di Alessandro Paesano
Copi, all’anagrafe Raúl Damonte Botana, nato a Buenos Aires nel 1939, si impone in Francia prima come fumettista (La donna seduta striscia pubblicata su Le Nouvel Observateur e, in Italia, dalla rivista Linus) poi come autore di teatro (L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi) e scrittore (Il ballo delle checche).
Nel suo teatro si aggirano madri di sesso maschile (…), astronaute che esplodono e implodono, topi che dialogano con fantasmi, lesbiche che se la fanno con uomini gay e partoriscono nuovi gesù bambino, malati di Aids da operetta (…) e si ride tanto. È un teatro che alla fine viene ucciso pure lui, dalla donna delle pulizie: «lo non ammazzo lei, ammazzo il teatro! […] Crepa schitoso. (Spara) .. Il teatro è finito» come ricorda Stefano Casi nella bellissima introduzione al preziosissimo volume Il teatro inopportuno di Copi (Titivillus, Corazzano – Pisa – 2008) una raccolta di saggi con sua curatela.
Il mondo poetico di Copi, nel quale fumetto, romanzi e teatro costituiscono un corpus unico, è permeato di camp termine col quale si esprime un gusto per l’innaturale, per l’artificio e l’eccesso come strumento di autoaffermazione e autoironia (tanto ben studiato da Susan Sontag in un suo famoso saggio).
Una poetica dell’artificio atta a sabotare la morale borghese facendola implodere con l’iperbole narrativa e con dei personaggi che affondano le radici nella performance di un travestitismo (ben prima delle drag queen) salace ed eccessivo.
Ben al di là del camp, la narrazione di Copi è a-logica, imprevedibile, tutta sintonizzata con una ironia che scaturisce da certo femminino sopra le righe.
Dietro un’ironia e un’autoironia feroci Copi mette sempre in atto la distruzione di ogni forma di autocommiserazione impiegando all’uopo, se serve, anche i cliché sull’omosessualità maschile (inversione femminile) declinandoli con la lotta per la visibilità, per il contatto umano, per la ricerca di un affetto, di un amore, sempre mediato, o sostituito, dal sesso, fatto, millantato, immaginato, desiderato, inseguito.
Il frigo è un testo particolare, un monologo (ma la parola è limitante) nel quale un solo attore (nella sua prima rappresentazione, al Théâtre Fontaine di Parigi il 7 ottobre dell’83, Copi stesso) è chiamato a interpretare tutti i personaggi della pièce, con dei cambi d’abito repentini, alcuni impossibili (come quando deve interpretare al contempo la protagonista L, in abiti maschili, e sua madre, con il classico trucco del doppio vestito e del volto truccato in due metà mostrando di volta in volta un diverso profilo).
L è una ex modella ormai troppo vecchia (sono parole sue) che però tutti vogliono ancora come indossatrice (il suo amico Hugh, il suo editore) che trova un frigo piantato nel bel mezzo del salotto, un regalo della madre. Mentre litiga con la cameriera (che di volta in volta è guardarobiera, domestica, etc.) il cui marito l’ha appena violentata (fuoriscena) L viene narcotizzata da un poliziotto, subisce l’esplosione di un orologio appeso al muro, ricompare in scena come fantasma di se stessa, fa una seduta con la sua psichiatra (assumendo un’identità di genere maschile) alla quale confessa di non avere soldi per le sedute, flirta con un topo che trova nel frigo, interpreta un cane incontinente che fa pipì sul telefono affogando l’editore all’altro capo del filo.
Da questa nostra maldestra e parziale ricostruzione di quanto succede nella pièce è chiaro che Copi occupa la scena con un vero e proprio stream of consciousness di vari personaggi che sarebbe riduttivo pensare siano estroflessioni della stessa persona quando piuttosto modelli di comportamento che L ha introiettato.
Al di lai delle letture figurali che si possono fare sul testo e i suoi personaggi emerge dirompente l’inventiva caustica e camp di Copi che voleva sovvertire divertendosi.
Il frigo torna in scena a vent’anni dal debutto per la regia di Andrea Adriatico e l’interpretazione, immensa, di Eva Robin’s.
Robin’s si districa coi repentini cambi d’abito e di personaggio apparentemente senza fatica e senza quella fretta nervosa che caratterizza certo fregolismo del cambio d’abito.
Usando la quinta di una bellissima scena, semplice e quasi metafisica, iperpop (di Andrea Cinelli), Robin’s riappare in scena ogni volta modificata, incarnando, letteralmente, i vari personaggi, che performa con la postura, i movimenti del corpo, ma anche con la voce rimodulata su registri, tonalità e capacità di articolazione diversissimi. Robin’s fa di questi continui cambi di abito e di personaggio una emanazione di L che è stata indossatrice (e infatti nei momenti di titubanza, quando si pensa invecchiata, cerca di rivivere il portamento da mannequin attraversando saggittalmente il palco con pose da vamp). Tutte soluzioni registiche brillanti che Robin’s agisce con innata disinvoltura.
Bravissima a manovrare la bambola a grandezza naturale che nel testo rappresenta la psichiatra (in Adriatico è una bambola gonfiabile, di quelle usate per il sesso, dalla carnagione scura, nuda, la vulva bene in vista) o a interloquire con il topo che nel testo originale è un burattino ma a Robin’s basta manovrare un peluche per renderlo vivo.
La scena è quasi un personaggio a sé non tanto per il frigorifero ma per gli elementi di arredo semplici e stilizzati che restituiscono un preciso gusto grafico e di design, compresa la sedia dove Robin’s già siede immobile come un manichino mentre il pubblico prende posto in sala. E mentre si cambia dietro le quinte, e in scena rimane solamente il frigo, Robin’s ci distrae con la performance della sua sola voce che, da sola, riempie la scena.
Quella di Adriatico è una messinscena perfetta, rispettosissima del testo i Copi con qualche piccola invenzione godibilissima (come il campanello della porta che viene in realtà manovrato a vista da Robin’s stessa) o alcuni piccoli cambiamenti (come il doppio abito di cui si è detto, impossibile da mettere in atto, sostituito da un complesso e continuo cambio di personaggio che Robin’s fa senza sbavatura alcuna, che non servono a correggere il testo ma a servirlo meglio.
Eva Robin’s è di una bravura straordinaria, misuratissima, in un testo tutt’altro che facile e che ci restituisce con una leggerezza e una eleganza indimenticabili, riuscendo a districarsi tra i nonsense, i dettagli scabrosi (la madre che eiacula) con una eleganza e una credibilità che non fa scadere mai nell’ovvio l’iperbole del testo dandole una concretezza che è tutta nella sua statura artistica di interprete magnifica, splendida e indimenticabile.
IL FRIGO
di Copi
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Eva Robin’s
cura e aiuto Daniela Cotti, Saverio Peschechera
scene Andrea Cinelli
con la consulenza di Maurizio Bovi
costumi Andrea Cinelli
cole repertorio vintage di A.N.G.E.L.O.
tecnica Francesco Bonati, Giovanni Magaglio
Visto per voi all’Off Off Theatre di Roma il 28 novembre 2025.
(9 dicembre 2025)
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