di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Paul B. Preciado, autrice del Manifesto contra-sessuale (Il Dito e la Luna, 2001) come Beatriz Preciado, pubblica Testo Yonqui in Spagna, nel 2008, e, lo stesso anno, in Francia, con il titolo di Testo Junkie.
Nel 2013 esce l’edizione inglese con sostanziali modifiche rispetto a quella spagnola e francese.
Per l’edizione italiana (Fandango Libri, 2015) Elena Rafanelli traduce dallo spagnolo recuperando e integrando le modifiche presenti nell’edizione francese e in quella inglese.
Intanto Preciado cambia nome e identità di genere prendendo il nome maschile di Paul decidendo di mantenere il nome di nascita Beatriz.
Una transizione – da bio-donna a tecno-uomo – fatta fuori dal controllo dello Stato e di qualsiasi protocollo medico (uniche strade legali per la riassegnazione anagrafica di sesso), autonoma e illegale.
Preciado decide di assumere testosterone, l’ormone maschile, sottoforma di gel non per diventare uomo ma come pratica di dislocazione e resistenza.
Testo Tossico il cui sottotiolo recita Sesso, Droghe e Biopolitiche nell’Era farmacopornografica è il racconto di questo esperimento, sulla falsariga (apparente) dei resoconti scritti da Walter Benjamin e Sigmund Freud sull’hashish.
A Beatriz, allora, e Paul, oggi, non interessa però riportare il solipsismo della propria esperienza personale. L’esperimento chimico è un test sul proprio corpo che diventa un esempio vivente della condizione di esistenza in cui gli uomini e le donne normati da un sistema di valori eterosessuale, sono costretti a vivere nella contemporanea società capitalista post fordista. Al di là, cioè, della produzione delle merci Preciado individua come diretta evoluzione della società biopolitica di Focault un nuovo capitalismo che chiama farmacopornografico. Un capitalismo che si basa non più sullo sfruttamento della forza lavoro ma sullo sfruttamento di una forza libidinale, che Preciado chiama potentia gaudendi .
Testo tossico alterna capitoli di analisi e lettura critica della società contemporanea, lucidi e metodologicamente ineccepibili e ricchissimi di spunti, a un racconto narrativo nel quale l’assunzione di testosterone si declina con alcuni dati biografici, la morte di GD (Guillame Dustan, scrittore e magistrato, sieropositivo che sosteneva la scelta di fare sesso non protetto come diritto all’autodeterminazione e che per questo venne molto criticato dal movimento omosessuale francese) e la storia d’amore con VD (Virginie Despentes), scrittrice e cineasta, co-autrice, assieme a Coralie Trinh Thi, del film Baise-moi! (t.l. Scopami) (Francia, 2001).
Le parti narrative risentono a tratti di una ambiguità lessicale che non sappiamo se attestare alla traduzione o se presenti anche nel testo originale, dove l’uso del maschile inclusivo i transessuali (cioè le donne biologiche che transitano verso il sesso maschile) per sottintendere anche le transessuali (cioè gli uomini biologici che transitano verso il sesso femminile) non fa un buon servizio a un testo teorico che cerca di scardinare la normatività di una omosessualità contrapposta all’eterosessualità (ma nemmeno per Preciado sembra esistere la bisessualità a leggere alcuni commenti sprezzanti del suo io narrante su donne sedicenti etero con le quali è andata a letto).
Spiazzano anche alcune confusioni semantiche tra orientamento sessuale e stereotipo di genere come quando Preciado dice che non si vuole vestire da femmina perché è lesbica… mentre non c’è affatto bisogno di essere lesbiche per vestire da maschio (qualunque cosa voglia dire “vestirsi da maschio”) perché, naturalmente, l’abito non fa il monaco e la gonna non fa la donna né la femmina.
Né si capisce l’esigenza esistenziale (al di là della performance) né la libido, il piacere, di una donna a interpretare (performare) il maschio in una società patriarcale (cioè, lo capiamo fin troppo bene…).
