Macbeth Circus Show: un circo poco efficace

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di Alessandro Paesano

Nell’immaginario collettivo contemporaneo il Macbeth di Shakespeare è ancora  succube di quella lettura psicologica del romanticismo storico che la incasella come tragedia dell’ambizione, metafora del potere,  letture che, come ricordava Agostino Lombardo, risultano fuorvianti e riduttive se presumono di esprimere il significato globale dell’opera stessa.

Paolo Vanacore approccia il testo shakespeariano scrivendo  Macbeth Circus Show che ha come sottotitolo la rappresentazione del potere.

Opera ambiziosa solamente nel titolo e che nel suo svolgersi si attesta in un velleitarismo irrisolto e innocuo. Irrisolto perchè tutta la macchina drammaturgica allestita, dal teatro nel teatro ai riferimenti alla gestione teatrale contemporanea (anzi, come vedremo, del futuro) non individua problemi né azzarda soluzioni. Innocuo perchè le critiche e le problematizzazioni proposte dal testo sono disinnescate degli stereotipi con cui sono costruiti i personaggi. Sia che voglia usare il teatro come metafora del potere tout court sia  che invece voglia muovere unna critica all’industria culturale teatrale il testo di  Vanacore ci propone dei  personaggi sopra le  righe figli di una industria teatrale parodica poco  aderente a quella della realtà.

Siamo nell’anno 2044, a sentire Miss Witch, la gestrice del Super Power Theatre di Londra, che accoglie il pubblico in sala dando il benvenuto al corso di teatro che  hanno scelto  di seguire .
Di questo corso il testo di dimentica subito e i presenta i personaggi maschili della pièce, una coppia di attori, Mark e Ben, che sta per mettere in scena lo spettacolo del titolo al Super Power.

Scopriamo che Miss Witch (che in inglese vuol dire strega) è succube di Mr Duncan, il proprietario del teatro che respinge tutte le sue proposte di programmazione una sequela di irricevibili volgarizzazioni di classici del teatro, dalle tre sorelle cechoviane trasformate in prostitute, alla trilogia della capigliatura (sic!) di Goldoni trasformata in una storia di sciampiste….
Ben vuole entrare in possesso del teatro di Duncan e chiede a Mark di sedurlo per fargli firmare un contratto che cede a lui la proprietà del teatro. Anche miss Witch ha la stessa brama.
Scopriamo che Mark ha lasciato la moglie per Ben e che Ben concupisce i giovani del teatro senza avere il consenso del compagno.  Non manca una scena nella quale Ben e Witch si rivolgono cordialmente epiteti al femminile, secondo la tradizione che vuole i personaggi omosessuali maschili percepiti  come femmine. La giustificazione storica che nel teatro elisabettiano i ruoli femminili erano eseguiti da uomini non regge perchè non ha nulla a he eere con l’orientamento sessuale: l’origine storica di questa consuetudine (che non è uno stile come detto nel programma di sala) era diretta conseguenza del divieto di Elisabetta I di far recitare le donne a teatro, un dettaglio che, nel testo, sarebbe potuto diventare strumento di critica al maschilismo e alla misoginia. Il testo invece indulge nella stessa misoginia, descrivendo Miss Witch in maniera poco lusinghiera,  corroborato da una velata omofobia che vuole Ben il classico omosessuale promiscuo e sessuomane (comprese tutte le allusioni fallocentriche che Ben fa a Mark) mentre  Duncan (anche lui gay e innamorato di Mark tanti anni prima) viene percepito da Witch come innocuo (volevo sedurlo ma poi ho scoperto che era un finocchio).
Insomma non ci muoviamo da certo frasario anni 50 del secondo scorso, tanto in auge al giorno d’oggi, ma non per questo meno indigesto.

La sera prima del debutto del Macbeth Circus Show Ben, proprio come Lady Macbeth che interpreterà in scena, induce Mark a uccidere Duncan per prendere possesso del teatro.
Il testo non spiega come la morte di Duncan garantisca loro la proprietà dell’edificio, in assenza di un testamento, confondendo potere con gestione economica del teatro (quel contratto che Ben vuole che Mark forzi Duncan a firmare non ha alcuna base legale).
Duncan muore, Mark si pente ma ad avere le visioni di Duncan redivivo è Miss Witch che, come ogni donna, piange

In mani più esperte forse da questo intreccio sarebbero potute scaturire osservazioni più concrete, coerenti e articolate, che nel testo di Vanacore rimangono abbozzate, le varie scene non avendo un vero collegamento se non nel sottotesto fatto di allusioni sessuali e di una metateatralità più detta che agita,  dove il portato  dell’espressionismo berlinese scomodato nel programma di sala, è solamente di facciata, nei costumi (splendidi) e nel trucco (esemplare) dei tre personaggi dai visi coperti di biacca, non certo nelle intenzioni o nei modi del testo.

Se il portato del dramma scespiriano ha a che fare con archetipi umani formidabili dove la brama di potere ha sempre una dimensione pubblica, sociale, irrazionale e magica (le profezie delle tre streghe) il  dramma di Vanacore si riferisce al un teatro bistrattato e criticato  ma sui generis, dove l’arte teatrale è più una questione da guitti che di arte,  di cultura, senza approfondire davvero il portato simbolico del teatro come rito collettivo arcaico che ancora sopravvive nel terzo millennio  e si limita a intrattenersi  con finocchi e prostitute (nel testo).

Il testo manca di una vera conclusione,  non ci viene detto nemmeno chi dirigerà ora il Super Power Theatre, chi ne ha i diritti legali, attardandosi sui sensi di colpa di Mark e di Miss Witch per la morte di Duncan, chiudendo con una citazione dell’Amleto (Il resto è silenzio) ricordando che la vita non è eterna e che si muore.

La regia di Gianni De Feo (che interpreta Ben) prende forse troppo sul serio personaggi e situazioni contribuendo alla mancanza di gaia malinconia irriverente che di solito costituisce la cifra del Circo dove le torte in faccia convivono con un sentimento elegiaco devastante.
La  messinscena di De Feo è troppo intenta a cercare di restituire con il giusto rispetto le citazioni shakespeariane (spurie, provenendo anche dall’Amleto e dalla Tempesta) per preoccuparsi davvero dell’effetto circense, che rimane solamente di facciata.

Bisogna però riconoscere la bravura di Gianni De Feo, Eleonora Zacchi (con dei guizzi interpretativi indimenticabili) e Riccardo De Francesca (in un ruolo che forse gli dà meno lustro) e ricordare la memorabile canzone di Alessandro Panatteri (eseguita da De Feo con la consueta bravura) oltre ai già menzionati costumi di Roberto Rinaldi.

Il resto è silenzio.

 

 

MACBETH CIRCUS SHOW
La rappresentazione del Potere
di Paolo Vanacore (da un’idea di Gianni De Feo)
Con: Eleonora Zacchi, Riccardo De Francesca, Gianni De Feo
Musiche Alessandro Panatteri
Scene Roberto Rinaldi e Aurora Bresci – Costumi Roberto Rinaldi
Regia Gianni De Feo
Produzioni: Camera Musicale Romana – Florian Metateatro – Centro artistico il Grattacielo

Visto per voi al teatro Lo Spazio il 12 dicembre 2024.

 

 

 

(16 dicembre 2024)

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