di Alessandro Paesano
Il pubblico prende posto in sala a scena aperta. Al Cometa off non c’è sipario e dunque vediamo gli scarni elementi di scena, un divano che campeggia al centro del palcoscenico, alcune bottiglie di birra vuote, dei cartoni della pizza, un posacenere, un cellulare.
Poi lo spettacolo inizia e nel buio della scena, la voce di un uomo, priva ancora di corpo, racconta di avere detto alla moglie di essere gay. Quando la luce si accende l’uomo racconta, non sappiamo bene a chi, delle reazioni della moglie alla sua confessione (“ma che ti piacciono gli uomini?, Anche a me!”) , delle sue incombenze di padre (la coppia, apprendiamo, ha due figli). Poi l’uomo ci evince che ha cambiato casa, ora vive da solo e dice di pensare sempre a una persona, a una sera in particolare.
In quella sera Niccolò e Valentino, due liceali amici sin dall’asilo, alla fine di una festa a casa del secondo, si ritrovano a baciarsi e a fare sesso. Al risveglio Niccolò va a pranzo dalla sua ragazza Arianna e Valentino ci rimane male.
Nonostante prenda le distanze da quanto accaduto (io non sono frocio, dice a Vale) Niccolò continua a fare l’amore con Valentino che gli dedica la canzone che dà il titolo allo spettacolo.
E mentre i due ragazzi si interrogano sul futuro della loro storia, su come gestirla e portarla avanti, un compagno di classe scopre sul cellulare di Va una cartella piena di foto di Ni. La cartella si Chiama “amore” come ci spiega l’uomo dell’incipit che capiamo essere Niccolò da adulto, che interviene sulla scena fornendo glosse e precisazioni a beneficio del pubblico.
I compagni di classe, ci spiega il Niccolò adulto, iniziano a offendere Valentino e deriderlo e incitano Niccolò a sputargli e picchiarlo. Niccolò ottempera. Valentino viene ostracizzato dai suoi pari. Rimasto isolato e senza il suo amore Valentino si toglie la vita gettandosi nel vuoto.
Il Niccolò adulto chiede scusa a Valentino e gli dice che anche se ha pensato a lui tutti i giorni della sua vita è giunta l’ora di lasciarlo andare. Valentino evocato lo saluta e li dice di non preoccuparsi.
Io che amo solo te è stato scritto a quattro mani da Alessandro Di Marco, che interpreta il Niccolò adulto e firma anche la regia, e Lucilla Lupaioli.
L’atto unico è caratterizzato da una scrittura semplice ma elegante, con qualche lungaggine all’inizio l’esitazione con cui Valentino e Niccolò parlano dopo la prima volta che sono stati insieme è trascinata troppo per le lunghe soprattutto nell’economia della messinscena che era all’incirca 60 minuti, così come esornative ci sembrano alcune caratterizzazione dei due personaggi basate sulla vivacità delle battute del dialetto romane.
Non convince il linguaggio pieno di allusioni e omissioni sui trascorsi sessuali dei due ragazzi. Si può essere più assertivi senza diventare espliciti e volgari altrimenti l’omissione rischia di assumere le sembianze della censura.
Ben riuscite sono alcune scene come, quando i due ragazzi, durante un compito in classe, in un monologo interiore che dilata il tempo reale, descrivono tutta la dirompenza di un sentimento che travolge entrambi, o quella in cui, nella finzione scenica, i due ragazzi, ognuno a casa propria, comunicano tramite messaggi vocali, i due posti ai lati del palco , come in uno split screen cinematografico.
L’atto unico prende però tutta la sua forza non dalla scrittura ma da Riccardo D’Alessandro e Andrea Lintozzi i due interpreti rispettivamente di Niccolò e Valentino che stanno crescendo con questi ruoli. Lo spettacolo è andato in scena nel 2018 e da allora è stato ripreso più volte. La recitazione di entrambi è generosa, viva, sincera e credibilissima. Le scene di amore/sesso sono spontanee e sebbene molto caste, piene di quella sensualità, urgenza sessuale, necessità di affetto che tutti, tutte, abbiamo provato da adolescenti.
Riccardo e Andrea sono Niccolò e Valentino e va riconosciuto loro il merito di rendere lo spettacolo godibile, coinvolgente, emozionante.
A Di Marco e Lupaioli va riconosciuto il merito di avere scritto un atto unico scevro dai soliti cliché sui personaggi omosessuali maschili ma nella cornice narrativa imbastita per presentare i due protagonisti ci sono più ombre che luci.
Intanto la connotazione temporale non è chiara: la storia di Niccolò e Valentino sembra ambientata nel presente così si evince dall’uso che fanno entrambi del cellulare, con i messaggi visualizzati senza risposta, datazione che viene confermata durante un compito in classe (23 novembre duemileventi… dice Niccolò alla prof.). Dunque il Niccolò adulto, che sta evocando la storia mostrata in flashback, in realtà appartiene a un tempo a ancora da venire.