Anche le caratteristiche del sentire fisico e del comportamento attribuite al testosterone, aumento della libido, mancanza di cura per il prossimo, aggressività, tutti stereotipi di genere maschili che hanno a che fare molto con la cultura e poco con la natura, non vengono mai davvero messe in discussione nella loro presunta oggettività biologica mostrando alcune crepe epistemologiche di un discorso sì politico ma il cui afflato performativo sembra bastare a se stesso a detrimento di una liberazione collettiva senza la quale la liberazione personale rimane privilegio.
E qui dobbiamo fermarci nell’analisi di un testo che richiederebbe ben altri discorsi e strumenti critici per poter essere affrontato.
Francesca Manieri approccia Testo Tossico per la compagnia ARIEL dei MERLI, approdando alla superficie fenomenologica del libro (sfrondando le 400 pagine quanto richiede una messinscena della durata di 80 minuti) restituendo drammaturgicamente la teoria di Preciado come emanazione affabulatoria della protagonista, Federica Rosellini, che firma anche la regia, che interpreta una giovane donna vagamente ginandra, in t-shirt e pantaloni, che entra in scena manovrando un bidone aspiratutto col quale ammicca ai lavori donneschi cui il patriarcato (elemento rimosso dall’apparato teorico di Preciado) costringe le donne in quanto biologicamente femmine.
Un bidone aspiratutto dal quale la giovane perfomer deriva quegli strumenti di piacere autoerotico e performativo con cui Preciado apre il saggio\romanzo: la doppia penetrazione con dildo (falli di plastica) realistici coi quali dedica la decisione di assumere testosterone all’amico defunto e frocio VD.
Federica Rossellini assume con efficacia la responsabilità di una messinscena performativa ad alta energia con la quale, regista di se stessa, attraversa funambolicamente lo spettacolo, nonostante una articolazione delle parole non sempre esemplare, che mostra i suoi limiti sopratutto nelle parti declamate al microfono (per fortuna non molte), elemento che vorrebbe essere una protesi tecnologica della protagonista (col quale registra dei rumori umanizzati di diversi manufatti umani che ritornano a popolare come partitura sonora lo spazio sonoro della messinscena verso la conclusione della pièce) con risultati drammaturgici modesti.
Lo spettacolo è divertente e indovinato quando Rossellini si fa glossa vivente del testo che porta in scena: mentre la sua voce registrata elenca i luoghi comuni legati ai due generi lei commenta con la postura del corpo il portato ideologico che li sottende e che vogliono la donna immobile e muta – che però è capace di una gamma di emozioni infinita – cui contrappone lo spettro davvero angusto e scarno del maschio capace solo di fottere, di mettersi la mano sul palco – o alla pistola – e di chiamare Adrianaaaa, citazione dal film Rocky, quando chiamato a esternare, suo malgrado, mentre riesce efficacemente a mette in scena i sentimenti di Preciado senza diventare sentimentale.
Ci chiediamo dell’efficacia della scelta di restituire nello spettacolo la teoria espressa da Preciado nel libro sotto forma di discorso della protagonista, a tratti nervoso o quasi ecolalico, come se Rossellini cercasse nella soggettività del suo personaggio la forza per argomentare le teorie, forse difficili ma tutt’altro che astruse o poco comprensibili (una volta capito due o tre concetti chiave) di Preciado, come invece rischiano di apparire a un pubblico poco avvezzo a certe discussioni teoriche sugli apparati discorsivi della sessualità.
L’enunciazione velocissima rischia così di occultare un poco l’interesse squisitamente politico del discorso di Preciado riducendone la complessa articolazione a mero segno di una incomprensibilità intrinseca che diventa prova dell’inconsistenza di qualsiasi discorso (pratica discorsiva) sul sesso.
Il discorso del personaggio portato in scena da Rossellini diventa così più che l’articolazione di un pensiero complesso la testimonianza di un delirio che è la prova di certe astrusità del sesso sulle quali il suo personaggio non dice ma stradice facendo perdere loro ogni efficacia significativa.
Viene da chiedersi quanto questo capovolgimento di senso derivi da una scelta consapevole e quanto sia piuttosto l’affetto indesiderato e collaterale di una messinscena difficile e coraggiosa.
(23 gennaio 2017)
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