di Alessandro Paesano
Nel 1972 Pasolini pensava di trarre un film dall’Histoire du Soldat di Stravinsky.
L’opera da camera scritta dal compositore russo nel 1918 su libretto in francese di Charles-Ferdinand Ramuz tratto da una raccolta di fiabe popolari russe di Aleksandr Nikolaevič Afanas’ev, pubblicata fra il 1855 e il 1864, si basa sui racconti Il soldato disertore e il diavolo e Un soldato libera la principessa ispirate vagamente al mito di Faust nella quale nella lotta tra soldato e diavolo il soldato alla fine ha la peggio.
Pasolini, nella sceneggiatura che scrisse a sei mani con Sergio Citti e Giulio Paradisi, ci racconta del viaggio di un soldato (Ninetto Davoli) attraverso l’Italia, suddiviso in tre parti: Il nord, Roma e Napoli e dei suoi rapporti col diavolo (che doveva essere interpretato da Vittorio Gassman). Il film doveva essere diretto da Paradisi che voleva fare un film con Ninetto Davoli. Quando Pasolini venne assassinato nel 1975 del progetto non se ne fece più niente. Venne portato a teatro nel 95 per la regia di Giorgio Barberio Corsetti, Gigi Dall’Aglio e Mario Martone, e Ninetto Davoli nel ruolo pensato per lui da Pasolini, che dirigono un’opera caratterizzata dalla diversità stilistica e dalla contrapposizione dei linguaggi poetici.
Su queste premesse Manfredi Rutelli riscrive il testo di Ramuz, avendo in mente l’idea di rileggere il personaggio del diavolo come impersonificazione di Pasolini come si legge nella presentazione allo spettacolo: “… ripensare il Pasolini dell’Historie, attraverso le lenti di un immaginario Pasolini catapultato negli anni ’20 del XXI secolo, nei panni di un diavolo assetato di vendetta per punire quella società che cinquant’anni fa non ha ascoltato il suo grido di allarme, il suo monito contro il capitalismo devastante e tiranno e che non è riuscita ad inceppare quella macchina infernale che la sua arte, i suoi scritti, le sue riflessioni, ci avevano tante volte ben mostrato”.
Il diavolo scritto da Rutelli ha ancora le caratteristiche goethiane del Faust, ma ogni tanto fa dei commenti “pasoliniani” come in questa invettiva contro il protagonista che Rutelli muta di nome da Joseph ad Ariel: “50 anni fa vi dissi che eravamo tutti in pericolo. Vi avevo avvertiti sul rischio che correvamo col capitalismo, bomba distruttrice, col consumismo come detonatore. Io facevo solo il mio mestiere, il mio piccolo mestiere. Ma non mi avete dato retta. Allora vi dissi che il tiranno è colui che dispone dei canali, delle frequenze, delle televisioni. Ma non mi avete ascoltato, siete andati avanti. Avete peggiorato le cose, siete addirittura arrivati a dare il potere a dei sovrani proprietari di televisioni. Mi avete sbattuto all’inferno, calpestandomi. Oggi il potere ce l’ha chi ha in possesso delle informazioni”.
In questa invettiva sta tutto il limite dello spettacolo.
La critica originale di Pasolini, che si sia d’accordo o meno, si basava su un’analisi profonda e precisa come scriveva sul Corriere della Sera il 9 dicembre del 1973: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana”, testo poi confluito negli Scritti Corsari pubblicati da Garzanti nel 1975.
Nel testo di Rutelli la nuova produzione di potere e di immaginario collettivo è imputata ai nuovi social media che hanno trasformato il vedere in farsi vedere in una rete distribuita nel multiverso simboleggiata da un visore 3d per la realtà virtuale che sostituisce il libro nel testo originale di Ramuz che contiene i fatti che devono ancora accadere.
Di questa mitopoiesi del nuovo immaginario collettivo però lo spettacoloso non sa indicare alcun elemento veramente nuovo ripescando nei luoghi comuni ormai alquanto stantii (uno fra tutti la figura della prostituta che Ariel, ormai ricchissimo, incontra e che sdogana riconoscendola come professionista dell’amore, confondendo in maniera imperdonabile sentimenti e sesso), mancando l’occasione di analizzare come invece oggi la mercificazione non pertenga più solamente alla donne ma anche ai ragazzi, prevalentemente etero, che si producono in video pornogrrafici a contenuto omosessuale…) senza mai affrontare davvero il nodo centrale di oggi che non è tanto la ragnatela web (che sembra rimasta ferma alle idee di Negroponte in Essere digitali del 1995) quanto piuttosto una rete di notizie false alle quali l’universo mondo è esposto sommerso da una sovraesposizione alle informazioni che sono molte di più di quelle che la società riesce ad elaborare.
