Galata Mevlevi Ensemble, Dervisci Rotanti #Vistipervoi da Emilio Campanella

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di Emilio Campanella #Teatro twitter@gaiaitaliacom #recensioni

 

 

Al Teatro Goldoni di Venezia, il 19 dicembre, il gruppo di monaci Sufi ha riproposto il suo rituale di trascendenza meditativa dinamica. Con molto spirituale afflato, siamo stati trasportati in alto dal volo delle anime dei monaci rotanti, tutti, in un teatro piuttosto affollato ed attentissimo sin dall’inizio. Durante la consacrazione dello spazio scenico rituale, con la ampia introduzione musicale, di quattro musicisti, cui poi si sono aggiunti il percussionista ed il cantore. Molto concentrativo e coinvolgente, il susseguirsi dei brani atti ad instaurare l’atmosfera e la disposizione degli astanti. Peccato che nei voluti, e peraltro non lunghi momenti di silenzio, oppure quando servi di scena disponevano il palco per il passaggio successivo, molti colpi di tosse, lo abbiano incrinato, quel silenzio voluto ed importante, ma già, per molti il silenzio è insopportabile, pur considerando i raffreddori di stagione, ma sempre, anche al cinema, quando gli attori non parlano, qualcuno deve riempire quel silenzio che non sa vivere come arricchimento di concentrazione.

Poi sono arrivati i quattro monaci danzatori, si è iniziato il successivo rituale del saluto reiterato e mutuo, con precisa lentezza di movimento. Importanti e profondi inchini, poi si sono liberati dei mantelli scuri, e sono comparsi gli abiti chiari, le giacche corte ed aperte, le lunghe gonne amplissime che prenderanno movimento con le loro rotazioni, ma, non ancora, era ancora troppo presto, giri lenti di passi, saluti vicendevoli con il maestro cantore, finché il primo non ha iniziato a girare su se stesso, ancora con le braccia incrociate sul petto, che lentamente si sono sciolte, si sono abbassate lungo il corpo per subito risalire come ali spiegate verso l’alto, il braccio destro e la mano verso il cielo, la sinistra, morbidamente verso la terra. Il monaco è tramite fra noi ed il punto più alto dello spirito, e veramente tutti e quattro hanno preso il volo con la semplicità dei loro gesti perfetti. E qui ricordo le parole fondamentali del mio antico maestro di danza: non gesti, ma atti, appunto, non gesti fatti, anche bene, ma vuoti, ed invece atti carichi di senso profondo come questi. Mentre noi ci lasciamo andare affascinati dalle loro mani, dal movimento fluido delle gambe, dalle teste un poco all’indietro, sotto gli alti copricapi, gli occhi socchiusi nell’estasi, il ritmo musicale accelera sensibilmente. Sono sette parti del rito così uguale a se stesso e così profondamente diverso ogni volta, che ci cattura, ci coinvolge in quella trance straordinaria. Si desiderebbe che non finisse mai. Ma, poco a poco, tutto rallenta, si scioglie, ed uno ad uno scivolano via in penombra, inchinandosi, rendendo omaggio al luogo sacralizzato, portando con loro strumenti, stoffe rituali, con molti profondi inchini e saluti reiterati…

Un breve accenno di applauso spentosi presto ha dato la misura dell’inadeguatezza dei comportamenti nei confronti di questi momenti di teatro sacro, forse avremmo dovuto, tutti, alzarci silenziosamente e rispondere al loro saluto discreto. Peraltro la situazione è strana, come in tutte le manifestazioni di questo tipo, che nascono per i luoghi di culto, e vengono proposti in teatro, con pagamento di biglietto.

C’è sempre una discrepanza fra le due cose.





(21 dicembre 2017)

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