
di E.T. twitter@iiiiiTiiiii
La scena è aperta da un effetto speciale magnificamente disegnato che riproduce la scomposizioni di vie e grattacieli che si compono e ricompongono in puntini che alterano suggestivamente la percezione dello spazio sul palcoscenico, per dare il via a Lego, primo atto dello splendido spettacolo che Aterballetto, prestigiosa compagnia di danza contemporanea, mette in scena per la coreografia di Giuseppe Spota. Lego, va detto subito, è magnifico. I danzatori sono così bravi e le coreografie così perfette che danno addirittura l’impressione di essere improvvisare tanta è la naturalità con la quale vengono danzate: magnifico il racconto. Strade, incontri, vite che si toccano e si separano, amori che non amano, amanti che amoreggiano, incontri, eterosesso e bisesso e anche di più, eventi che diventano altro da loro, uomini e donne perduti nelle vie, tra i grattacieli, nella vita, che si perdono e si ritrovano più uniti e separati di prima. I sedici danzatori in scena sono straordinari, tutti. I movimenti magnifici. In momenti corali di straordinaria suggestione i danzatori si trovano e si lasciano così repentinamente da far pensare alla perfezione del cartone animato al computer, quasi fossero governati dalla forza del caso, molto più abile di noi umani a sistemare le cose per bene. C’è urgenza nella coreografia di Spoto, urgenza di comunicare, di movimento, di cambiamento, di vita e non di morte; c’è insieme la consapevolezza che si torna sempre da dove si è partiti e che tutto ciò che non sembra certo alla fine lo è, compreso l’ineluttabile. La coreografia è ardita, senza cadere nella spocchia dell’innovazione cara all’ego del coreografo, ma c’è tanto che non abbiamo visto prima e che rivedremo nel disegno di Giuseppe Spoto. Quindi i danzatori, che vanno citati uno dopo l’altro: Noemi Argangeli, Sal Daniele Ardillo, Damiano Artale, Hektor Buddla, Martina Forioso, Philippe Kratz, Ina Lesnakowski, Valerio Longo, Grace Lyell, Ivana Mastroviti, Riccardo Occhidilupo, Giulio Pighini, Roberto Tedesco, Lucia Vergnano, Serena Vinzio, Chiara Viscido. A loro, che nella seconda parte dello spettacolo saranno in scena in ordine differente, il pubblico tributa un lungo applauso dopo averli visti sparire inghiottiti dai puntini che hanno scomposto non soltanto vie e grattacieli, ma anche i loro corpi. Un godimento per gli occhi ed il cuore.

Un lungo intervallo, perché il palcoscenico si presenterà completamente a vista: americane, corde che le sostengono, graticcio e pannelli elettrici compresi. Platea a luce piena quando il sipario si riapre. Il tecnico luci non capisce che le luci vanno sfumate, perché questo era il gioco desiderato dal coreografo, e le abbassa di colpo, ma non importa. Nemmeno i tre palchi occupati da ragazzine che fanno baccano e risogridolineggiano mentre la maschera è probabilmente impegnata a fare altro, invece di invitarle al silenzio importano, perché Bliss (beatitudine, e mai titolo fu più indovinato), coreografato da John Inger sul magnifico Köln Concert di Keith Jarrett (se non lo conoscete, ascoltatelo) traduce in danza la gioia profonda che la musica di Keith Jarrett (e solo quella) sa trasmettere. I danzatori in scena sono abilissimi: godono, trasmettono felicità, sorridono, si divertono, si amano, si lasciano, si rubano l’un l’altro, regalano gioia di vivere e di danzare. La loro abilità è tale che nemmeno varrebbe la pena di sottolinearla, ma la bravura dei magnifici danzatori di Aterballetto che crediamo ci regaleranno altre perle in futuro, lo impone. Bliss stupisce nel suo confronto inevitabile con la musica del genio di Keith Jarrett perché non rivaleggia con essa, ma ne coglie la gioia profonda e l’ironia per trasmetterla ai danzatori prima affinché la ritrasmettano al pubblico. Stupendi nei loro sorrisi, i sedici artisti ci portano alla fine dello spettacolo con l’allegria nel cuore e vengono ricompensati da un applauso che dura così tanto da non permettere loro di trovare nuove uscite a salutare un pubblico entusiasta. Perché dove non arriva la cultura arriva il cuore.
Da anni non assistevamo ad uno spettacolo di danza tanto bello. E vogliamo rivederlo ancora, ancora ed ancora.
(15 gennaio 2017)
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