiva, riguarda Newton-Bowie: le vicissitudini biografiche del primo trovano echi e sinergie inquietanti in quelle  del secondo, dalla malattia all’immortalità della fama) dalla solitudine all’isolamento (quello in cui viveva l’ultimo Bowie) passando per la dipendenza alcolica (Bowie era un ex alcolista).

Un altro doppio riguarda il rapporto tra il Bowie persona e il Bowie personaggio (che, per chi conosce anche superficialmente la sua carriera, sa essere costellata di alter ego e continue incarnazioni dell’artista) cui fanno da cassa di risonanza le canzoni i cui testi sempre criptici eppure densi di significato non sono mai occasione di commento della vicenda (davvero esile), ma alludono a prospettive esistenziali che ci accomunano in quanto esseri umani.

Tra i molteplici esempi che potremmo fare ci limitiamo a Where Are We Now ? (che nell’interpretazione di Agnelli diventa, se possibile, ancora più straziante) nella quale l’io narrante ricorda i trascorsi giovanili a Berlino e, nel presente porta a spasso i morti.

Agnelli è un grandissimo interprete che all’inizio in Lazarus, brano d’apertura, fa volutamente il verso a Bowie per poi trovare un registro altro mantenendosi in una distanza elegante tra Bowie e l’Agnelli degli Afterhours di cui è il frontman.

La scelta di fare interpretare i brani a tutti i personaggi compresi quelli femminili dà spessore e lustro a diverse pietre miliari del canzoniere di Bowie (This Is Not America e Change suonano diverse e necessarie cantate da voci femminili) mentre Casadilego ci regala un’indimenticabile Life on Mars cantata con una delicatezza sorprendente.

La cripticità dei testi, cifra stilistica di Bowie, che negli anni ’70 usava la tecnica del cut-up mutuata da Borroughs, risuona in una narrazione non lineare e altrettanto rapsodica proponendo una perfetta crasi tra scena e brani musicali dove gli uni sono emanazione dell’altra e viceversa.

Vedere questo allestimento al teatro Argentina di Roma, gremitissimo tanto in platea quanto sui palchi, dà una vibrazione emotiva in più a un allestimento sontuoso, elegante, misuratissimo (fin troppo) che unisce un pubblico eterogeneo accorso ad assistere a uno spettacolo unico nel suo genere fuori da ogni canone, da ogni tradizione, da ogni aspettativa, nel quale si naviga a vista e ci si muove come esploratori ed esploratrici di una vita vissuta, immaginata, ricordata e forse rimpianta.

 

Lazarus
di David Bowie e Enda Walsh
ispirato a The Man Who Fell to Earth
(L’uomo che cadde sulla terra) di Walter Tevis
uno spettacolo di Valter Malosti
con Manuel Agnelli
Casadilego, Dario Battaglia, Camilla Nigro
e Maurizio Camilli/Mauro Bernardi, Andrea De Luca, Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, Isacco Venturini, Carla Vukmirovic
la band (in o.a.) Laura Agnusdei sassofoni, Jacopo Battaglia batteria, Francesco Bucci tromboni, Andrea Cauduro tastiere addizionali, Davide Fasulo piano e tastiere, Stefano Pilia chitarra, Giacomo Rossetti basso, Paolo Spaccamonti chitarra

 

Visto per voi al teatro Argentina di Roma il 10 giugno 2025.

 

 

(15 giugno 2025)

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