di Alessandro Paesano
Wild Swimming di Marek Horn è andato in scena per la prima volta al Pleasance Beneath, nell’agosto 2019 all’Edinburgh Festival Fringe. La regista Julia Head, nell’introduzione alla commedia, pubblicata per i tipi di Nick Hern Books, spiega che, quando ha avuto l’idea di fare uno spettacolo sugli uomini e il femminismo, propose a Horn, il nostro drammaturgo addomesticato, ma all’epoca era probabilmente l’uomo più arrogante che avessi mai incontrato, di scrivere il testo. Horn odiò l’idea. Quando Julia aggiunse che la sua intenzione era di decostruire sulla scena la commedia, distruggendola dal vivo, Marek odiò l’idea ancora di più. Si lascia convincere solamente quando Julia gli fa vedere come lavora. Il risultato è uno spettacolo doppio: Uno è la commedia Wild Swimming di Marek Horn, e l’altro sono due attori che tentano di recitare la commedia Wild Swimming e alla fine falliscono.
La messinscena originale della commedia si distingue per alcune caratteristiche precise: il personaggio di Oscar è interpretato da una donna; nello spazio scenico ci sono sono sempre molti snack, dei giocattoli e altri oggetti di scena a disposizione delle due attrici che li possono usare/mangiare/lanciare verso il pubblico.
Nella versione presentata al Fringe, un festival di teatro molto partecipato dove la visione è meno ricondotta ai canoni della fruizione composta del teatro borghese, le attrici hanno inglobato nella commedia elementi esterni, commentando ora una persona che si sedeva in platea in ritardo, ora i rumori provenienti dallo spazio esterno al teatro, oppure ripetendo parti della scena che non erano andate come dovevano.
Il testo ruota attorno a Oscar, un uomo, privilegiato in quanto uomo, che aspira a fare il poeta e si inventa una improbabile parallelo tra la poesia e il nuoto, e Nell, una sua vicina e amica (con la quale in età adolescenziale ha avuto una frequentazione sessuale), che lo accoglie di ritorno dall’università, mentre lei è rimasta lì. Oscar e Nell, di scena in scena, si spostano nel tempo partendo dal 1500 fino ad arrivare alla nostra contemporaneità. Mentre Oscar rimane fermo nelle sue velleità di scrittore (e intanto rimane ferito in guerra) Nell acquista sempre più opportunità e successo. Il confronto tra i due personaggi mostra le diverse opportunità di genere che i vari periodi storici offrono a entrambi. Cartina di tornasole la sessualità, dall’autoerotismo (quando Nell nel 1500 ricorda ad Oscar che se una donna è sorpresa a praticare l’autoerotismo viene uccisa) al cameratismo maschile che vira nell’omoerotismo e al cameratismo femminile dove il lesbismo è sempre strumento di autoemancipazione.
Le didascalie del testo, che costituiscono parte integrante della commedia, indicano possibili nudità, interazioni con il pubblico (quando la prima fila viene scenograficamente intesa come mare e dunque bagnata dagli schizzi delle pistole giocattolo ad acqua) tutti elementi necessari alla storia narrata che, nell’excursus tra i secoli, mostra sempre meglio le velleità maschili alla poesia di Oscar e la concreta produzione culturale di Nell che, nelle scene ambientate ai giorni nostri, è stata pubblicata.
La commedia mostra come le donne abbiano costruito una propria identità culturale negli interstizi di quel privilegio maschile disertato da degli uomini sempre più incapaci di agire il privilegio in maniera consapevole.
La commedia è anche una critica sottile al sistema culturale inglese accademico (parlando di specifiche specializzazioni post laurea) e all’industria culturale (si parla di agenti librarie, di incontri con il pubblico) industria della quale, beninteso, fa parte la commedia stessa.
Il limite di questo racconto è che non viene affrontata la cultura della violenza maschile dello stupro che oggi assume i connotati del femminicidio. Per cui nel suo rimanere una critica sottile e ironica il rischio che, in fondo, si alluda a una intenzione assolutoria del patriarcato, rimane in agguato.
La versione italiana, portata in scena nell’ambito della preziosa rassegna Trend sulla drammaturgia contemporanea inglese, uno dei fiori all’occhiello del teatro Belli di Roma, nella bella traduzione di Elena Orsini Baroni, rimane in linea con una critica al maschio che, in fondo, rimane un povero diavolo. Ma non per questo manca di interesse.
A interpretare i due personaggi della commedia sono Martina Massaro (Oscar) ed Evelina Rosselli (Nell) che viene dalla Silvio d’Amico, entrambe bravissime e magnifiche.