Sociologicamente e antropologicamente il testo di Rutelli non sembra avere la vocazione di analisi di Pasolini né lo stesso suo mordente (certamente un paragone dal quale si esce sempre perdenti) accennando a dei temi sui quali si possono leggere articoli sui media, vecchi e nuovi, mai davvero approfonditi nelle scene che si dipanano durante la messinscena come l’imbarazzante travestimento del diavolo in panni femminili pescati ancora da un immaginario fermo agli anni 70, che ripropone un travestitismo oggi inesistente, sostituito dal mestiere delle drag queen o da fenomeni mediatici ancora più complessi come Drusilla Foer. Tutte occasioni mancate per parlare davvero della nostra contemporaneità.
Se l’intenzione è di catapultare Pasolini negli anni 20 del XXI secolo la società ritratta è dannatamente simile (nei suoi luoghi comuni) a quella esistente 50 anni prima…
Per tacere su certe notazioni etniche ed esotiche sulla figlia del trafficante arabo che viene data in sposa ad Ariel (nel testo di Ramuz è la figlia di un principe).
Dal punto di vista della messinscena lo spettacolo oltre a presentare una partitura musicale originale scritta ad hoc impiega la video-proiezione su un velatino di proscenio per ottenere sinergie tra immagini e la scena teatrale che traspare al di là del velatino, opportunamente illuminato (dalle belle luci di Alessandro Martini).
Se all’inizio l’impiego dei disegni della nave su cui si trova Ariel che si sovrappongono alla scena in teatro come fossero ua sola cosa, funziona ed emoziona il resto delle video-proiezioni (la ragnatela del multiverso, il sangue umano che gronda sui fili della stessa, il ragno che si muove sui suoi stessi fili), sono relegati al mero ruolo esornativo per quanto suggestivo ed elegante. L’allestimento scenico che fonde immagini videoproiettate a scene dal vivo (più alcune parti lette di proscenio, al leggio, ritornando alla struttura narrativa originale di Ramuz) tradisce la vocazione più da fiction audiovisiva che teatrale della messinscena.
Le scene dei vari incontri di Ariel coi diversi personaggi (e le varie incarnazioni del diavolo) sono semplici e lineari, più vicine al racconto (pseudo)naturalistico della fiction che alla struttura narrativa del teatro che non ha bisogno di video-proiezioni per evocare atmosfere, situazioni ed emozioni (così come non c’è bisogno di mettere una parrucca al diavolo per far capire che si presenta sotto mentite spoglie femminili…).
Una vocazione audiovisiva confermata dai veri e propri titoli di coda tramite i quali vengono presentati al pubblico i due attori e l’attrice, mentre si prendono gli applausi.
La loro recitazione non si distingue né in positivo né in negativo, anche se bisogna riconoscere loro la difficoltà di muoversi dietro il velatino e sul proscenio dove leggono le parti di narrazione, e i diversi cambi d’abito…
Alla fine di 666.PPP che ha come sottotitolo Quel diavolo di Pasolini si presenta come la classica montagna che partorisce il topolino menzionando Pasolini quasi per caso quando in realtà si limita a riscrivere L’histoire du soldat.
Di Pasolini(ano), oltre il titolo, nello spettacolo c’è davvero poco.
666.PPP Quel diavolo di Pasolini
testo e regia Manfredi Rutelli
con Giulia Canali, Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan
e la voce di Diletta Maria D’Ascanio
musiche originali Riccardo Panfili, eseguite da Tetraktis Percussioni
sonorizzazione e paesaggi sonori Paolo Scatena
multimedia artist Andrea Bisconti
disegno luci Alessandro Martini
allestimento Fabio Barbetti
assistente alla regia Alessia Zamperini
una Coproduzione LST Teatro e TETRAKTIS Percussioni
con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Visto per voi al Tetro Basilica di Roma il 1 novembre 2025.
(6 novembre 2025)
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