#Vistipervoi: Calderón di Pasolini nella borghese versione di Tiezzi

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foto: Achille Le Pera
foto: Achille Le Pera
foto: Achille Le Pera

di Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

 

 

 

 

Calderón, unico dramma pubblicato in vita da Pier Paolo Pasolini, era considerato dal suo autore una delle sue più sicure riuscite formali.
Ambientato nella spagna franchista del 1967 (una delle tante suggestioni da La vita è un sogno di Della Barca cui Pasolini si è ispirato) vede la protagonista Rosaura fare esperienza di diversi contesti familiari, uno aristocratico e potente, uno popolare e solitario (nel quale Rosaura è una prostituta) e uno borghese (nel quale è moglie e madre).
Queste varianti di sé sono vissute in altrettanti sogni nei quali Rosaura si risveglia incapace di adattarsi a un contesto che non conosce né riconosce. L’ultima variante, nella quale vive in un lager, non viene vissuta ma raccontata dalla Rosaura che lo ha sognato al marito, una delle diverse incarnazioni (padre, padrone, marito) della figura di Basilio.
Nell’ambiente aristocratico Rosaura si innamora di un uomo più grande di lei che non smette di desiderare nemmeno quando scopre essere il padre biologico. Come prostituta si innamora di un sedicenne vessato dai compagni che vogliono da lui la prova di virilità (mentre lui preferisce accompagnarsi con Velasquez un intellettuale che ama i ragazzi) e che Rosaura desidera anche quando scopre essere il figlio.
La Rosaura afasica del contesto borghese si addormenta con un giovane studente del quale il marito Basilio apprezza l’erezione giovanile, mentre l’ultima Rosaura (quella mai contata nelle esegesi al testo, nonostante l’intervento chiarificatore dello stesso Pasolini) che racconta al marito il sogno che finalmente ricorda, descrive come le forze rosse e proletarie la liberano dal lager insieme a tutte le persone internate.

foto: Achille Le Pera
foto: Achille Le Pera

Testo composito ma niente affatto complesso Calderón viene approcciato da Tiezzi (ha debuttato il 20 Aprile all’Argentina di Roma, dove vi resterà fino all’8 Maggio) con una regia che lo immerge (e lo ingessa) in una grandiosa macchina scenica (dagli splendidi costumi di Giovanna Buzzi e Lisa Rufini alla scenografia semovente di Gregorio Zurla) che più sostenere il testo o proporne una esegesi si attesta come discorso narrativo a sé.

Affascinato dalla sua perfetta esecuzione (indimenticabile la discesa degli abiti dall’alto per l’incarnazione de Las Meninas, ma sono tanti gli elementi scenici che entrano ed escono dalle quinte) il pubblico si distrae dal testo che viene preso in considerazione più nel suo divenire narrativo che per i suoi contenuti e significati.

Tiezzi cerca di restituirne l’aura onirica con una continua dislocazione dei personaggi in punti diversi della scena (grazie a un buio breve e repentino) che finisce con lo sgranare la partitura narrativa in tante sottosezioni ripetitive e tutte uguali, mancando l’occasione di sottolineare i continui rimandi tra un sogno e l’altro (dove gli stessi personaggi ritornano in nuove vesti) e alla realtà esterna, che entra nei sogni, trasfigurata.

Complice una recitazione sopra le righe – soprattutto nella prima metà, più naturalistica è invece l’interpretazione della Rosaura prostituta che si attesta a una romanità à la Ferilli – rischiando di farlo diventare un mero pretesto.

Così i temi del potere, del contrasto tra individuo e società, l’endemica diffusione della morale borghese, il fascismo come mezzo di repressione anche delle persone oppresse e di chi crede di sottrarvisi e lottare (contribuendo invece al protrarsi del suo potere), il corpo fisico dell’individuo contrapposto alla morale borghese (all’interno della quale vanno compresi i riferimenti all’incesto e alla pederastia) sono tutti elementi che rimangono distanti, come la sensibilità e la competenza del pubblico contemporaneo, che, privo di memoria storica, ignora la pressoché totalità delle citazioni che Pasolini fa fare ai suoi personaggi.

Un discorso che nella messinscena di Tiezzi rimane velato, oscuro, misterico quasi, di fatto disattendendo gli scopi originali di Pasolini, proponendo una messinscena straordinariamente affascinante ma squisitamente borghese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(23 aprile 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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