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Teatro delle Ariette #Inscena con “Muri. Autobiografia di una casa”

di Redazione, #Inscena La casa come specchio delle nostre inquietudini e dei nostri sogni, come occasione per parlare di sé: nuove repliche per “Muri. Autobiografia...
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Trachinie il teatro totale di Walter Pagliaro e Micaela Esdra

Trachinie (dal nome della città di Trachis in cui è ambientata la tragedia) è forse la meno nota delle sette tragedie di Sofocle a noi giunte nella loro interezza. In questo lavoro  la cui datazione è dubbia, Sofocle rivisita il mito della morte di Eracle (l’Ercole romano) con alcune variazioni che ne diventano il fulcro tematico.
Deianira, moglie di Eracle, lo aspetta da ormai 15 mesi senza avere notizie del marito che sta in giro per il mondo a fare l’eroe (in realtà Deianira si trova in terra ospite ma questo lo tralasciamo). L’araldo Lica annuncia il ritorno di  Eracle  e conduce con sé alcune prigioniere di guerra tra cui la giovane e bellissima Iole (figlia del re di Ecalia che Eracle ha sbaragliato). Quando a Deianira viene detto da un messaggero che Iole è  stata la causa della guerra contro il Re di Ecalia, perchè Eracle è pazzamente innamorato di lei (mentre l’araldo cerca di mentire a Deianira su questo) Deianira, temendo il giudizio della gente, decide di inviare ad Eracle una tunica, intrisa del sangue di Nesso, un Centauro che voleva violentare Deianira, ucciso da Eracle con una freccia intrisa nel veleno dell’Idra, il quale prima di morire aveva consigliato a Deianira di tenere il suo sangue in una ampolla perchè funziona come un potente filtro d’amore.
Il consiglio cela un inganno: il sangue condanna Eracle a dei dolori indicibili e a sicura morte. Deianira scopertasi involontaria vindice di Nesso si toglie la vita ed Eracle muore dopo aver imposto al figlio maggiore Illo  di sposare Iole, perchè, pazzo di gelosia, tollera solamente l’idea che sia un consanguineo a giacere con lei.