Massaro riesce a interpretare un personaggio maschile credibile, nella postura e nella voce, mentre Rosselli sa passare dalla fatuità del femminino a inizio commedia all’autocoscienza che la distingue da un Oscar sempre più in difficoltà della fine.
Rosselli ha anche la prontezza di spirito (come nella versione originale al Fringe) di cogliere gli elementi di disturbo e trasformarli in elementi di scena, così mentre ironicamente invita l’ambiente circostante al silenzio per non disturbare Oscar che sta leggendo e tra il pubblico una persona tossisce lei la invita a fare silenzio.
Il testo originale prevede tra una scena e l’altra, quelle ambientate in un periodo storico differente, delle non scene nelle quali le due interpreti reagiscono al testo appena eseguito e interagiscono tra di loro con l’ausilio degli oggetti di scena di cui si è detto fino ad arrivare a indossare dei dispostivi tecnici per tornare indietro nel tempo (elemento che manca del tutto nella versione italiana).
Questi elementi sono stati sostituti dalla regia italiana, a firma del Collettivo Tansitorio delle Immersioni, da un impianto paratestuale che ingloba anche il prologo: didascalie animate (compresi dei veri e propri titoli di testa) e musica ad alto volume. Durante questi “sipari” le due interpreti, non illuminate, e quindi delle semplici silhouette che si stagliano davanti la proiezione dei paratesti, si cambiano di costume, saltano sul posto, usano una pistola ad acqua (ma mai verso il pubblico) manovrano una pistola sparacoriandoli (questi sì cadono su tutta la platea) ma si tratta del classico cambio costumi in scena e non di una interazione più complessa, come prevista nel testo originale, che diventa essa stessa spettacolo.
In questo modo si perde del tutto il senso di una messinscena che vuole distruggere il testo, ma le modifiche apportate e anche le aggiunte (alcune facili, come il riferimento a Freud o alle questioni di genere) rimangono in linea con lo spirito dell’operazione culturale originale.
Due le aggiunte di maggior rilievo. A inizio dell’ultima scena, quella ambientata nella nostra contemporaneità, Oscar si rifiuta di recitare e lascia il palcoscenico, uscendo dalla sala. Nell deve raggiungerlo nel foyer per convincerlo a tornare sul palco.
A metà spettacolo invece entrambe le attrici si rivolgono al pubblico, rompendo la quarta parete, per invitarlo a cantare con loro la versione karaoke di Quello che le donne non dicono di Fiorella Mannoia, scritta da Enrico Ruggieri e Luigi Schiavone.
Questo momento dello spettacolo ci sembra la chiave di volta di tutta la messinscena del Collettivo: mentre il pubblico infatti è convinto di stare effettuando una sentito e sincero omaggio alle donne è chiaro, anche per come le due attrici reagiscono al testo, quanto quella scelta sia in realtà ironica, la canzone infatti ha un testo sessista, pieno di stereotipi di genere (Siamo così, dolcemente complicate, Sempre più emozionate, delicate) per tacere di quel noi riferito alle donne col quale Mannoia si arroga un inesistente diritto a parlare a nome di tutte le donne in realtà zittendole.
La scena del karaoke mostra la distanza abissale che c’è tra il pubblico italiano e il testo di Horn e di quanto la regia del Collettivo la metta in evidenza anche se il pubblico (o la maggior parte di esso) non se ne rende conto.
Il Collettivo adegua lo spettacolo alla povertà culturale del nostro paese e lo fa in chiave ironica, impercettibile e indolore, ma lo stesso tremenda nella sua capacità di mostrare la superficialità del nostro immaginario collettivo.
E magari quanto visto e ravvisato in scena rimane poi come un retropensiero che torna a farsi sentire nel pubblico, uscito dal teatro e raggiunte le proprie abitazioni, destabilizzando certezze e ruoli di genere che, mentre il resto del mondo cambia e capovolge, l’Italia, sopratutto in questo sciagurato periodo storico, cristallizza e ripropone come fossimo ancora negli anni 50 del secolo scorso.
Quel dinosauro che chiude lo spettacolo sembra ricordare le ascendenze culturali ataviche di un paese in crisi che però, come Oscar, può tornare in futuro.
Una messinscena riuscitissima per una regia che non si dà per vinta e rimane vigile chiamando alla partecipazione tutto il pubblico. A lui decidere se raccogliere l’invito.
WILD SWIMMING
di Marek Horn
regia Collettivo Transitorio delle Immersioni
con Martina Massaro, Evelina Rosselli
traduzione e adattamento Elena Orsini Baroni
scene e costumi Caterina Rossi
disegno luci Camilla Piccioni
produzione esecutiva PAV
Visto per voi al teatro Belli il 29 ottobre 2024
(2 novembre 2024)
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