di E.T. twitter@iiiiiTiiiii
“Nadia” è un lavoro molto interessante sugli abusi della mafia e della malavita organizzata. Una prima parte troppo lunga e con l’attrice Deborah Di Giacomo che troppo indugia su aspetti macchiettistici del suo personaggio nulla tolgono all’efficacia della denuncia. “Nadia” è infatti storia di una donna che si vanta della sua superiorità di madre in un piccolo paese del sud Italia e per questo viene punita dalla moglie del boss locale che le fa uccidere uccide i figli. Lo spettacolo trae ispirazione dai miti classici e fa parte di una tetralogia (che non vediamo l’ora di seguire a teatro) che fa dell’uso del dialetto una delle prerogativa offrendo immediatamente un contesto preciso della situazione sociale dalla quale la storia muove (o arriva?). Scritto da Valerio Marini e diretto da Maria Grazia Pompei lo spettacolo offre una seconda parte di straordinarie intensità e bellezza con Deborah Di Giacomo finalmente libera da stereotipi e cliché e capace di trasmettere il dolore senza fine di una madre alla quale strappano i figli.
E’ il momento di “Tabacco e Sigarette” testo di Giulia Massimini che non abbiamo amato granché anche se il finale riscatta pienamente una serie di dialoghi secondo noi un po’ scontati sul tema dell’amore e della coppia. Bravi gli attori di Nogu Teatro che l’hanno messo in scena – Stefania Capece e Valerio Riondino – per la regia di Cristiano Vaccaro.
“Contaminata” è un intelligente spettacolo della compagnia reggiana Sinonimia, diretto da Fadia Bassmaji con mano insicura, cosa che crea problemi all’intera struttura dello spettacolo che ha dalla sua la presenza di una eccellente attrice come Livia Bonetti e l’energia di Silvia Scotti, Alessandra Pavoni e Angela Monaco. Eccessi di accenti locali e poca precisione delle attrici nei movimenti distraggono un po’, ma siamo certi che – come abbiamo detto alla regista all’uscita del teatro – lo spettacolo avrà vita e repliche perché parte da presupposti progettuali interessanti e ben piantati nella realtà. La storia? La cronica incapacità dell’unvierso femminile (quattro donne innamorate di “Apollo”) di uscire dalla tendenza a giustificare i loro uomini (ed in generale i loro amori) arrivando a fare tanto male a loro stesse non si sa quanto inconsapevolmente. Da vedere.
(16 dicembre 2016)
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