di Alessandro Paesano
Un ragazzo e un uomo si incontrano nella sala d’attesa di un ospedale. Alcune file di sedie rosso plastica, al display sempre lo stesso numero che non cambia mai, sembra dipinto come certi semafori rossi.
Quando il ragazzo arriva in sala trova l’uomo con gli occhi chiusi intento ad eseguire un esercizio di meditazione contro l’ansia che consiste nella descrizione dell’ambiente circostante che gli sta consigliando una voce all’altro capo del filo. Appena vede il ragazzo l’uomo dice alla persona con cui interloquisce ti richiamo subito ma non lo farà.
Tra i due scorre subito un’energia sotterranea di curiosità di sfida e, anche, di modica attrazione. Lo confessa subito il ragazzo che dice di subire il fascino degli uomini più grandi mentre l’uomo si lascia desiderare. E l’inizio di un incontro inter-generazionale, tra due anime solitarie o forse sole (nonostante la persona con la quale l’uomo stava parlando al telefono).
Tra tutti gli argomenti possibili i due iniziano a parlare delle loro prime volte. Per l’uomo in un giardino pubblico (capiremo trattarsi del famoso e ormai dismesso Monte Caprino di Roma) per il ragazzo su Grindr (pronunciato Graindr guai a pronunciarlo così come è scritto…). Così l’uomo parla dei vari incontri nei suoi ripetuti ritorni al parco mentre il giovane racconta di un trombettista incontrato la prima volta del quale cancella subito il numero (ma tanto lo so a memoria).
Il confronto non si articola in uno scontro, anzi si trasforma ben presto in strumento di seduzione. L’uno si immedesima nelle situazioni dell’altro e cerca di raccontare, figurare, cosa l’altro ha fatto o detto. Il confronto diventa così occasione di immaginazione, di provocazione, sempre molto tenera, mai sbilanciata dal lato erotico, attestandosi sempre dal lato dei sentimenti e delle emozioni.
Poi il gioco si allarga ai film omoerotici visti dall’uomo dove la morte probabile per suicidio nel finale di Niente baci sulla bocca diventa per il ragazzo occasione di una esegesi altra possibile e necessaria (magari voleva solamente fare il bagno…). Intanto i due si concedono dei primi contatti umani: l’uomo carezza la testa del ragazzo; il ragazzo improvvisa un semi-spogliarello sulle note di Pop Porno…
Poi l’uomo parla tranquillamente della sua sieropositività che non è per lui momento di angoscia anzi, lascia intendere che quella notizia non gli ha affatto cambiato la vita come forse avrebbe auspicato. Il ragazzo se ne duole, e gli chiede se sa che cosa era quando lo ha saputo… La risposta è un momento di avvicinamento e ulteriore condivisione che chiude la pièce.
Il testo di Nicola Russo, che firma anche regia, alquanto assente, tocca tanti temi senza approfondirne nemmeno uno eppure di tempo, tra pause, silenzi e lungaggini del testo, ce ne sarebbe.
Se il tema della prima volta viene affrontato con delicatezza senza esagerazioni sportive sui dettagli anatomici, il testo rinnova comunque il luogo comune che vuole la scoperta sessuale la chiave di volta dell’esistenza di ogni uomo omosessuale.
I due protagonisti potevano raccontarsi della prima volta che si sono innamorati, o di quando hanno capito che a loro piacevano gli uomini, purtroppo il richiamo del sesso consumato, che sia nei parchi o più comodamente negli appartamenti, è un topos duro a morire. Anche il tema del chemsex appena sfiorato dal ragazzo con un generico mi drogo non viene approfondito né tematicamente né drammaturgicamente, è un’affermazione che cade lì senza conseguenza alcuna (se non una blanda accusa di moralismo all’uomo adulto da parte del ragazzo). Per un pubblico non esperto la droga potrebbe anche essere una canna e non invece le metanfetamine o il GHB/GBL e il mefedrone, tutte sostanze che riducono inibizioni, aumentando il desiderio sessuale e prolungano la resistenza fisica, molto usate da un certo gruppo di ragazzi gay o bisessuali non comunque dalla totalità della popolazione omosessuale maschile.
Anche le considerazioni dell’uomo sulla sua sieropositività all’hiv mancano l’occasione di raccontare del fenomeno importante dei late presenters (il fatto che sempre più persone scoprono di essere sieropositive dopo molti anni che hanno contratto il virus, all’insorgere dell’aids conclamato).
Se si parla del comportamento sessuale degli uomini gay si poteva anche aggiungere questo pezzo di informazione (importante perchè fare il test presto semplificherebbe di molto le cose) invece di giocare sull’opposizione tra il rimorchio a Monte Caprino o su Grindr.
Il testo si perde tra mille pause e vuoti che la regia non è capace di sostenere tanto che non crediamo di esagerare se facciamo notare che il testo costituisce più un radiodramma che una pièce pensata per la scena. A parte lo spogliarello o i gesti di prossimità fisica di cui abbiamo già detto quel che accade si capisce anche dalle sole parole, mentre quel che avviene in scena (quando avviene qualcosa) è esornativo, non aggiunge nulla alla drammaturgia o alla comprensione dei personaggi.
Anche lo stile del racconto oscilla tra un realismo psicologico (le impressioni dei due personaggi alla loro prima esperienza sessuale, l’incontro nella sala d’attesa) sviluppate però con un deciso antinaturalismo: nella sala di attesa dell’ospedale non c’è nessuno, l’unico display rimane sempre fisso allo stesso numero…
E’ come se il testo avesse luogo in una parentesi temporale durante un’attesa che rimane sospesa, ma questo non viene suggerito da alcun intervento della regia, da nessun elemento drammaturgico (anzi il ragazzo si chiede perchè quel dannato display non vada avanti).
Ci sono alcuni inserti video, inspiegabili fino all’imbarazzo, che ci mostrano con una grafica computerizzata da videogioco i due protagonisti ritratti prima da soli (ripresi da punti di vista insoliti, quasi impossibili nella realtà, come certi giochi di simulazione sano fare) e poi insieme. Nemmeno gli inserti video contribuiscono però ad aggiungere qualcosa al racconto assestandosi in una mera funzione esornativa che distrae, ruba tempo e allunga il ritmo.
Il tono del racconto è elegante e delicato e si distingue da spettacoli di argomento simile per una certa leggerezza con cui si descrive il sesso (senza per questo essere troppo pudichi). I due interpreti sono molto bravi (meglio Gabriele Graham Gasco che sa portare la voce più lontano di Alessandro Mor che a tratti non si sente).
Ci chiediamo quale delle diverse simbologie che la pianta di Acanto ha (resilienza, verginità, protezione, per la cultura cristiana addirittura resurrezione) aveva in mente l’autore quando ha deciso di intitolare così un testo che non sa uscire da alcuni topoi sull’omosessualità maschile (oltre alla sessualità consumata come argomento inevitabile, compare anche una certa sprovvedutezza sentimentale dei due protagonisti che ci pare più legata all’orientamento sessuale omoerotico che a una caratteristica comune della nostra contemporaneità), toccando temi (il primo rimorchio, il sesso) ormai superati dalle nuove generazioni che – ben al di là di Grinder – hanno un comportamento sessuale fluido e un orientamento molto più variegato e composito di quello descritto nel testo che rimane incagliato nella superficie delle cose senza mai approfondire davvero nulla.
ACANTO
testo e regia Nicola Russo
con Alessandro Mor e Gabriele Graham Gasco
Visto per voi al teatro India di Roma il 9 ottobre 2025
(14 ottobre 2025)
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