di Andrea Mauri
In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che ricorre il 25 novembre, la Fondazione Flavio Vespasiano ha presentato l’opera di teatro musicale “Femmina infame. Storia di Caterina Medici bruciata come strega professa” al Teatro Palladium di Roma.
Caterina Medici non è la regina di Francia; la sorte della donna, rappresentata nella lettura scenica, non è stata quella di salire su un trono prestigioso, bensì quella di andare al rogo, condannata come strega professa. Come scrive Guido Barbieri, che ha curato il testo e la drammaturgia dello spettacolo, a fare la differenza forse è stato un “de’” tra il nome e cognome della donna. La storia di Caterina Medici, interpretata dall’eclettica Elena Bucci, è quella di una vita infame. Ed è una storia vera. Nata a Broni nella bassa pavese nel 1573, il destino l’ha portata di padrone in padrone, uomini che hanno abusato di lei, l’hanno violentata, costretta a prostituirsi, picchiata, maltrattata. A differenza di altre contadine, Caterina Medici, figlia di un maestro, sapeva leggere e scrivere, ma questo non l’ha salvata da un’esistenza da incubo, anzi era vista come una donna strana, diversa dalle altre, con dei poteri che gli uomini ignoranti credevano derivarle direttamente dal demonio, solo perché possedeva qualità che le donne non potevano permettersi.
La sfortuna è stata quella di andare a Milano a servizio di un potentissimo uomo, il senatore Luigi Melzi, che dopo qualche mese si ammala. I medici non riescono a guarirlo, nessuno capisce la natura della malattia e la conseguenza naturale è stata quella di accusare Caterina Medici di maleficio, di avergli somministrato qualche pozione per ucciderlo, perché esistevano già in capo alla donna altre accuse di stregoneria.
Il testo dello spettacolo si basa sugli atti del processo a Caterina Medici, un processo-farsa: la decisione di mandarla al rogo era stata già presa prima della sentenza definitiva. L’esistenza della donna si conclude a Milano, in Piazza Vetra, luogo deputato alle esecuzioni pubbliche. Caterina Medici viene bruciata dinnanzi a una folla inferocita che non chiede altro che una giustizia belluina, incosciente, ignorante, per il gusto della vendetta e per ripulirsi la coscienza dai loro peccati.
La scena si apre con Caterina Medici che racconta gli ultimi giorni prima dell’esecuzione e il suo passato, una vita trascorsa tra i continui abusi. Fa da controcanto alla narrazione il quartetto vocale Faraulla (Lucrezia Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone e Teresa Vallarella), che a cappella intona canzoni e lamentazioni di ritmi religiosi e misteriosi, accompagnati dalla musica dell’Ensemble Ars Ludi, composto da Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri.
I tre poli di riferimento sul palco rappresentano i punti cardine della storia: Caterina Medici, i musicisti che richiamano il potere maschile prevaricatore, il quartetto vocale che rappresenta tutte le donne del mondo e di ogni epoca vittime di violenza, ma anche quelle donne che hanno creduto alla stregoneria di Caterina Medici e sono state complici nell’accusarla. Lo sguardo passa da un angolo all’altro del palcoscenico nel tentativo di trovare la summa di questa vicenda e forse un nesso con gli anni presenti, interrogandosi sul perché sono trascorsi secoli e il nostro senso di impotenza rispetto alla violenza contro le donne rimanga immobile, senza risposte, con le nostre coscienze sgomente.
Il ritmo della narrazione soffre del limite della lettura scenica
Uno spettacolo “tradizionale” avrebbe contribuito a mantenere più viva l’attenzione del pubblico. La scena rimane troppo statica per un bel pezzo dello spettacolo, fino a quando entrano in scena quattro attori (Alessandro Bartolini, Riccardo Bedocchi, Filippo Marsili, Pietro Pasqualetti) con un tavolo che posizionano al centro del palco, il banco della corte che sta per condannare a morte Caterina Medici. Gli attori si alternano alla lettura degli atti del processo e i musicisti dell’Ensemble Ars Ludi diventano i giudici con smorfie, sbeffeggi vocali, ritmi di mani che battono sul tavolo a enfatizzare la corruzione e l’infamità di uomini di legge che piegano il diritto ai più bassi istinti maschilisti. I giudici urlano, Caterina Medici si contorce nell’angolo in cui è relegata. Cerca di opporre resistenza nell’ultima parte della vita, afferma con orgoglio di essere una strega, perché anche nelle sue ultime ore non rinuncia a essere una donna che resiste e vuole gridare il suo sacrificio a tutte le altre donne, affinché anch’esse combattano e si oppongano come possono.
La musica e le intonazioni vocali acquistano di ritmo, raccontano le paure, le ansie, la rabbia di Caterina Medici. Lei arriva a testa alta a Piazza Vetra, non rinnega di essere una “strega professa” e lancia la sua sfida al mondo futuro prima di essere strangolata e poi bruciata.
Femmina Infame.
Storia di Caterina Medici bruciata come strega professa
Commissione Fondazione Flavio Vespasiano
Testo e drammaturgia di Guido Barbieri
Regia di Cesare Scarton
musiche di Giorgio Battistelli, Tomas Luis de Victoria, Francesco Filidei, Lou Harrison, Lorenzo Pagliei, e Gabriella Schiavone
Elena Bucci, attrice protagonista
Alessandro Bartolini, Riccardo Bedocchi, Filippo Marsili, Pietro Pasqualetti attori
Ensemble Ars Ludi – composto da Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri
Quartetto Vocale Faraulla – Lucrezia Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone e Teresa Vallarella
In collaborazione con Fondazione Roma Tre Teatro Palladium
(22 novembre 2024)
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