La prima ombra è nel coming out di Niccolò del quale non si capisce senso e spessore. Il senso sembra essere quello di voler mostrare come Niccolò sia riuscito a riconoscersi come omosessuale solamente in età adulta, ma non è chiara la sua posizione rispetto alla vita che si è scelto (una moglie, la prole). Niccolò lascia la moglie in quanto omosessuale o perchè non la ama più?
Non sembri una domanda peregrina.
Nelle cause di divorzio ancora oggi l’omosessualità di uno dei due coniugi è causa sufficiente per giustificare il divorzio per colpevolezza.
Niccolò avrebbe potuto raccontare alla moglie che da adolescente ha fatto sesso con un ragazzo del quale era forse anche un po’ innamorato (anche se l’atto unico si concentra di più sui sentimenti di Valentino, che sembra più convinto di Niccolò) ma che adesso ama lei. Questo coming out che mette fine al matrimonio dà per scontata una visione binaria degli affetti: o sei omosessuale o sei eterosessuale, dimenticando che esiste la bisessualità.
Una bisessualità nella quale ci collochiamo tutti e tutte con prevalenze diverse (come ci ha ben spiegato Kinsley tra la fine degli anni 40 e l’inizio degli anni 50 del secolo scorso).
Così come colpisce la solitudine che il Niccolò adulto lamenta e descrive: nessun altro amore in vista? Nessun incontro sessuale? Allora perchè fare coming out? Anche se dire quello che si è, è importante le azioni e i comportamenti dirimono certe questioni molto più di quello che noi diciamo, o pretendiamo, di essere.
La generazione Z di cui fanno parte Niccolò e Valentino (se la collocazione temporale è davvero come sembra la contemporaneità) è molto più fluida delle generazioni precedenti e non usa nemmeno più le etichette etero omo o bi.
La grammatica dei sentimenti approntata da Lupaioli e di Marco per i due protagonisti tradisce la loro appartenenza alla generazione X…
Il suicidio finale di Valentino getta un’ombra sinistra su tutta la storia d’amore che, sebbene sia raccontata con molta sensibilità (e qualche pudore di troppo) rimane una storia interrotta, che si conclude con la morte del personaggio omosessuale.
Ci chiediamo quale reazione possa avere un adolescente in questioning (che si sta co chiedendo se magari non gli piacciano i ragazzi come lui) dopo aver assistito a questo spettacolo.
Ci penserà mille volte prima di esplorare con serenità questo suo lato gay e rientrerà subito nei ranghi di una eterosessualità accomodante.
Le alternative che gli si prospettano sono comunque desolanti: o il suicidio o la menzogna e la solitudine.
Oggi più che mai c’è bisogno di un altro immaginario collettivo, proprio perchè i suicidi e le aggressioni omotransfobiche sono all’ordine del giorno.
Abbiamo superato la fase dell’omertà, quando era importante parlare delle morti e delle aggressioni, perchè taciute.
Oggi dobbiamo parlare ai ragazzi e alle ragazze di resilienza, di lieto fine, mostrando loro delle alternative, che una rete di solidarietà esiste, che ci sono organizzazioni di pari alle quali ci si può rivolgere.
Invece Io che amo solo te continua a presentarci l’amore tra uomini come legittimo e condivisibile solamente quando è stato reso puro e asessuato dalla morte di uno dei due uomini.
Una storia così farebbe contenta anche la chiesa cattolica che, nonostante la disinformazione della stampa, continua a proporre come modello di comportamento per le persone omosessuali la castità visto che il sesso agito viene considerato un grave disordine morale (come dice il catechismo).
Suo malgrado, al di là delle intenzioni di Lupaioli e Di Marco, che non dubitiamo essere le più positive, questo spettacolo rassicura la maggioranza silenziosa perchè non la induce all’indignazione ma alla commozione.
Una commozione che acquista la fisionomia pelosa dell’autoassoluzione cui il pubblico crede di potersi avvalere perchè si commuove di un ragazzo omosessuale (ma anche Valentino potrebbe essere bi) che si è suicidato, illudendosi di poter dire le persone omofobe sono altre, non io. E poi magari continuare a fare battute da caserma nel posto di lavoro.
Finché non riconosciamo che l’omo-transfobia è sistemica, proprio come lo è la violenza sulle donne, e che ci riguarda tutti e tutte, nessuna persona esclusa, le cose difficilmente cambieranno.
Perchè per cambiare le cose non basta commuoversi, bisogna indignarsi.
IO CHE AMO SOLO TE
di Alessandro Di Marco e Lucilla Lupaioli
con Riccardo D’Alessandro, Andrea Lintozzi e con Alessandro Di Marco
Scene e Costumi : Nicola Civinini – Aiuto Regia : Guido Del Vento – Luci e Fonica : Sirio Lupaioli
Foto di Scena : Marcella Sistola e Simona Casadei
Regia di Alessandro Di Marco
Visto per voi al Cometa Off di Roma il 24 novembre 2023.
(25 novembre 2023)
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