
di E.T. twitter@iiiiiTiiiii
Caterina Casini interpreta con grande efficacia la figura di Peggy Gugghenheim, amante dell’arte (e degli artisti), appassionata mecenate che ha lasciato un segno profondo nella storia delle collezioni private trasformate in raffinati musei ed insieme celebrazioni dell’intelletto umano. Il rischio di mettere in scena la storia di Gugghenheim era quello di cadere nella celebrazione a tutti i costi di una donna indimenticabile e straordinaria, ma l’autore del bellissimo e raffinatissimo testo (nonostante le scurrilità che stemperano, appunto, la raffinatezza formale e la puntualità storico-artistica), tratto da “A Woman before a Glass” di Lannie Robertson, non corre questo rischio, sorretto dall’essenziale e funzionalissima scenografia e da una regia puntuale, invisibile (e per questo ferrea) che conduce Caterina Casini lasciandola libera.
Lo spettacolo è un viaggio nella storia dell’arte del ‘900, tra una Peggy boccalona ed irriverente e l’altra Peggy alle prese con sconvolgenti drammi familiari come la morte dell’amata sorella ed il suicidio dell’amatissima figlia, pittrice di non grande talento, ma sorretta dalla ferrea determinazione della madre. La storia di Peggy Gugghenheim è nota, e non staremo a ripeterla qui, lo spettacolo ne tratteggia elegamentemente alcuni episodi di vita, durante il soggiorno a Venezia (dove la Fondazione Gugghenheim continua ad offire al pubblico i capolavori della sua fondatrice), i suoi rapporti d’affari con i più grandi galleristi del mondo, il pugno di ferro di una donna che lottava con ferocia in un mondo di uomini dominato da uomini. Un bel lavoro, raffinato, intelligente, misurato, colto.
Caterina Casini è bravissima. Eccellente la regia di Giles Stjohn Devere Smith.
(30 agosto 2016)
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