di Alessandro Paesano
Nel 2022 Concita De Gregorio pubblica per i tipi di Feltrinelli Un’altra cosa nel quale racconta di come il padre, in fin di vita, le chiese di scrivere il suo necrologio Mi piacerebbe leggerlo.
La richiesta rimane incompiuta ma dall’idea di comporre il proprio necrologio nascono dodici monologhi, pensati per essere detti, di altrettante donne.
Pittrici, fotografe, poete, musiciste, le donne ritratte da De Gregorio, che sono davvero esistite, si rivolgono alle persone presenti alle loro veglie funebri apostrofandole senza reticenze, parlando delle loro vite nelle quali si sono sempre dovute confrontare con gli uomini, la cui presenza ingombrante ha cercato di interferire, sminuire, controllarne l’esistenza.
Che si tratti di Picasso che sminuisce l’arte di Dora Maar, o di Carol Rama la cui arte apprezzata all’estero ma poco conosciuta in Italia, viene comunque giudicata eccentrica e marginale, o di Amelia Rosselli secondogenita di Carlo, l’eroe della resistenza italiana, grande poeta affetta da disturbi psicotici e dunque isolata perché considerata matta o la fotografa Vivian Maier la cui arte è stata scoperta dopo la morte, le donne che popolano il libro di De Gregorio sono squisiti esempi di quell’autonomia femminile che si è articolata per tutto il Novecento, malgrado i tentativi patriarcali di marginalizzazione delle donne in un mondo a misura di uomo.
Le parole che De Gregorio fa dire a queste donne sono anche quelle che ha trascritto negli anni in un quaderno, che aveva intitolato invettive, lette e ascoltate nei loro scritti e nei loro discorsi cui De Gregorio dà nuova vita restituendo tic lessicali, flussi di coscienza e vissuti personali. Ogni monologo è preceduto da alcune note biografiche che permettono a De Gregorio di alludere, nei monologhi, a eventi e fatti che altrimenti avrebbe dovuto contestualizzare. Le note biografiche non sono dunque un paratesto ma un testo complementare che costituisce uno sfondo tramite il quale i monologhi, osservati in tralice, acquistano profondità e respiro.
Data la natura discorsiva dei 12 monologhi l’operazione di portare il testo al teatro con il titolo Un’ultima cosa Cinque Invettive, sette donne e un funerale è spontanea e giustificata.
E’ De Gregorio stessa che dà la sua voce ad alcune (cinque) delle donne che popolano il libro, accompagnata dagli interventi cantati, in dialetto e a cappella, della splendida voce di Erica Mou la cui musica costituisce il corrispettivo musicale al testo.
Mou modula la potenza della sua voce usando il riverbero che le permette di giocare con le durate, allungando le note di una melodia sostenuta da un ritmo che si basa sulle sonorità del dialetto, ribadito da un uso eclettico delle mani, battute palmo contro palmo, sul corpo della contante, dallo schiocco delle dita o, ancora, dall’impiego di un carillon.
La partitura sonora di Mou dialoga e si intreccia con le parole di De Gregorio in un confronto continuo che trova, durante il procedere dello spettacolo, diverse forme espressive, il controcanto, la ripetizione, il coro armonizzato, fin quando anche Mou entra nella narrazione sdoppiando la voce di Carol Rama (l’argomento sono le scarpe con i tacchi alti, il loro contenuto e Cenerentola) in uno scambio continuo che dà respiro allo spettacolo.
La scena è scarna, due praticabili a gradoni sui quali le due interpreti si muovono, si siedono, mentre le luci (come le scene di Vincent Longuemare), giocando molto sui colori e sul controluce, disegnano silhouette di queste cinque donne personaggio e delle due interpreti in scena, in un alternarsi di luci e ombre mai banale o ripetitivo.
Dispiace solamente che De Gregorio legga da un quaderno i testi da lei scritti. Non una lettura pedissequa, piuttosto uno strumento al quale ogni tanto torna per sostenere la memoria del testo. Questo sguardo non continuo ma ripetuto al quaderno e mai completamente rivolto al pubblico si pone come un diaframma tra interprete e platea, affaticando un poco la fruizione che non è mai diretta ma sempre mediata da questo sguardo altrove.
De Gregorio è bravissima nel prodursi in una recitazione che non è mai, nel tono e nelle intenzioni, lettura, ma l’ingombro fisico del quaderno letto distrae e tiene a distanza.
Un’ultima cosa. Cinque Invettive, sette donne e un funerale, dà la riprova che i testi scritti per la pagina e pensati per essere detti, a teatro funzionano egregiamente soprattutto se interpretati con la verve di De Gregorio che si dimostra un’interprete all’altezza della sua magnifica penna dando voce e corpo ad alcune delle donne da lei reinventate nel libro.
Uno spettacolo necessario, oggi più che mai.
UN’ULTIMA COSA
Cinque invettive, sette donne e un funerale
di Concita De Gregorio
musica live Erica Mou
spazio scenico e luci Vincent Longuemare
cura della produzione Sabrina Cocco
regia TERESA LUDOVICO
produzione Teatri di Bari / Rodrigo
Visto per voi al teatro Sala Umberto di Roma il 9 ottobre 2024.
(11 ottobre 2024)
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