di Alessandro Paesano #teatro twitter@gaiaitaliacom #vistipervoi
Le lacrime amare di Petra Von Kant venne scritta da Fassbinder nel 1971, e messa in scena lo stesso anno a Francoforte, dove venne stroncata dalla critica. L’anno dopo Fassbinder traspone la pièce per il grande schermo facendone quella felice rivisitazione del kammerspiel e del mélo che conosciamo.
La donna del titolo, sopravvissuta a due matrimoni (il primo sciolto dalla morte del marito, padre di sua figlia) ha trovato modo di fare fortuna nel mondo della moda grazie all’aiuto dell’amica Sidonie, che l’ha introdotta nell’alta società.
Petra cerca di fare lo stesso con Karin, di oltre 10 anni più giovane, la quale dalla relazione con lei non è tanto interessata a elevarsi socialmente quanto a sfruttare Petra per un interesse economico più immediato.
Ad assistere all’inevitabile disfatta di una storia amore dall’esito scontato è Marlene, la segretaria\cameriera che cura tanto il lavoro di Petra (finendo per lei i bozzetti di moda) quanto la sua vita quotidiana.
Questo plot semplice e prevedibile dà modo a Fassbinder di osservare da vicino le storie d’amore di donne per donne e per uomini (anche Karin è sposata e lascerà Petra per tornare con lui) vedendoli attraverso la lente dei rapporti di classe e dunque di potere.
Sidonie, che ha insegnato a Petra il savoir-faire dell’alta borghesia (che Petra cerca inutilmente di trasmettere a Karin che, per esempio, non reputa necessario disdire una prenotazione per un volo) continua a umiliare sottilmente Petra (per il compleanno le regala una bambola con le fattezze di Karin) tradendo il giudizio di inferiorità con la quale l’ha evidentemente sempre considerata.
Nella pièce tutti i rapporti d’amore sono descritti come rapporti di potere proprio come quelli di classe in un controcanto continuo tra privato e sociale di notevole acume per i primissimi anni 70, quando il privato era a ancora privato e per le femministe il lesbismo era ancora una questione personale priva di importanza politica…
Petra umilia Marlene quando le dà in pasto la sua vita privata tenendo in nessun conto i sentimenti che la donna prova per lei, mentre la sfrutta come serva e come stilista.
Petra non rinuncia a cercare di educare Karin (sintomatico che anche mentre si disperi d’amore, Petra non si esimi dal correggerle la consecutio modorum) nonostante la ragazza la umili raccontandole, per sincerità, i suoi tradimenti con gli uomini.
Nella pièce l’amore tra donne è mostrato al di là di qualunque retorica patriarcale ed eteronormata e anche di qualunque militanza lesbica. Per Fassbinder l’amore di Petra per Karin non è un amore lesbico quanto, come è giusto che sia, un amore e basta.
Luca Gaeta riduce la pièce nella durata e nel numero dei personaggi (via l’amica Sidonie, mentre della figlia Gab sentiamo solamente la voce provenire da un’altra stanza), tanto da cambiare il titolo che diventa Fassbinder/Von Kant, senza mai tradirne lo spirito, approntando una versione perfettamente adeguata allo spazio particolare del teatro Stanze Segrete di Roma.
La piccola sala, che non può ospitare più di 25 anime ed accoglie il pubblico sullo stesso impiantito della scena, tra specchi e un soppalco che diventa un secondo palcoscenico, è trasformata da Gaeta nella scenografia ideale per la storia privata di Petra e Karin.
Mentre il pubblico prende posto Licia Amendola, che interpreta Petra, è già in sala in una posa plastica a ingrossare le fila dei manichini di cui è pieno il teatro (anche sul soppalco e nella sala posteriore che funge da quinta) mentre risuona la telecronaca in tedesco di una partita di calcio e Caterina Gramaglia, che interpreta Marlene, accoglie il pubblico già tutta nel suo ruolo di domestica.
