HomeCopertinaNascondino: splendidi gli attori, il finale un po’ meno

Nascondino: splendidi gli attori, il finale un po’ meno

di Alessandro Paesano

Nascondino è uno di quegli spettacoli di cui c’è un’estrema necessità. Necessità di scriverlo, necessità di metterlo in scena, necessità di andarlo a vedere.

La storia di Gio e di Mirko, due adolescenti variamente bullizzati da un gruppo di pari, abbandonati dalle persone adulte, siano queste genitori, altri familiari, educatori, educatrici o semplici persone grandi (come i due ragazzi si riferiscono loro) è esemplare perché ci mostra la ferina normalità di una ferocia (del gruppo di pari e delle persone adulte) che non ha nulla di eccezionale ma che riempie, con la sua indifferenza asfissiante, tutti gli interstizi di una società incapace di ascoltare la propria gioventù e di educarla.

Gio e Mirko frequentano la stessa scuola. Gio è bersaglio di bullismo e Mirko assiste, impassibile. Il loro incontro casuale (ma forse no) avviene in una grotta dove Gio si è rifugiato per sottrarsi alle violenze. Mirko cerca di spronarlo a tornare nel mondo, Gio ottiene da lui la promessa di tornarlo a trovare.

I due ragazzi si raccontano, si esplorano, si conoscono, si seducono.

Una seduzione che ha mille motivazioni, a Gio piacciono i supereroi, se li immagina nudi, anzi con i calzini bianchi di spugna (ed è indossandoli che Mirko torna a trovarlo); Mirko pensa a una ragazza della scuola, Gio lo consiglia su come corteggiarla. Quando lo bacia all’improvviso Gio gli chiede se ha paura e Mirko gli risponde di no.

Il testo ha il grande pregio di non cercare giustificazioni, di non proporre facili spiegazioni, di non indurre il pubblico a porsi domande le cui risposte inutili risulterebbero superficiali e discriminatorie.

A Gio piacciono i ragazzi, a Mirko piace Gio, ma, molto fuori dall’italica tradizione sull’argomento, il testo non si interroga mai sull’orientamento sessuale dei due protagonisti ma ci racconta, con rispetto e riconoscendone tutta la dignità, i sentimenti che i due ragazzi provano, l’uno per l’altro, ma anche per come si sentono nel mondo, per come il mondo li tratta. Rossi ha la magnifica intuizione di mostrare come un’attrazione emotiva e fisica per le persone dello stesso genere non trovi soluzione di continuità rispetto a tutte le altre incombenze della vita adolescenziale.

Anche se ti piacciono i ragazzi hai gli stessi problemi di tutte le altre persone.

Il racconto si sviluppa in una successione di quadri che si interrompono al momento giusto lasciando immaginare al pubblico quel che c’è da immaginare e riprendendo la storia, per ogni quadro successivo, in un momento diverso della progressione della loro amicizia, della loro confidenza, della loro esplorazione sessuale, della reciproca addomesticazione, in maniera non necessariamente lineare. Alla dinamica emotiva tra i due protagonisti fa da contraltare la dinamica pubblica di cui ci giungono alcune eco dai racconti di Mirko, soprattutto quando i due architettano un piano per sfruttare la notorietà e far parlare il Mondo del rapimento di Gio (compreso il lobo dell’orecchio amputato come in ogni rapimento che si rispetti).

E qui la storia vira verso un’epilogo un po’ telefonato.

Gio vuole abbandonare la grotta in cui si è nascosto e tornare nel Mondo, nel quale ora sente di poter stare, contando sulla presenza di Mirko al suo fianco. Mirko invece vorrebbe che le cose rimanessero come sono, spaventato dalle conseguenze che il racconto del loro amore potrebbe avere in un Mondo nel quale, evidentemente, solo Gio vuoi tornare.

Se a Rossi e al pubblico è evidente che Mirko sia vittima tanto quanto Gio (ad attenderlo nel Mondo c’è la polizia già insospettita dal lobo che ha ritrovato) la morte, subita e presentata come inevitabile, tradisce un orizzonte etico che crede nell’impossibilità di emanciparsi dalla propria condizione proprio come Verga lo riteneva della famiglia Malavoglia.

Questa agnizione nella morte, retrodata un testo (del 2019) altrimenti attualissimo, connotandolo a una concezione dei rapporti amorosi omoerotici squisitamente anni ’80, rimanendo ancora nell’angusto orizzonte di una legittimazione che trova la sua vera vocazione nell’impossibilità della sua attuazione: chi è morto non ama e chi ama una persona che non c’è più costruisce un monumento a un amore casto e disinteressato (asessuato). E a queste condizioni l’amore tra due ragazzi piace anche alla chiesa cattolica.

Questa constatazione, che non ci possiamo esimere dal sottolineare, nulla toglie alla generosità e alla bravura dei due giovanissimi interpreti (al netto di qualche imprecisione nella dizione che però è comune a tutta la nuova generazione di attori e di attrici), due attori di una bellezza umana straziante i quali costituiscono la vera forza di uno spettacolo comunque irrinunciabile.

Andrea Manuel Pagella ci regala un Gio sicuro di quel che vuole (anche la frequentazione con un benzinaio che ha fama di pedofilia che non è stato nemmeno capace di farmi una carezza), sicuro dell’amore che prova e di quello che, finalmente, sente di ricevere.

Luca Vernilllo De Santis ci propone un Mirko tenero quando guida il gioco erotico con Gio (i calzini di spugna) vulnerabile quando racconta le defezioni alla sua festa dI compleanno perchè ritenuto amico di Gio.

Due interpreti entrambi credibilissimi nei loro gesti di amore che non hanno sbavatura alcuna, non poggiano su cliché o stereotipi, ma sono incarnati nella loro persona di attori e di giovani ragazzi restituendo tutto lo spessore emotivo ed esistenziale dei due adolescenti protagonisti con una dirompenza che commuove.

Lo spettacolo, in giro già da un anno, giunto alla piazza romana, altre piazze sono già in cartellone, prevede anche delle matinée per un pubblico studentesco, con un programma didattico che corona uno sforzo produttivo completo e encomiabile.
Visto a Roma il 14 febbraio 2023 al teatro Lo Spazio.

 

(16 febbraio 2023)

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