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“Abracadabra. Incantesimi di Mario Mieli mago del gender” #Vistipervoi da Alessandro Paesano

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di Alessandro Paesano #Vistipervoi twitter@gaiaitaliacom #Teatro

 

 

Abracadabra, di e con Irene Serini, dopo il debutto del primo studio all’Independent Theater Festival di Milano dello scorso anno, approda al Teatro Out Off per un secondo studio, accresciuto nella durata, ma invariato nell’approccio e nello stile.

Il lavoro approccia in maniera insolita e ludica la figura di Mario Mieli, il militante omosessuale autore di Elementi di critica omosessuale, pubblicato nel 1977 da Einaudi.

L’approccio di Serini al testo e al suo autore, tutt’altro che accademico o storico,  parte dalla sua soggettività di performer, di donna, di autrice, di attrice. Un punto di vista eccentrico tramite il quale restituire perplessità, tentennamenti, amori e odi nei confronti di quanto Mario Mieli ha detto. Per arrivare al portato del discorso rivoluzionario di Mieli Serini intrattiene con il suo pubblico un diverso patto narrativo, se così ci possiamo esprimere.

Serini porta il pubblico in platea, con sé, letteralmente al suo stesso livello.
Dispone le sedie in un circolo dall’interno, e dall’esterno, del quale interagisce con le persone presenti e con gli scarni elementi di scenografia (una sedia rovesciata, di nero dipinta, appesa al soffitto, un microfono pendente) ottenendo dal pubblico un’attenzione partecipe, che rompe la quarta parete.
L’onestà intellettuale di Serini la porta a smascherare però i meccanismi teatrali che sta impiegando (e mentre lo fa snocciola tre leggi fondamentali del teatro a metà tra il serio e il faceto) avvertendo, di fatto, il pubblico, che, per quanto il suo spettacolo appaia spontaneo e senza regia, è sempre una rappresentazione recitata, è, cioè, sempre teatro.

Un po’ come nella famosa tela di Magritte Ceci  n’est pas un pipe Serini  arriva con immediatezza al meccanismo di significazione degli oggetti, delle persone e del loro relazionarsi proprio nel momento stesso in cui gioca coi significanti che possono assumere diversi significati, tramite il gioco teatrale che si fa esemplificativo di quell’investimento di significato sotteso e non detto che diamo alle parole e ai ruoli che le parole portano sempre con sé.

Serini può così instillare prima il dubbio sui ruoli di genere (senza nemmeno doverli nominare come tali) e poi giocare con alcune parole legate dalle stesse lettere poste in sequenza diversa (ci avete mai fatto caso che merda è madre sono l’una l’anagramma dell’altra?).

Anche l’aspetto gioca sullo stesso versante, Serini indossa un pantalone, porta i capelli raccolti all’indietro dal gel, non usa un trucco marcato, presentandosi con un embodyment squisitamente femminile ma altro.

Tramite un gioco sottile, controllassimo e mai volgare, Sereni riesce così ad avvicinare alcuni nuclei del pensiero di Mieli facendo arrivare il suo pubblico a certi concetti (a certi dubbi) di  pancia e mai di testa, grazie alla performance e mai una glossa o un’esegesi ingombranti.

Serini non si limita a riportare il suo percorso di lettura e di studio di Mieli, nella seconda parte del studio allestisce un florilegio di citazioni di Elementi di critica omosessuale (registrate su nastro) che commenta all’impronta, al microfono, restituendo le proprie reazioni emotive a quando ascoltato e appreso.

Per essere uno studio Abracadabra è pieno di potenzialità che aspettano di essere ulteriormente sviluppate e siamo sicuri che lo spettacolo, una volta raggiunta la sua forma definitiva, saprà brillare ancora più di quanto già non faccia ora.

Proprio perché lo studio merita attenzione e considerazione vogliamo ì soffermarci su alcune problematicità che riguardano il lessico usato.

Gender.

