di Alessandro Paesano
Orson Welles è sempre stato molto interessato al Moby Dick di Herman Melville (1851). Nell’arco di un decennio ne trae un radiodramma, partecipa alla riduzione cinematografica di John Huston e arriva a comporre e dirigere la pièce teatrale Moby Dick Rehearsed (t.l. Moby Dick provato).
Nel testo Welles mette in scena una compagnia di attori che, mentre sta provando il Re Lear di Shakespeare, si accinge a fare una prova di un nuovo testo, il Moby Dick (da cui il titolo), per vedere se la compagnia è in grado di recitarlo.
Così mentre gli attori e le attrici (anche se non ci sono ruoli femminili nel nuovo testo da provare) si preparano a mettersi alla prova, aspettando il capocomico che dia loro indicazioni sul testo da provare, in un fitto scambio di battute Welles registra tutte le agitazioni di una compagnia cui viene chiesto, durante le prove, di cambiare spettacolo all’improvviso.
Poi senza soluzione di continuità inizia la lettura del testo che va in scena da sé, senza orpelli scenici , senza costumi, senza apparente regia.
Elio De Capitani approccia il testo di Welles con una determinazione e un amore per la scena teatrale immensi e ne allestisce una versione personale che restituisce la pièce originale concentrandosi più sul testo di Melville che su tutta la prima parte nella quale Welles descrive le dinamiche teatrali dal punto di vista degli attori e delle attrici che, nella sua regia, sono un po’ messe tra parentesi.
Il nutrito gruppo di attori e di attrici cui sono assegnati diversi ruoli (come prevede il testo di Welles) si muovono sulla scena con un senso del collettivo teatrale di brechtiana memoria, dove lo spettacolo è fatto dal contributo di ogni interprete.
Con degli elementi di scena ridotti al minimo (tre scale di alluminio, dei tavoli di metallo) che diventano all’occasione parti della barca, le scialuppe, gli alberi della baleniera di Ahab, De Capitani allestisce una macchina scenica complessa che si muove con un’eleganza impressionante, rendendo all’apparenza facile e immediato quello che invece è il risultato di una meccanismo allestito e provato alla perfezione.
La musica eseguita dal vivo e i molti brani cantati sempre dal vivo, contribuiscono allo sviluppo di un allestimento che restituisce la complessità del lavoro di riscrittura di Welles con grande rispetto per il testo originale e il Teatro.
L’uso dell’amplificazione (un microfono) alternato alla voce non amplificata restituiscono il senso e la riflessione di Welles sul teatro autorizzando letture doppie sulla (dis)umanità dei personaggi di Melville e su quella della macchina-teatro che sfrutta i suoi attori e le sue attrici.
Un uso oculato delle luci e della proiezione di alcuni elementi visivi su un telo che, alla bisogna, viene mosso dal vento, divenendo tridimensionale, come una vela, come un’onda del mare, evocano la balena bianca che alla fine compare (quasi) in scena alla cui apparizione tutto lo spettacolo prepara come una grande suggestione da cui il pubblico si lascia sedurre.
Unica licenza rispetto il dettato di Welles l’uso di costumi (di Ferdinando Bruni) pensati ad hoc per caratterizzare i personaggi di Melville (laddove Welles aveva pensato a costumi contemporanei). I costumi di Bruni lungi dal cercare un effetto naturalistico restituiscono il il lavoro drammaturgico ponendosi a metà tra il teatro shakespeariano la commedia dell’arte e lo spettacolo circense, in una vertigine d’equilibrio che sottintende, quasi, sia il pubblico, come gli è stato richiesto a inizio spettacolo, a immaginarsi quei costumi (comprese le maschere che caratterizzano etnie, aspetto fisico, manie e tic dei vari personaggi).
Alla pomeridiana domenicale cui abbiamo assistito allo spettacolo la sala del Vascello era gremita come non mai e tra il pubblico c’erano anche tanti e tante adolescenti; un pubblico che, alla fine, applaude fragorosamente i suoi e le sue interpreti.
Ed è sempre una gioia vedere uno spettacolo ben allestito, magnificamente eseguito da un gruppo di attori e di attrici affiatati e affiatate ricever il riconoscimento entusiasta di un pubblico partecipe e caloroso.
Per la prima volta a Roma lo spettacolo prosegue una tournée che dura meritatamente da diversi anni.
Moby Dick alla prova di Orson Welles
adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
costumi Ferdinando Bruni
musiche dal vivo Mario Arcari, direzione del coro Francesca Breschi
maschere Marco Bonadei, luci Michele Ceglia, suono Gianfranco Turco
con Elio De Capitani
e Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa, Mario Arcari
coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Visto per voi il 16 marzo 2025 al Teatro Vascello di Roma
(23 marzo 2025)
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