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Corpus Hominis di Enzo Cosimi #Vistipervoi l’affettività è la grande assente di questo spettacolo (e di troppe vite)

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di Alessandro Paesano #Vistipervoi twitter@gaiaitaliacom #Teatro

 

Corpus Hominis seconda tappa della trilogia Ode alla bellezza. 3 creazioni sulla diversità di Enzo Cosimi, in scena al teatro Vascello di Roma nello spazio ridotto della sala Studio, propone un tema poco esplorato, quello del rapporto tra la vita/esistenza di omosessuali in età matura e la contemporaneità, in un sistema eterogeneo di simboli culturali e significati sociali come si legge nelle note di regia.

Cosimi approccia l’anzianità delle persone omosessuali (esclusivamente maschili) dal punto di vista della diversa fisicità dei corpi, accostando, in scena, un performer giovane (Matteo Sedda) a uno anziano (Lino Bordi), entrambi nudi.

Il contesto di questo confronto è tutt’altro che rilassato: il pubblico viene fatto entrare in un ambiente al buio, immerso in una partitura sonora disturbante, nella quale una musica di suspense si intreccia con dei rumori che risultano essere, a un attento ascolto, quelli prodotti da un rapporto sessuale tra uomini, ricordando il sound dei film pornografici, così come il buio ricorda le darkroom, degli spazi appositi, allestiti nei locali di incontri per soli uomini, nei quali si può consumare sesso.

Un ambiente performativo ostile al pubblico, che richiede un’immediata capacità di adattarsi ad una esperienza dalla quale non ci si può sottrarre, e scomoda, visto che il pubblico è tenuto in piedi e fatto assiepare in una sola zona dello spazio performativo, riproducendo la classica divisione del teatro borghese tra spazio per il pubblico e spazio per la performance.

In questo spazio si muovo i due perfomer, nudi, che diventando visibili grazie alla torcia di un telefono cellulare che il perfomer giovane usa per illuminare ed esplorare il performer anziano e viceversa.
Le due presenze sembrano mosse più dalla curiosità di quel che non si conosce che dal desiderio omoerotico. Il loro incontro/confronto è regolato da un linguaggio del corpo differente,  basato sull’agilità fisica per il personaggio giovane e da una pacatezza elegiaca per quello anziano.

Il giovane è tutto chiuso in una solipsistica esposizione della propria prestanza fatta di muscoli flessi, di espirazioni rumorose e di gesti a metà tra certe arti marziali e il furore di  gagliardo giovanilismo.
L’anziano sguarda, si fa guardare, assiste, si abbandona, si fa esplorare dagli sguardi dal giovane e lo esplora a sua volta.
Un’esplorazione che, pur cancellando la classica distanza prossemica tra individui, non si appropria mai dello spazio intimo dell’altro.
Anche se vicini i due si tengono comunque a distanza con uno sguardo indagatore che non sa mai farsi di desiderio o di seduzione.

Il giovane preferisce offrirsi allo sguardo, più del pubblico che dell’altro personaggio, in pose di allusione sessuale, più incentrata sul sedere che sulle pelvi, mentre l’anziano si fa mettere in grembo, in una posa che ricorda la Pietà mariana, si fa prendere in braccio dall’altro che lo porta, le spalle al pubblico, verso lavvenire ,in una sorta di chiasmo figurativo incentrato sul rispecchiamento dei due personaggi (che può essere benissimo anche lo stesso in due diverse fasi del tempo) in uno dei momenti più intensi dello spettacolo.

Poi alcune foto che ritraggono Lino Bordin (bellissime, scattate da Lorenzo Castore) vengono proiettate sulla parete di fondo così che la proiezione illumina i due performer che ora manovrano una coperta con la quale più che le nudità si coprono la testa, o le spalle.

La performance si conclude con la proiezione di un video, dal montaggio serratissimo, nel quale vengono giustapposte immagini di lotte e proteste del movimento di liberazione omosessuale, italiano e non, del passato (dal F.U.O.R.I. a Stonewall), a una serie di immagini animate dell’interno di cellule in cui eliche del dna e altre formazioni biologiche incombono sullo schermo e, infine, dettagli di rapporti sessuali: orgasmi maschili, fist fucking, etc.
Il video si conclude con la scritta whats the point of revolution? (che senso ha, a che serve, la rivoluzione?)