Il titolo per esteso dello spettacolo, sul sito del teatro Out Off ma non sulla versione cartacea distribuita in sala, il titolo per esteso dello spettacolo è Abracadabra. Incantesimi di Mario Mieli mago del gender (il corsivo è nostro). Anche durante la performance Mieli viene collegato agli studi sul gender.

Una espressione questa che non ha alcun significato scientifico/accademico: ci sono gli studi di genere che sono tutt’altra cosa.

Il gender (che in italiano, così semanticamente slegato,  non significa nulla) è una espressione creata da determinati gruppi di pressione sociale reazionari e squisitamente omotransfobici, che si sono inventati una teoria del gender per screditare tutto il lavoro che il movimento di liberazione omosessuale, da una parte, e il femminismo, dall’altra, hanno compiuto negli ultimi 50 anni.

Mentre gli studi di genere (e anche Mieli) riflettono sulla origine sociale e antropologica delle idee che abbiamo su cosa si addica a un uomo e a una donna l’inesistente teoria del gender pretende che le persone che la praticano vogliamo cancellare le differenze tra i sessi (intercambiabili anche chirurgicamente) verso un monosessualismo dove si è tutti e tutte uguali.

Dispiace allora quel riferimento al gender che, sicuramente  senza volerlo, conferma una interpretazione sbagliata, e in malafede, di un punto di vista critico che ha tutt’altro respiro.

Ne nasce una ambiguità pericolosa soprattutto per chi, come il pubblico cui lo spettacolo si rivolge, ignora certe sottigliezze semantiche e viene indotta a credere che questo e quello pari sono quando è tutt’altro che così.

Il gender non esiste gli studi di genere sì.

Sessismo.

Sicuramente non è necessario per uno spettacolo che si interroga anche sui ruoli di genere, sul maschilismo e sul sessismo, affrontare il sessismo della lingua, ma ci sembra una omissione curiosa per chi, pur lavorando sulla lingua, non si chieda perché usiamo il maschile plurale per sottintendere anche il femminile, di fatto non rappresentandolo.

Non è un tema direttamente affrontato da Mieli ma crediamo che l’assenza di considerazione degli studi linguistici sul sessismo (da Alma Sabatini a Cecilia Robustelli) necessiti almeno di un perché.

Naturalmente Sereni fa lo spettacolo che vuole lei e non quello che vorremmo fare noi, ma, lo diciamo da spettatori più che da critici, quando alla fine dello spettacolo Sereni si rivolge al pubblico usando due volte il maschile (figlio mio) e mai figlia mia, perché così vuole la consuetudine del maschile non marcato, ci ha pesato, non poco.

Non un errore, come nel caso del gender, ma una omissione, come minimo curiosa.

Trans.

Serini usa la parola transessuale senza specificare il significato che ne dava Mieli, che è diverso da quello contemporaneo.
Mieli con transessualismo della persona indica la potenziale bisessualità con la quale nasciamo tutti e tutte alla quale rinunciamo per “diventare” etero o omosessuali a causa di una educastrazione subita nell’infanzia.
Ben differente dall’accezione contemporanea che indica le persone che non sono felici della propria identità sessuale di nascita e performano l’identità sessuale di elezione (anche ma non necessariamente tramite una rassegnazione chirurgica del sesso) oppure si sottraggono a ogni determinazione di genere.

Anche questa parola può indurre confusione in un pubblico poco preparato che può essere indotto a pensare che Mieli abbia davvero pensato che siamo tutti transessuali dando ragione a quelli (e quelle) del gender che, con la scusa di combattere chi vuole cancellare tutte le differenze vorrebbe che le donne tornassero al focolare domestico.

Nulla che non possa essere modificato al prossimo studio che attendiamo con gioia, perché Serini sa emozionare e il suo spettacolo istilla un sano dubbio in un’epoca che millanta fin troppe certezze.

 

 

Abracadabra
Incantesimi di Mario Mieli, il mago del gender

STUDIO #2

di e con Irene Serini

luci e suono Caterina Simonelli

organizzazione e produzione Maurizio Guagnetti

in collaborazione con Teatro Out Off

Produzione Maurizio Guagnetti e Irene Sereni

 




 

(16 aprile 2018)

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