Nel mito conosciuto Deianira era ben consapevole degli effetti mortali della tunica inviata ad Eracle. Sofocle invece rende Deianira ignara e vittima delle menzogne di Nesso.
Quel che la fa ingelosire non è tanto il tradimento in sé (non è certo il primo) ma la sfrontatezza di Eracle che conduce Iole nella sua casa (E’ questa la mia paura, che si dica di Eracle: è suo marito, ma è l’uomo della più giovane). Non è dunque una gelosia privata ma una gelosia pubblica che induce Deianira a dare al marito un filtro per farlo innamorare solamente di lei.
L’inganno e la menzogna sono ricorrenti in questa tragedia: il messaggero che svela a Deianira la vera identità di Iole (tenutale nascosta da Lica); la menzogna di Nesso sui veri poteri del suo sangue che inganna Deianira ma anche Illo (che crede la madre sapesse degli effetti nefasti della tunica su Eracle) ed Eracle stesso che chiede a Illo di mostrargli lealtà filiale uccidendo lui stesso sua madre (che poi bacerà sulla bocca quando la scopre cadavere dopo essersi suicidata nel letto matrimoniale).
Ci sono molteplici elementi di estremo interesse in questa tragedia che qui possiamo solamente sfiorare: il fatto che Deianira rappresenti una duplicità femminea, a metà tra quella ferale e ctonia rappresentata dal suo primo  corteggiatore non umano Acheloo (un fiume che si presenta a Deianira in forma di  toro, di drago e di uomo con testa bovina) e la donna positiva e madre che vive però con insoddisfazione la sua condizione di sposa.   Ancora il rito di passaggio di Illo da adolescente a uomo adulto (il bacio sulla bocca alla madre appena morta) e la sua apparente blasfemia quando irride agli dei indifferenti alla sua sorte di figlio diventato orfano di entrambi i genitori.
Questi temi sono desumibili nella lettura del testo ma non sono esplicitati dalla messinscena, impegnativa e magistrale, di Pagliaro che si preoccupa di restituire l’autenticità del testo con tutti gli strumenti messi a disposizione dal teatro.
La scenografia allestita nello spazio del Teatro di Documenti, che lo  scenografo Luciano Damiani  ha scavato nelle grotte del  Monte dei Cocci di Testaccio,  caratterizzato da uno spazio polifunzionale rettangolare che vede di solito il pubblico distribuito su tre lati mentre il quarto lato, lambito da una scalinata, viene usato come parte della scena di colore bianco viene coperto per l’occasione da pesanti teli di plastica lucida, che celano i resti degli abiti intrisi di sangue della battaglia che ha visto Iole perdere la famiglia e il regno,  scoperti al momento opportuno, mentre dall’alto pendono diversi fili con delle lampadine a effetto fiamma dalla luce calda e opalescente.
I costumi straordinari (di Annalisa Dipiero) rivisitano con intelligenza e sensibilità moderna ruoli e figure della tragedia riproponendoci un immaginario collettivo che pesca da epoche a noi più vicine (alcuni costumi ricordano i personaggi di certi quadri di entrambi i Bruegel), mentre alcuni personaggi maschili indossano invece della classica tunica dei più moderni pantaloni, senza  forzare mai  l’origine antica,  diventando un personaggio a loro volta.
La dislocazione in più spazi (come nelle stazioni medievali derivate dalla via crucis dalle quali nasce l’idea moderna di teatro)  che  il teatro di Documenti permette in una maniera strabiliante (si passa da un ambiente ad un altro passando per degli stretti corridoi e scendendo alcuni scalini…) rende lo spettacolo ancora più coinvolgente.
Infine la poliedricità degli e delle interpreti chiamati e chiamate a recitare più di un ruolo come era consuetudine nel teatro attico. Non possiamo non menzionare il fatto che Iole, quarto personaggio ancora non presente  nelle tragedie  al tempo di Sofocle, viene impiegato dal tragediografo con l’escamotage di non darle alcuna battuta facendola apparire in scena senza proferire parola).
In stato di grazia tutti gli attori e le attrici.
Cristina Maccà e Valeria Cimagli interpretano il coro restituendo un’altissima prova quando vanno all’unisono con le loro voci su due diverse tonalità così da prodursi in un’armonizzazione (risolvendo così l’annosa questione se il coro recitasse o cantasse). Intenso e credibile Fabio Maffei nel ruolo di Illo, che sa recitare accanto a Micaela Esdra senza scomparire offuscato dalla sua aura. Anche Fabrizio Amicucci ed Elisabetta Arosio sanno dare prova di sé in dei ruoli difficili e differenziati.
E poi c’è Micaela Esdra che  porta in ogni singola parola che proferisce tutto il suo amore per il teatro: la dizione perfetta, la duttilità della sua voce, il saperla portare con grande efficacia rendendo del tutto inutili quegli ausili tecnologici cui ricorrono tanti attori e attrici di oggi (microfoni ambientali o individuali che hanno snaturato tanto il teatro negli ultimi decenni) il suo linguaggio del corpo, l’espressione del viso, i guizzi dei muscoli, Esdra ci (di)mostra  come deve essere o più semplicemente può essere il teatro quando si ha un talento d’eccezione. La comprova c’è nella seconda pare dello spettacolo, quando al pubblico viene chiesto di seguire il corteo funebre di Ercole e di raggiungere la seconda stazione della tragedia dove troviamo Eracle  che si dimena per i dolori su una sedia a rotelle con dei coturni di gomma che ne imbolsiscono la camminata (eppure riesce ad alzarsi e a risedersi dalla sedia a rotelle senza ausilio alcuno).
Un Eracle  nel quale non riconosciamo affatto la stessa interprete che abbiamo visto fino a qualche minuto prima nei panni di Deianira. E non è naturalmente una questione di costume ma di postura, linguaggio del corpo, colore della voce, tanto da indurre il pubblico a pensare si tratti di una altro interprete e non sempre di Micaela Esdra.
Ci piace che, una volta tanto,  siano le donne a recitare le parti maschili invertendo una tradizione  storica che, essendo il teatro interdetto alle donne, costringeva gli uomini a recitare anche i ruoli femminili.
Alla replica cui abbiamo assistito  c’era una rappresentanza cospicua di un liceo con tanto di professoressa (l’abbiamo sentita dire, dopo lo spettacolo, alla classe   che avrebbe riparlato dello spettacolo a scuola). Ecco forse quella classe di ragazzi e ragazze non si rende conto del privilegio che ha avuto nell’assistere a una versione così esemplare ed elegante  della Tragedia che, senza ripetere cliché classicheggianti (che in realtà rispecchiano solamente l’idea di antico che abbiamo noi oggi)  ha  saputo usare strumenti della contemporaneità (come le riproduzioni dei quadri dei secoli scorsi che hanno reinterpretato il mito di Eracle distribuiti dal coro al pubblico sotto forma di carte da vaticinio) per restituire lo spirito del teatro attico come un vero rito collettivo.
Ecco la regia di Pagliaro ha reso impeccabile questa messinscena proprio come un direttore di orchestra sa trarre il meglio da ogni musicista.
Uno spettacolo che ci è rimasto nel cuore.

TRACHINIE di Sofocle.

Regia di Walter Pagliaro.
Traduzione di Salvatore Nicosia.
Musiche di Richard Wagner.
Costumi di Annalisa Dipiero.
Con Micaela Esdra, Cristina Maccà, Fabrizio Amicucci, Elisabetta Arosio, Fabio Maffei, Valeria Cimaglia.

Visto per voi al teatro di Documenti di Roma il 16 novembre 2025

(25 novembre 2025)

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