Più che il rapporto tra la vita/esistenza di omosessuali in età matura e la contemporaneità, lo spettacolo sembra esplorare un immaginario collettivo omosessuale che risale agli anni 70, quando i settantenni di oggi avevano 20 anni. Un passato che viene evocato in alcune interviste a persone omosessuali anziane, riprodotte in audio, senza soluzione di continuità, dopo che i due performer si sono presi tutti i loro applausi e hanno lasciato la sala.

In queste interviste c’è chi racconta come da giovane si sentiva protetto dagli abusi fisici e verbali dei compagni di scuola solamente quando si vestiva da donna; chi racconta di avere avuto esperienze con altri uomini solamente in età matura, dopo aver avuto figli, e figlie, da unioni eterosessuali.
C’è chi racconta della sua militanza nel movimento di liberazione omosessuale spiegandoci come allora le relazioni di coppia venissero considerate in maniera negativa perché costituivano lo  scimmiottamento delle coppie etero, preferendo il  sesso libero (e che c’erano molte meno marchette di oggi) oppure c’è chi, mentre l’età incalza e impedisce del tutto l’erezione, si è attrezzato altrimenti per consumare incontri sessuali con persone più giovani di lui.

Peccato che nessuno degli intervistati, o chi ha raccolto queste interviste, spieghi mai il perché di quei comportamenti e di certe scelte politiche.

Nessuno spiega che le persone omosessuali non erano interessate, allora, a mettere su famiglia, perché, negli anni 70 la famiglia era regolamentata da una legge fatta da Mussolini nel 1942, quella del capofamiglia maschio, con la moglie giuridicamente dipendente da lui e la prole ancora più sotto, la famiglia del delitto d’ore e del matrimonio riparatore per chi stuprava una donna del codice Rocco, la famiglia che chiamava illegittima la prole nata fuori dal matrimonio.
Una famiglia ben diversa da quella odierna che non poteva certo essere un modello di riferimento ma una istituzione da combattere.

Nessuno spiega come in quegli anni le persone omosessuali fossero costrette alla clandestinità perché in mezza Europa i rapporti tra persone dello stesso sesso, anche se adulte e consenzienti, erano puniti con il carcere.

D’altronde anche nei Paesi dove i rapporti omosessuali non erano reato, come l’Italia, bastava la denuncia dei genitori per far rinchiudere un figlio maggiorenne in manicomio e costringerlo agli elettroshock per curarlo dall’omosessualità (successe a Giovanni Sanfratello, nel 1964*).
Omosessualità che, all’epoca, era considerata una malattia mentale.

Per cui data l’impossibilità di imbastire relazioni interpersonali alla luce del sole, per non correre il rischio di essere arrestati, o rinchiusi in manicomio, agli uomini che amano gli uomini rimanevano solamente degli incontri fugaci di sesso consumato in fretta.

Senza queste spiegazioni si corre il rischio che Corpus Hominis confermare nel pubblico certi luoghi comuni che vogliono le persone omosessuali promiscue oppure che l’orientamento sessuale riguardi solamente il sesso e non l’affettività come invece è in realtà.
Affettività e rete di assistenza che sono le grandi incognite di tutte le persone anziane figuriamoci di quelle omosessuali in un Paese così poco gayfriendly come l’Italia.

Ma anche a volere rimanere nella sola sfera sessuale il sesso messo in campo nella performance è solo quello angusto e patriarcale dei rapporti penetrativi, in una visione fallocentrica che vuole che la penetrazione vada performata comunque in qualche modo mentre il sesso è qualcosa di molto più vario, diversificato e olistico.

Una sessualità che può anche (ma non è un obbligo) accompagnarsi  all’affettività che rimane la grande assente di questo spettacolo.

Viene da chiedersi quale sia il pubblico cui la performance si rivolge se un pubblico di giovani omosessuali cui lo spettacolo paventa orizzonti senili non proprio edificanti, o un pubblico generalista al quale sono mostrati certi comportamenti sessuali presentandoceli come comuni e diffusi: un po’ come voler parlare della sessualità etero nella terza età e prendere come punto di riferimento le orge in villa di Berlusconi.

Tra gli intenti dello spettacolo e i risultati ottenuti c’è un abisso lo stesso col quale misurare la sessualità umana molto più varia e vasta di quanto lo spettacolo di Cosimi non pretenda.

 

 

*il fidanzato di Antonio Braibanti condannato per plagio

 

 

(Visto al teatro Vascello sabato 11 maggio 2019)

 




 

(14 maggio 2019)

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