
di Andrea Mauri
L’atto stesso di entrare in sala al Teatro Vascello di Roma per vedere “La Scortecata” per la regia di Emma Dante è già di per sé lo spettacolo. Siamo catturati dal buio nel quale spiccano il modellino di un castello incantato, illuminato di blu elettrico, e due sedie vuote. Bastano questi due elementi per raccontarci parecchio di ciò che andremo a vedere. In realtà, già conosciamo qualcosa della storia, perché “La scortecata” è una delle fiabe contenute ne Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate, scritte nella prima metà del Seicento. Prendendo spunto dalle fiabe popolari, Giambattista Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso. Il dialetto napoletano dei suoi personaggi, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani. Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura.
“La scortecata” è lo trattenimiento decemo de la iornata primma. Due vecchie sorelle, Rusinella e Carolina, fanno a gara per sposare il re, innamoratosi della voce di una delle donne, senza mai vederla. Il monarca non sa che si tratta di due centenarie e così Rusinella e Carolina giocano su questa ambiguità per far cadere in trappola il re. Per evitare l’incontro a viso aperto, una delle due mostra al re il suo mignolo attraverso il buco della serratura. Il re accetta le lusinghe della donna e la invita a dormire con lui. Nell’oscurità più totale si accoppia con la vecchia, fino a quando non ne scopre le reali fattezze. In un moto di disgusto, la respinge. La vecchia scappa e cade su un albero magico, dove incontra una fata, che attraverso un incantesimo la trasforma in una bellissima ragazza.
Fin qui la trama, ma lo spettacolo di Emma Dante va oltre la narrazione classica e tra divertissement e tragedia mette in scena due attori uomini a rappresentare le due sorelle, il re e la fata, ruoli femminili affidati a uomini come nella tradizione del teatro settecentesco, a muoversi in una scena scarna che crea la magia degli ambienti: il castello per evocare il sogno, due sedie per ricreare l’atmosfera del basso dove vivono le vecchie, una porta per entrare e uscire dal basso e un baule. I corpi degli attori si spostano con maestria nello spazio scenico, passando da un personaggio all’altro con una bravura eccezionale che strappa risate e riflessioni lungo i sessanta minuti dello spettacolo.
Sono corpi storti dalla vecchiaia, braccia e gambe che si bloccano, smorfie bavose ormai in decomposizione, pelle flaccida e secca che è l’angoscia di Rusinella e Carolina. Però entrambe per ingannare il re che ama la pelle giovane, passano il loro tempo a succhiarsi il mignolo nel tentativo vano di allisciare la pelle arida, di abbellire quella minima porzione di corpo, saliva e umori dalla bocca e dal deretano nell’ impresa impossibile di riportarle alla giovinezza.
Così si apre lo spettacolo, i due uomini sorelle sulla sedia a succhiarsi il dito in una regressione nostalgica per l’età giovane e nella constatazione che il tempo non può fermarsi, ma non tutto è ancora perduto.
La schermaglia tra Rusinella e Carolina in questa avventura stravagante ci trascina dentro la storia, ci aggancia con una forza rara in altre performance. La bravura dei due attori è soprattutto nella coreografia dei corpi, il modo di interpretare la vecchiaia delle sorelle, come diventano re con una semplice corona in testa e fata con una bacchetta magica tra le mani. La narrazione passa dalla prima alla terza persona senza soluzione di continuità, ma la scena rimane fluida perché ormai lo spettatore è dentro la storia, non può più uscirne, ma nemmeno lo vuole.
Danzando con corpi sghembi da un lato all’altro del palco, arriva il momento della prova del mignolo succhiato e ringiovanito. Rusinella e Carolina alzano la porta appoggiata in terra, la usano come quinta, come ulteriore schermaglia di affettuosità e invidie, un dito che non entra nel buco della serratura, l’altro che invece passa la prova, i due volti sempre più maschere vecchie che si affacciano da un lato all’altro dell’anta.
Buio e parte la musica del Mambo italiano. A quel ritmo il re cade nell’inganno e si accoppia con la vecchia in un gioco di lenzuola, di volti che si nascondono dietro al velo e riemergono soddisfatti, ondulazioni di corpi in estasi, fino allo svelamento finale, la bruttezza e lo schifo per un orgasmo raggiunto con la finzione. Ma la storia ci ricompensa del dolore con una magia e la vecchia sorella viene trasformata in una giovane ragazza attraverso una regia portentosa: i due attori che recitano solo di schiena, la vecchia trasformata con un abito lungo, una parrucca rossa, spalanca le braccia e muove il corpo con sensualità. Anche se di spalle vediamo una donna giovane e bella, e rimaniamo ammaliati anche noi dalla magia del teatro, che mostra quello che non c’è.
Il gioco di Rusinella e Carolina però non può durare a lungo. È un triste gioco delle sorelle per vincere la vecchiaia nel tentativo disperato di recuperare il tempo perduto. Chissà quante volte lo hanno inscenato, di sicuro tante, fino alla disperazione di una delle due che chiede alla sorella di essere scorticata, come gesto finale. Cade il buio nella scena. In fondo, un piedistallo coperto da un lenzuolo bianco. Il riflettore punta solo quell’angolo del palco. Le due donne sono aggrovigliate, abbracciate nella disperazione, quasi a formare un Laocoonte di carne raggrinzita, ma anche un quadro del Caravaggio di pelle rugosa. Spunta la lama di un coltello e il riflesso colpisce il pubblico. Su quel fascio di luce viaggia la richiesta disperata della donna di essere scorticata nell’illusione di trovare sotto la pelle vecchia carne giovane, non corrotta dalla vita, nella vana speranza di evitare l’ineluttabile fine dell’essere umano.
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
assistente alla regia Manuel Capraro
produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
(26 novembre 2024)
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