Sulla scena oltre un telefono funzionante (il cui squillo è reale e non riprodotto da un nastro) campeggiano alcuni long playing originali che verranno suonati, andando a comporre i brani di una partitura sonora realistica (solamente l’aria Un dì, felice, eterea dalla Traviata è suonata da nastro).
Gaeta dà al lavoro un certo tocco di eleganza indimenticabile: con la platea disposta praticamente sulla scena sia Karin che Petra si siedono sulle ginocchia del pubblico usandolo come sedie, amplificando e integrando quel destino da manichini cui siamo tutti e tutte chiamate quando si tratta di amare.
Marlene, che subisce Petra in silenzio senza proferire parola (un ruolo ingrato per qualunque attrice che Gramaglia infonde di una umanità disarmante) si ricava, tra una scena e l’altra, dei piccoli momenti di autonomia, interagendo col pubblico ora curandone l’aspetto (dà un ritocco di cipria a uno spettatore) ora carezzandone un altro come a volerlo consolare mentre, visto come Petra la tratta, probabilmente è lui che vorrebbe consolare lei.
Altrettanto indovinato il rovesciamento di prospettiva dal quale Gaeta chiosa lo spettacolo affidando a Karin un commento nel quale sottolinea come nei rapporti d’amore siamo tutti i manichini di qualcuno sottolineando così la necessità di sottrarsi al sacrificio d’amore, evitando la constatazione cinica e fatalista che in amore o si comanda o si è comandati con cui di solito si liquida la pièce di Fassbinder.
E mentre Karin dica queste parole la presenza di Fassbinder è evocata da paio di occhiali, un cappello a falde (precedentemente dato in custodia a uno spettatore) e un registratore a cassette.
Bravissime le tre interpreti.
Licia Amendola sottolinea l’evoluzione e la crescita morale di Petra con una recitazione misuratissima che parte dall’affettazione della parvenue, si fa straziante quando si precipita al telefono spinta da un bisogno irrazionale che Karin la cerchi, e approda al naturalismo della donna che, fatta pace con se stessa, riconosciuto di non amare davvero Karin ma di averla voluta solamente possedere, può finalmente guardarsi intorno e accettare l’amore di Marlene per lei (e questo cambiamento della sua padrona ingenera in Marlene due reazioni diametralmente opposte: nella pièce accetta la nuova Petra mentre nel film, fa le valigie lasciando Petra da sola).
Valentina Ghetti è piena di una vitalità da ventenne che corrobora il repentino innamoramento di Petra per lei molto più che nel film (dove Hanna Shygulla, che interpreta Karin, è molto più indolente e meno vitale).
Caterina Gramaglia, che interpreta anche la madre di Petra dando grande prova di attrice risultando così diversa, anche fisicamente, nei due ruoli, ci regala una Marlene indimenticabile (la carezza che ci ha fatto durante lo spettacolo la custodiamo gelosamente nel cuore) esprimendo col solo sguardo suo intensissimo tutta la gamma di sentimenti che il suo personaggi prova per Petra, posta dinanzi i suoi capricci da innamorata (di un’altra).
Non capita spesso di vedere Fassbinder nei nostri teatri, e quando capita è molto spesso più un pretesto per presentare l’ego del regista (fiero di presentare la sua lettura del grande maestro) che per portare in scena il drammaturgo tedesco.
Luca Gaeta è invece sempre al servizio della pièce e regala al pubblico che ha la fortuna di assistervi una messinscena misurata, riuscita, impeccabile.
Teatro Stanze Segrete
Fassbinder/von Kant
fino al 23/12/2017
Da “Le lacrime amare di Petra Von Kant” di Rainer Werner Fassbinder
Adattamento e regia Luca Gaetacon Valentina Ghetti, Licia Amendola, Caterina Gramaglia
info@stanzesegrete.it
(22 dicembre 2017)
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