di Alessandro Paesano #Vistipervoi twitter@gaiaitaliacom #Teatro
La vita non è altro che un’ombra in cammino;
un povero attore che s’agita e pavoneggia per un’ora sul palcoscenico
e del quale poi non si sa più nulla.
È un racconto narrato da un idiota,
pieno di strepito e di furore,
e senza alcun significato
Macbeth, Atto V scena V
Questi versi della tragedia shakespeariana ci paiono la migliore coordinata testuale dello spettacolo di teatro performativo (la classificazione è nel flyer dello spettacolo) che ha debuttato il 27 marzo al teatro Vascello di Roma (dopo il debutto nazionale al Menotti di Milano il 19 dello stesso mese).
Sepe sceglie il teatro di performance, cioè privo di parola – se si eccettuano alcune citazioni che però rimangono un corpo estraneo visto che vengono proferite nella lingua del bardo e non in traduzione -, per allestire il meglio del Macbeth, sottraendosi ai limiti di un testo antico e tradotto, restituendocene la pura energia animale che lo percorre, la stessa che muove i e la performer.
Abitare la battaglia è il bel titolo suggestivo he Pierpaolo Sepe ha scelto per questa seconda rivisitazione del testo di Shakespeare (dopo Macbeth Will Never Die andato in scena al Tordinona di Roma nel 2017).
Sei uomini e una donna prendono posto una alla volta sul limite di proscenio, portando alcuni elementi in una scena altrimenti nuda: un paio di scarpe col tacco a spillo, una corona sormontata da una maschera che riproduce la parte superiore della testa di un orso, e un piccolo oggetto misterioso che si rivelerà essere un biscotto che Lady Macbeth mangia avida.
I e la performer guardano il pubblico mentre una musica in sordina cresce di colore inducendoli a una danza via via più parossistica nella quale diversi elementi coreutici vengono proposti, eseguiti e ripresi, ognun per sé, eppure in completo sincrono. E’ l’inizio di un movimento che terrà gli e la perfomer in scena fino alla chiusura in cui ritornano sul proscenio così com’erano all’inizio.
Il pubblico, impossibilitato a rispondere fisicamente all’invito ad entrare nella battaglia, è relegato al ruolo di voyeur, un voyeurismo da cardiopalmo, per quello che viene raccontato in scena ma anche per quello che Sepe e Valia La Rocca (che ha curato i movimenti di scena) chiedono ai sei ragazzi e alla ragazza sul palco: parossismo del corpo, fatica fisica, rischio di farsi male (come nella scena in cui uno dei performer viene strattonato da tutti gli altri calzando le scarpe coi tacchi a spillo, ben presto indossate dall’unica performer, pericolosissimi per le caviglie).
Poco importa se non si conosce il testo scespiriano, se non si riconoscono testi e contesti di quanto avviene in scena (come il foglio che copre il viso di Lady Macbeth quello della lettera nella quale il marito la informa della profezia delle tre streghe) Abitare la battaglia rivisita un Macbeth asciugato ai suoi elementi non contingenti, universali, atavici e precedenti alla Storia.
Il vitalismo che sostiene la performance è sempre e ancora quell’eterno inane agitarsi dell’essere umano durante la sua breve vita mai come qui mostrata nella vulnerabilità conferitale dalla morte ineluttabile. E’ provo la morte cui si sottraggono tutti e ognuna grazie a un gioco scenico che si fa ciclico per il ritorno alla posizione iniziale alla fine della replica, per ogni replica.
La partitura sonora guida, costringe, suggerisce, forza, seduce e irretisce performer e pubblico continuando quel dialogo tra chi lo spettacolo lo fa e chi lo vede che si è instaurato chiaramente all’inizio.
Dispiace un poco che in questo mare di coscienza umana, in questo flusso di vitale ferinità, la lingua simbolica sia ancora declinata secondo le consuetudini di un maschile e un femminile eteronormati e patriarcali. Per cui se all’inizio la vertigine delle scarpe coi tacchi alti coinvolte tanto i performer quanto la performer, una volta giunte alla performer le scarpe restano a lei…
Sepe preferisci mostrarci uomini vittime della fascinazione femminile, come quando sono tutti intorno a lei intenti in un gesto onanistico che li rende adolescenziali, quasi teneri e sicuramente vulnerabili e non capaci di uccidere e di usare il sesso come strumento di potere e sopraffazione.
Un sesso che si limita all’armamentario dei rapporti sessuali penetrativi e orali a favore dell’uomo (a dire il vero un cunnilingus c’è ma è relegato in fondo alla scena, a differenza della fellatio che è praticata quasi di proscenio).
Dispiace che in una drammaturgia fluida, dove ogni relazione tra i personaggi è diluita in una situazione ferina, magmatica e poco decifrabile, la lingua del sesso sia immediatamente decifrabile grazie a una differenziazione guidata dagli stereotipi di genere unici elementi privi di quel margine di interpretazione che, invece, caratterizza il resto della messinscena.
Infastidisce anche che a differenza del corpo maschile, i performer sono sempre a torso nudo, la semi nudità dell’unica interprete femminile corrisponda a un momento di violenza e sopraffazione, perché gli atti sessuali descrivono il personaggio femminile come bersaglio, come ricettrice, come vittima insomma ben differentemente dal testo dove Lady Mecbeth non è certo personaggio passivo, casomai lo è suo marito.
Si tratta di pochi momenti nell’economia della messinscena che costituiscono però un inciampo, uno scadere nel precostituito dello stereotipo di genere in uno spettacolo dove altrimenti di stereotipi non ce ne sono.
E questi piccole dissonanze in uno spettacolo altrimenti molto suggestivo turbano: chissà cos’altro c’è nel campo di battaglia che è rimasto celato e che possiamo vedere solamente una volta che la battaglia la abitiamo.
Ma è proprio questo quello che lo spettacolo ci vuole dire, come ci viene detto, in un profluvio di maschili inclusivi, nelle note di regia: così come tutti gli attori possono tramutarsi in questi alfieri del male, così lo spettatore è costretto, dalle streghe, a chiedersi: “E Io? Non abito forse anche io la battaglia?”
In scena al teatro Vascello fino a domenica 31 marzo.
La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello Roma
ABITARE LA BATTAGLIA
(CONSEGUENZE DEL MACBETH)
regia Pierpaolo Sepe
con Federico Antonello, Marco Celli, Paolo Faroni, Noemi Francesca, Biagio Musella Vincenzo Paolicelli, Alessandro Ienz
collaboratrice alla drammaturgia Elettra Capuano
movimenti di scena Valia La Rocca
costumi Clelia Catalano
luci Marco Ghidelli
elementi di scena Cristina Gasparrini
assistente scene Clelia Catalano
(28 marzo 2019)
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