Being at Home with Claude è un testo del canadese René-Daniel Dubois andato in scena per la prima volta a Montreal il 13 novembre del 1985 al Théâtre de Quat’Sous per la regia di Daniel Roussel.
La pièce racconta l’ultima ora di un interrogatorio che sta andando avanti da 36 ore nel quale un ispettore di polizia cerca di capire perchè l’interrogato abbia ucciso, sgozzandolo, un altro ragazzo.
La pièce, ambientata alla fine degli anni 60, è scritta con piglio naturalistico (a cominciare dalla minuziosa descrizione della scenografia) e si incentra su molti dettagli non subito chiari ed evidenti al pubblico al quale deve interessare altro. L’interrogato, un ragazzo molto giovane, si chiama Yves, è un sex worker che ha ucciso il suo fidanzato Claude e due giorni dopo si è autodenunciato.
Nell’interrogatorio, serratissimo, l’ispettore non capisce il movente di quell’omicidio. Il testo fa emergere le contraddizioni di un funzionario di polizia sposato (durante la pièce chiama la moglie al telefono) che confessa a Yves che quando vede ragazzi di vita come lui vorrebbe far uscire lo stenografo e abbracciarli per compassione, ma non riesce a immaginare i motivi che hanno portato il sex worker a uccidere il suo fidanzato, cercandoli nelle solite dinamiche della cronaca nera: liti, droga, vendetta.
Yves sgozza Claude nel momento in cui stanno facendo l’amore raggiungendo l’orgasmo all’unisono, perchè Yves capisce che quella felicità, quella franchezza dell’essere loro stessi, non hanno possibilità di esistere nel mondo esterno, nella società, nella quale sono costretti a tornare a fingere. Non per una omofobia interiorizzata ma perchè negli anni 60 in Canada i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, anche se adulte e consenzienti, erano un reato penale punibile col carcere.
L’omosessualità verrà depenalizzata solamente nel 1969.
Il testo non esplicita il portato legale della repressione dell’omosessualità, segno evidente che, ancora nel 1985, il pubblico aveva ben chiaro quanto negli anni 60 fosse impossibile vivere la propria affettività in maniera libera.
Beeing at Home with Claude nonostante la cornice politica appena esposta costituisce una pièce controversa e pericolosa perchè descrive comunque un omosessuale (nel 1985) che si prostituisce (e dai suoi commenti sembra quasi che il suo prostituirsi sia una dipendenza come la droga o l’alcool) che non solo uccide un essere umano ma uccide il ragazzo del quale si è innamorato.
Una descrizione dell’omosessualità e delle persone omosessuali non proprio lusinghiera che il testo chiede al suo pubblico di vedere in tralice con la pressione sociale esterna, terribile e inarrestabile.
Giuseppe Bucci porta in scena In casa con Claude 2.0 nel 2025 (un precedente allestimento è andato in scena due anni fa con due attori differenti) eliminando la parte naturalistica della pièce, via la scenografia (ridotta a due sedie e a degli specchi appesi dall’alto), via gli altri poliziotti (stenografo compreso) convinto di esaltare così l’essenza universalistica della pièce e la discriminazione delle persone omosessuali.
Purtroppo però in un paese come l’Italia dove l’omosessualità non è mai stata reato penale (anche se questo non ha impedito ad Aldo Braibanti alla fine degli anni 60 di finire in carcere perchè aveva una relazione affettiva con Giovanni Sanfratello, di venti anni più giovane di lui) si rischia di non percepire affatto la pressione sociale, legale, giuridica, morale, della società, vero motore primo di questo omicidio, riducendone la responsabilità al solo ragazzo omosessuale, prostituto e assassino.
I tagli che Bucci fa al testo (che non giustificano comunque l’aggiunta di 2.0 al titolo visto che quel che resta nella messinscena riprende esattamente il testo originale) e la chiave di lettura con cui fa interpretare a Matteo Santorum il personaggio di Yves, fanno della pièce il racconto di un omicidio privato che scaturisce dall’impossibilità di Yves a conciliare il suo amore per Claude col mestiere che fa.
