di E.T. twitter@iiiiiTiiiii
Elio Pandolfi è un monumento vivente dello spettacolo colto di questo paese: 90 anni (e non sentirli) è ormai l’ultimo – temiamo – rappresentante di una straordinaria generazione di artisti (tra loro Paolo Poli, piuttosto che Paolo Panelli e Bice Valori o Aldo Fabrizi e Dario Fo) per i quali la scena non ha segreti e per i quali la cultura, proprio nel senso di conoscenza, rappresentava non soltanto un dovere ed una forma di rispetto nei confronti del pubblico, ma il vero nutrimento del loro stare in scena ed offrirsi, con la feroce ironia che li contraddistingueva. Eli contraddistingue. Il curriculum di Elio Pandolfi è spaventoso, non tanto per la quantità dei suoi lavori (68 sono i suoi anni di carriera), ma per la qualità e la incredibile versatilità: dalla radio, alla televisione, all’operetta, all’opera, al doppiaggio dove ha dato prove di altissimo livello.
La sua verve e la sua arguzia (“Il cervello mi funziona benissimo, tutto il resto è silenzio”), ci hanno travolto una volta di più al Teatro Nido dell’Aquila di Todi dove Pandolfi ci ha regalato lo spettacolo “Poesia al Piatto”: sessanta minuti di coltissime citazioni e poesie sul cibo che sono andate da D’Annunzio a Marinetti e al suo Manifesto per la Cucina Futurista, a Depero, passando per Pablo Neruda per chiudere con Erik Satie (dei quali troppi ignorano sia la musica che l’amore per la buona cucina). Per condire il tutto rimembranze musicali dalle operette più famose, come La Vedova Allegra, brani di Rossini suonati al piano dal maestro Marco Scolastra con Pandolfi che cita Le Petit Pois facendo un’imitazione esilarante del pesarese, per concludere con un’aria (proprio da La Vedova Allegra) che Pandolfi ha cantato come protagonista dell’operetta per qualcosa come trecento repliche dal 1988 al 2011.
Il pubblico è tutto in piedi e le grida “Bravo!,” non si contano.
Lui, questo adorabile vecchietto novantenne, si alza e ci avverte che forse non riuscirà a sedersi di nuovo ridendo come un matto, col maestro Scolastra che lo sostiene affettuosamente, e quindi ci trascina nella radiofonia post Seconda Guerra Mondiale con una esilarante parodia degli annunci radiofonici di quegli anni in maccheronici italiano, francese, tedesco, inglese, spagnolo e russo (già suo cavallo di battaglia televisivo): si ride così forte che tremano le pareti e di nuovo tutti in piedi ad applaudire un artista straordinario e geniale. Lui ci saluta e dice: “Grazie, mi avete fatto felice”.
Altro che artistucoli da due scudi che, senza cultura né preparazione, vogliono diventare ricchi e famosi in cinque minuti. Corro in camerino per abbracciarlo. E’ stato un onore averla, Sig. Pandolfi. E lui ringrazia me, capite?
(29 agosto 2016)
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