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“La Pulce nell’Orecchio”, un vaudeville contemporaneo

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di Andrea Mauri

La scena aperta al pubblico mostra cubi e parallelepipedi di gommapiuma colorata sparsi un po’ ovunque, appoggiati su una pedana girevole. Sul lato destro una batteria e altri strumenti e un tavolino con una bottiglia di whisky. È lo spazio scelto per la versione moderna de La pulce nell’orecchio di Georges Feydeau in scena al Teatro Vascello di Roma, un classico del vaudeville francese, la commedia degli equivoci per eccellenza, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1907.

Carmelo Rifici, che ne ha curato la regia, ha adattato la storia insieme a Tindaro Granata (che è anche uno degli attori in scena), portando il testo in epoca contemporanea, e ha ideato questo parco giochi di cubi in gommapiuma come luogo di nascondimento, di entrate e uscite a effetto, che immaginiamo originariamente fosse affidato a un gioco di porte che si aprivano e si chiudevano alla vista degli spettatori.

Al centro della vicenda, interpretata da un brillante cast di dodici attori che cantano suonano e recitano, vi è una moglie, Raimonda, la quale, allarmata dal comportamento piuttosto freddo e distratto da parte del marito, l’assicuratore Vittorio Emanuele, sospetta che egli abbia un’amante. Il dubbio – la “pulce nell’orecchio” – le è nato dopo il ritrovamento di un paio di bretelle, simili a quelle indossate abitualmente dal consorte, presso l’Hotel Feydeau, un albergo assai equivoco nei pressi di Parigi. Per mettere alla prova la presunta infedeltà del marito, gli spedisce tramite un’amica, Luciana, un’appassionata e anonima lettera d’amore, cosparsa di profumo, in cui dà appuntamento all’uomo in quello stesso albergo, dove Raimonda si recherà per vedere se il coniuge cadrà nella trappola. Vittorio Emanuele, credendo però che il destinatario effettivo della lettera sia il suo migliore amico, Tornello, la consegna a quest’ultimo. Da qui si creerà una serie di fraintendimenti che indurrà tutti i personaggi ad incontrarsi all’Hotel Feydeau, dove, tra situazioni bizzarre, pareti girevoli, vecchietti che fungono da alibi, inaspettati sosia, sudamericani gelosi e travestimenti vari, cercheranno disperatamente di salvare le apparenze e di uscirne indenni.

Lo spettacolo è di grande impatto visivo e sonoro. Si concentra sul linguaggio e sulle sue ambiguità, grazie a un meccanismo perfetto tra gli attori, molto affiatati tra di loro, che con la precisione di un orologio appaiono e scompaiono sulla scena, spuntano da angoli nascosti dai cubi, sfrecciano da un lato all’altro del palco in uno sfioramento di corpi e di quasi acrobazie, saltando da un gommapiuma all’altro. Il risultato è uno spettacolo che concentra il meglio dell’espressione teatrale grazie o a discapito della ridicolaggine umana rappresentata, che la fa da padrone.

I personaggi scritti da Feydeau sono molto interessanti, rispecchiano certamente la società degli inizi del Novecento, ma sono sempre attuali. Fanno parte di un’umanità che ha bisogno di tirare fuori la follia che la caratterizza, che non è fatta solo di razionale, ma anche di una parte surreale che la guida nell’esistenza quotidiana. Già nella prima parte della commedia, che si svolge all’interno della casa borghese della coppia Vittorio Emanuele e Raimonda, il caos linguistico e il desiderio di trasgressione serpeggiano tra i protagonisti. Ma è nella seconda parte all’interno dell’Hotel Feydeau, un luogo misterioso che sembra un albergo per scambisti, ma che è qualcosa in più per la follia dei personaggi, che la voglia di rompere qualsiasi schema irrompe con decisione.

Gli attori si incontrano, si sfiorano, si scambiano, giocano tra i cubi come se avessero ritrovato un anelito infantile, parlano un linguaggio sconnesso, vuoi per un difetto di pronuncia, vuoi per l’eccessiva carica emotiva che li fa sragionare. E gli stessi attori si alternano alla batteria, alla tastiera, alla chitarra per offrire un supporto musicale ai compagni in scena e sottolineare la commedia dell’assurdo alla quale il pubblico sta assistendo. La cameriera Maria Antonietta dice in una battuta: «Questo non è un albergo, è un manicomio». In effetti, siamo all’espressione massima, però sempre matematica nella sua evoluzione, della follia dei personaggi.

In una tale caos teatrale e bellissimo, ci accorgiamo che i personaggi non parlano la stessa lingua, ognuno parla con la sua idea di teatro in mente; c’è un problema di comunicazione, che sembrerebbe condurre a un corto circuito; invece, arricchisce la gamma di equivoci senza fine. Un esempio su tutti è Camillo, personaggio che richiama Charlot per aspetto e movenze, non avendo il palato, non riesce a pronunciare le consonanti ed è costretto ad esprimersi solo con le vocali, dando vita a una serie di equivoci non privi di conseguenze.

“Ho cercato di rispettare la vocazione del testo, consapevole che la caricatura è un’arte serissima che necessita di un pensiero”, spiega il regista Carmelo Rifici. “Significa caricare qualcosa che conosci nei colori e nel significato, evitando la psicologia, ma anche la parodia. Consapevole di ciò, ho chiesto agli attori di rispettare i tempi e ritmi matematici dettati da Feydeau, dando vita ad una maschera pertinente, senza mai perdere quel respiro capace di svelare i lati più sinistri e macabri della commedia.”

La macchina dello spettacolo funziona molto bene, con qualche lieve sensazione qua e là di momenti che avrebbero potuto essere un po’ più brevi, ma che non influiscono nel godimento pieno di vero teatro.

Molto apprezzata anche la scelta di affidare agli stessi attori il commento musicale della commedia, utilizzando strumenti musicali veri e propri, insieme a fischietti, giochi e altre macchine che riconducono i rumori a quelli tipici degli oggetti dell’infanzia.

In fondo, nella follia della commedia c’è sempre per tutti lo spazio per sognare.

foto: Luca Del Pia

LA PULCE NELL’ORECCHIO
di Georges Feydeau
traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici e Tindaro Granata
regia Carmelo Rifici
con (in ordine alfabetico): Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Alessandro Verazzi
musiche Zeno Gabaglio
coaching movimenti acrobatici Antonio Bertusi
coaching clownerie Andreas Manz
realizzazione maschera Alessandra Faienza
direttore di scena e capo macchinista Ruben Leporoni
macchinista e movimentazione pedana girevole Fabrizio Cosco
costumi realizzati presso il Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, La Fabbrica dell’attore – Teatro Vascello di Roma

 

Visto per voi al Teatro Vascello di Roma il 28 marzo 2025.

 

 

(30 marzo 2025)

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