L’Yves di Santorum/Bucci è un personaggio tormentato ed emotivamente fragile, la cui instabilità emotiva e psichica finiscono col caratterizzare l’omosessualità tout-court, ben differentemente dal testo originale dove invece Yves è un ragazzo determinato e sicuro del fatto suo, che crede di avere la situazione sotto controllo e che non piange né si dispera né vacilla e anche nel lunghissimo monologo, quando racconta, in un flusso di coscienza, come ha seguito l’istinto nel porre fine alla vita di Claude, prima che il mondo esterno possa rovinare la loro felicità, rimane fieramente artefice del proprio destino.
L’Yves di Bucci è adolescenziale, capriccioso, che pensa a ballare e divertirsi, succube di se stesso, della propria immaturità.
Il rigore naturalistico della pièce originale, che riproduce l’ultima ora di un interrogatorio molto più lungo, prima dell’arrivo del giudice (cliente di Yves e che il ragazzo crede di poter usare come protezione) viene alternato, nella messinscena di Bucci, con degli inutili e fastidiosi siparietti che vedono Yves in una discoteca, che costituiscono una sorta di flashback nei quali Yves, balla, sculetta e si spoglia, interrompendo il percorso del testo originale, dove, partendo dal mistery dell’indagine di polizia, si arriva all’agnizione del monologo finale di un amore distrutto dal peso della repressione sociale.
Bucci pensa bene di coinvolgere in questa danza anche l’ispettore, come fosse un fantomatico cliente di Yves, oppure come se l’ispettore risentisse anche lui del fascino del sex worker, cambiando così il significato alla confessione che l’ispettore fa a Yves quando gli dice che ogni volta che gli capita un sex worker nel suo ufficio vorrebbe abbracciarlo inducendo nel pubblico il sospetto che, sotto sotto, l’ispettore agisca una sotterranea attrazione omoerotica.
D’altronde la morale, borghese e cattolica, critica all’omosessualità l’effetto di pervertire (sic!) le persone accendendo un vizio che evidentemente è sopito in ognuno e ognuna di noi… Prima dell’aids la peste che l’omosessualità maschile diffondeva era proprio questo risveglio di una inclinazione facile.
Queste coordinate etiche non vengono criticate dalla messinscena ma solamente evocate, agite, chiamate in causa e, in qualche modo, confermate.
Ancora più irritante, perchè prevedibile e inutile, il nudo integrale che Bucci inserisce nella messinscena, dopo la confessione (che nel testo originale si conclude con l’arresto di Yves che viene conferito davanti al magistrato), mostrandoci Yves nudo e ricoperto dal sangue di Claude schizzato dalla sua carotide recisa, come aveva raccontato nel monologo, mentre mima un amplesso seduto su di un invisibile Claude.
La generosità di Santorum viene sprecata il suo nudo, voyeristico e morboso, è privo di alcuna necessità drammaturgica, e nulla aggiunge al personaggio che interpreta.
Se Enrico Sortino è bravo nell’interpretare un ispettore credibile, preciso, coerente, autorevole, proprio come richiede il testo, Matteo Santorum alterna momenti in cui sembra poco a fuoco nell’intenzione con cui restituisce le battute, complice una difficoltà nello scandire le parole che gli deriva probabilmente dalla recitazione televisiva cui è avvezzo (Un posto al Sole, Libera) a momenti di sorprendente bravura, soprattutto nella parti di pianto e disperazione, dove diventa improvvisamente credibile e vero, un contrasto del quale crediamo sia responsabile una regia distratta.
In casa con Claude 2.0 è uno spettacolo che commuove, colpisce, muove il pubblico a compassione, ma fa uscire dalla sala delle persone con l’impressione di aver assistito a una storia d’amore tra gay finita male perchè gli omosessuali, si sa, finiscono tutti così senza restituire minimamente la denuncia del testo originale, facendo di Yves non il bersaglio di un pubblico ludibrio impossibile da vivere ma la vittima di una omofobia interiorizzata, di una difficoltà nell’accettarsi, che scaturisce da un problema personale e mai da una pressione esterna, pubblica, sociale e dunque politica.
E questo ci sembra imperdonabile.
In casa con Claude 2.0
di Giuseppe Bucci
con Matteo Santorum e Enrico Sortino
adattamento e regia Giuseppe Bucci
musiche Giovanni Coda
produzione Giuseppe Bucci e Teatro Segreto
Visto per voi al teatro Belli il 6 dicembre 2025.
(11 dicembre 2025)
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